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L’articolo “Il paradosso delle assistenti sociali” ha generato interesse e reazioni tra chi ci legge. Continuiamo a seguire con attenzione questo ambito: abbiamo raccontato le difficoltà del passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione e chiesto ad alcuni assistenti sociali di approfondire il ruolo della partecipazione nei servizi sociali e la continuità tra ospedale e territorio nelle Case della Comunità. In questo articolo Chiara Fornara, direttrice del Consorzio dei Servizi Sociali del Verbano, racconta difficoltà e prospettive dal punto di vista di chi ha un ruolo centrale nell’orientare l’azione dei servizi sociali sul territorio.

La complessità va abbracciata”. Così Barak Obama ha recentemente dichiarato in merito al conflitto tra Israele e Hamas. Questo punto di vista mi sembra centrato anche per chi, come noi, ha scelto di lavorare nel sociale e cerca nella quotidianità del lavoro di perseguire obiettivi di interesse generale con le persone e con le comunità di riferimento.

I tempi che stiamo vivendo sono complicati e questo si riversa inevitabilmente sulle persone, sulle famiglie e sui gruppi sociali con evidenti sovraccarichi di aspettative e tensioni anche sul sistema dei servizi (ne abbiamo parlato, qui, in relazione al complesso passaggio all’ Assegno di Inclusione, ndr).

Bisogni crescenti e (in parte) inediti

Permangono e si amplificano problemi già conosciuti da tempo quali l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle situazioni di cronicizzazione delle fragilità: mi riferisco non solo alle persone anziane o disabili, ma anche a quella fascia – in crescita – di persone adulte che hanno avuto percorsi di vita problematici e sempre più spesso marginali.

Per quanto riguarda l’aspetto dell’invecchiamento i bisogni di questa popolazione assumono oggi dimensioni e caratteristiche inedite. Nei prossimi anni le persone ultrasessantacinquenni supereranno il 30% della popolazione; ciò significa che i percorsi di cura e assistenza non potranno che essere gestiti sempre di più al domicilio, adiuvati da tecnologie di monitoraggio a distanza. Questa nuova modalità determinerà probabilmente ulteriori disuguaglianze nell’accesso alle prestazioni tra sistemi di welfare pubblici e soluzioni di welfare privato a pagamento. Il secondo elemento – la cronicizzazione delle fragilità – si riferisce all’aumento delle situazioni di non autonomia in contesti familiari che sono fragili, soprattutto dal punto di vista delle reti relazionali e delle condizioni socio-economiche: saremo chiamati a gestire servizi per un numero sempre maggiore di persone che invecchiano con pluripatologie, sempre più sole e – se non ancora anziane – con stili di vita e problematiche borderline, con pluridipendenze e connessioni di complessità sia sociali che sanitarie.

Il paradosso delle assistenti sociali

L’altro grande capitolo riguarda la situazione dei minori, degli adolescenti e dei giovani adulti: è la fascia di popolazione che più di tutte ha sofferto per la pandemia e oggi si trova smarrita di fronte alle costanti incertezze per il proprio futuro e per le sorti del pianeta. In particolare gli adolescenti e i giovani più di altri hanno assorbito in maniera amplificata le ansie e le sofferenze degli adulti di riferimento, che hanno generato in loro un substrato psicologico di persistente insicurezza. Per molti di essi tutto questo si è tradotto in un aumento dei disturbi legati all’ansia, dell’abuso di sostanze, di disturbi del comportamento alimentare e, più in generale, manifestazioni di un forte disagio psichico.

Parallelamente i nostri servizi stanno registrando sul fronte dei bambini e delle loro famiglie un incremento delle situazioni conflittuali: le restrizioni e le situazioni di incertezza hanno fatto esplodere conflitti più o meno latenti con immediati riflessi sui bambini, facendo registrare l’incremento di comportamenti che vanno dall’iperattivismo all’aggressività o all’isolamento sociale. Contemporaneamente si sono acuite situazioni di affaticamento degli adulti ad assumere ruoli genitoriali maturi e responsabili, sempre più spesso in difficoltà nel chiedere aiuto e nel saper gestire le crisi relazionali.

Queste continue crisi hanno pesantemente interessato anche le agenzie educative quali la scuola e i contesti oratoriali e aggregativi, che comunque già negli anni precedenti mostravano di non essere più completamente in grado di affrontare complessità così articolate. È da qui che dobbiamo ripartire se vogliamo farci carico delle complessità. Ma come?

Attivare riflessioni comunitarie e avere sguardi multifocali

Di fronte alle complessità non esiste un soggetto – sia esso un’istituzione pubblica o privata – in grado di offrire chiavi di lettura risolutive: sembra banale affermarlo, ma è sempre più complesso avviare sui propri territori percorsi che facciano dialogare cittadini, enti, istituzioni per trovare terreni di sintesi su cui operare insieme. Arrivare a compiere una riflessione comunitaria e condivisa su quali siano i bisogni, i desideri, i problemi e le possibili soluzioni per non lasciare sole le persone e i gruppi sociali implica mettere in un angolo l’autoreferenzialità dei servizi e delle figure professionali coinvolte per accogliere i punti di vista – complessi e a volte divergenti – degli altri.

Nella foga di organizzare i servizi corriamo quotidianamente il rischio di perdere il contatto con la vita reale e i suoi bisogni per inseguire l’autoreferenzialità. È un rischio che interessa sia il settore pubblico sia il privato sociale. Il contesto attuale richiede rapida capacità di leggere i cambiamenti, flessibilità e capacità di adattamento, razionalità nell’affrontare i contesti emergenziali, grande capacità nel creare reti collaborative.

A titolo di esempio ritorno al tema della non autosufficienza: oggi è il momento di pensare a nuove forme di soluzioni residenziali capaci di supportare la cronica mancanza di autonomia delle persone, che non possono più trovare come unica risposta quella del ricovero ospedaliero o, in alternativa, delle strutture residenziali paraospedaliere. Queste risposte “tradizionali” continuano ad essere necessarie, nonostante la pandemia abbia evidenziato la necessità di un ripensamento del modello organizzativo delle RSA.

Accanto ad esse occorre sperimentare nuove modalità di cura della disabilità e della non autosufficienza, che prendano a modello la casa e il contesto relazionale: va sostenuta una politica abitativa di rinnovamento degli alloggi nella direzione della massima accessibilità e del monitoraggio a distanza, vanno realizzate esperienze di coabitazione e di condivisione di assistenti familiari, vanno sostenute e implementate le reti di volontariato di prossimità, vanno finanziati i servizi socio-sanitari territoriali, va implementata con incentivi la formazione di operatori sociali, socio-sanitari e di assistenti familiari competenti, vanno sostenuti i progetti di senior housing o di palestre per l’autonomia delle persone con disabilità. Sappiamo cosa fare, occorre farlo avendo le risorse conseguenti.

La partecipazione nei servizi sociali

Questi temi, accanto all’analisi del contesto sociale, devono animare e costruire dibattito nei nostri territori. Il servizio sociale – e in primis questo approccio deve vedere la dirigenza dei Servizi alle persone acquisire un ruolo da protagonista – deve entrare in queste dinamiche, anzi io sostengo che debba e possa essere uno degli animatori di questi percorsi partecipativi. I percorsi formativi universitari devono preparare con sempre maggior convinzione a ruoli che sappiano sviluppare, nei giovani operatori sociali, sia l’approccio da case manager sia quello di network manager territoriale.

Come è possibile attrezzare gli operatori sociali di saperi e azioni che sappiano guardare alla dimensione della presa in carico e contemporaneamente all’esigenza di intervenire nei contesti per incidere sulle condizioni di vita e sulla promozione di relazionalità tra le persone e le organizzazioni? Ma poi i nostri servizi sono pronti a ripensare le proprie strutture organizzative per dare spazio e slancio a questo sguardo multidirezionale? Molte esperienze si stanno realizzando, ma questo approccio è diventato strutturale nelle nostre organizzazioni o siamo ancora dentro a una logica prestazionale?

L’anima multicentrica dei servizi sociali si esprime quando le organizzazioni riescono a mettersi al fianco delle persone fragili per rendere meno faticoso il percorso di vita ma nello stesso tempo ad affinare le antenne comunitarie per ascoltare i “desideri” dei territori e trasformare queste aspettative collettive in beneficio per la comunità.

L’enzima territoriale del servizio sociale

L’occasione storica che i servizi possono giocare in questa situazione è offerta dai nuovi strumenti amministrativi di condivisione programmatoria e progettuale della coprogrammazione e coprogettazione (che sono anche al centro del Sesto Rapporto sul secondo welfare, ndr). È attraverso queste strade – se assunte come strumenti reali di ascolto e ridefinizione dei confini dei problemi – che i servizi alle persone possono aiutare le comunità territoriali a sviluppare percorsi di integrazione, a valorizzare i contributi di tutti, a ritrovare elementi di coesione e partecipazione sociale.

Mi sembra evidente che i nuovi strumenti di condivisione programmatoria e progettuale non possono limitarsi a essere un semplice esercizio di innovazione amministrativa ma devono tendere a promuovere una convergenza reale intorno a obiettivi d’interesse generale. Ciò a significare che la coprogrammazione, pur servendosi di argomenti giuridici, mai deve dimenticare che il suo fine è quello di suggerire o proporre linee di policy migliorative della condizione umana e delle nostre comunità (come sostenuto da Venturi e Zandonai in questo articolo). Assumendo come premessa questa visione la coprogrammazione e, conseguentemente, la coprogettazione diventano perciò per la PA la strada privilegiata per co-creare, attraverso un metodo collaborativo e contributivo, soluzione comunitarie orientate a un interesse generale.

Amministrazione condivisa: gli ingredienti che servono per l’impatto

In questa prospettiva diventa certamente interessante il ruolo “imprenditivo” (e non uso volutamente il termine “imprenditoriale”) che sia l’ente pubblico sia l’impresa sociale possono assumere nell’approcciare la coprogrammazione e le coprogettazioni. Uno degli elementi che sembrano decisivi, all’interno delle migliori esperienze italiane negli ultimi anni, è inoltre la capacità di mobilitare energie e settori di cittadinanza prima latenti o inespressi, indirizzandoli verso nuovi progetti collettivi in cui vengono ridefinite le forme dell’intervento sociale. Riporto due esempi che stiamo sviluppando nel territorio del Verbano Cusio Ossola e che provano a mettere a terra i principi sopra richiamati.

Rione Sassonia: un laboratorio di inclusione, creatività e innovazione

Questo quartiere di Verbania nel corso degli anni ha perso le caratteriste di “rione” per essere percepito come la “zona delle case popolari”, dando a questa definizione una connotazione negativa. Il Museo del Paesaggio, ente culturale storico della città, decide di investire su Casa Ceretti, un edificio abbandonato nel cuore del rione. Apre una prima area espositiva contemporanea e poi la Caffetteria Casa Ceretti con le residenze d’artista, facendo di quel luogo un laboratorio culturale ma anche un’impresa sociale, che dà lavoro ai giovani e alle persone in difficoltà, e offre servizi al quartiere.

Qualche mese dopo la Rete della solidarietà cittadina, con il Comune di Verbania e il Consorzio dei Servizi Sociali, porta a termine un percorso di ripensamento delle modalità di erogazione degli aiuti alimentari e tutti gli attori interessati decidono nel 2019 di aprire l’Emporio dei Legami, un market sociale che in città rivoluziona il modo di approcciare il contrasto alla povertà alimentare e allo spreco di cibo. Nel cortile dell’Emporio nel tempo si sono sviluppate altre iniziative: dallo Sportello Spid per accompagnare le fasce deboli nell’alfabetizzazione digitale ai Mercati del vintage, che aggregano cittadini del quartiere ma anche forestieri. Più o meno in contemporanea la Cooperativa Sociale Xenia decide di aprire la proprio sede di lavoro nel rione Sassonia e con il progetto “Well-fa-rete” promuove insieme ad associazioni, servizi socio-sanitari e cooperazione sociale azioni di vicinato solidale, di animazione, di laboratori, di tirocini lavorativi.

Il tutto è poi confluito nell’attuale esperienza di Teniamoci vicini, che vede coinvolta anche la Casa di accoglienza della Chiesa Valdese Metodista. La Festa dei vicini, i Cortili Aperti, i laboratori del Cantassassonia e dell’Operncirclesong sono la parte visibile di queste azioni di promozione dal basso della partecipazione degli abitanti, dei “foresti” e dei “ritornanti”: di una comunità, appunto. Ora stiamo lavorando per innestare percorsi virtuosi di questo tipo anche in altri quartieri della città: serve avere uno sguardo lungo anche per non fermarsi ai confini di un rione. Parallelamente, sempre nella logica di attivare le reti comunitarie esistenti per potenziarle e svilupparle, stiamo lavorando per aprire un Ambulatorio di Odontoiatria solidale, gestito da medici e cittadini volontari, che, accanto all’Emporio e ai posti di accoglienza notturna (ripensati e ammodernati con le risorse del PNRR), costituisce uno dei pilastri della Strategia territoriale integrata di contrasto alle povertà nel Verbano.

La cura è di casa: ripensare l’invecchiamento

Il terzo esempio nasce dall’esperienza de La Cura è di Casa, la comunità che si fa amica delle persone che invecchiano. Nel VCO abbiamo lavorato a partire dal 2016 per costruire una rete di realtà del Pubblico (consorzi dei servizi sociali, comuni, istituzioni) e del privato sociale (associazioni, enti del Terzo Settore) e delle fondazioni (RSA e Fondazioni di comunità) che attivasse la comunità territoriale per rispondere ai bisogni degli anziani vulnerabili che vivono a casa.

Abbiamo potenziato i servizi di assistenza domiciliare (anche se bisogna fare ancora molto), abbiamo sostenuto, rafforzato e formato le associazioni che si occupano di servizi di “bassa soglia” a favore delle persone anziane (trasporti sociali, contrasto alla solitudine, telefonate amiche) o che sviluppano azioni a favore dell’anzianità attiva (orti sociali, attività motoria, ginnastica per la mente, socialità): le associazioni “storiche” hanno trovato nuovi volontari e nuove motivazioni per impegnarsi, nuove associazioni sono nate e sono state capaci di mettersi in rete perché hanno capito che solo collaborando possono trovare le energie e le risorse per sviluppare nuove progettualità.

La Cura è di Casa. Una partnership tra pubblico, privato e cittadinanza per l’innovazione del sostegno alla domiciliarità

Abbiamo imparato che invecchiare è una delle fasi della vita per la quale è strategico prepararsi per tempo, è una stagione che riserva belle sorprese e che può anche diventare un periodo dove impegnarsi con piacere e divertimento per la propria comunità. Ora il PNRR ci sta offrendo nuove opportunità nella direzione di sperimentare innovative modalità di residenzialità per le persone che invecchiano: attiveremo anche sul nostro territorio esperienze di senior housing che potranno offrire anche alle persone non autosufficienti modelli di residenzialità che sanno molto più di casa e meno di ospedale, promuovendo focus specifici anche per le patologie neurodegenerative, in primis Alzheimer e Parkinson. Terzo Tempo è il nome che abbiamo individuato per questa nuova fase de La Cura è di Casa, che stiamo sviluppando grazie anche al recente programma di Fondazione Cariplo Welfare in ageing.

In tutti questi esempi il Consorzio dei Servizi Sociali del Verbano ha svolto un ruolo di promotore, animatore, facilitatore e il servizio sociale rappresenta in ciascun ambito un “enzima essenziale (cit. Giovanni Azzoni, Presidente Fondazione Cariplo, Piano di mandato 2024) che sollecita la comunità locale ad attivarsi.

Non è semplice per il servizio sociale muoversi costantemente su i due livelli di complessità: il lavoro di accompagnamento individuale e l’attivazione delle comunità di riferimento. In entrambe le modalità gli interventi richiedono un tempo del pensiero e un tempo dell’azione che mal si coniugano con l’ansia o la pressione del sentirsi in dovere di dare delle risposte facili e immediate. Trovare il giusto equilibrio sopra la follia è per tutti la grande sfida di questo tempo.

Foto di copertina: Unsplash.com