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L’articolo “Il paradosso delle assistenti sociali” ha generato interesse e reazioni tra chi ci legge, per questo restiamo sul tema del lavoro sociale con un contributo dell’assistente sociale e ricercatore Luca Pavani. Rispetto al nostro pezzo Pavani fa un passo indietro, proponendoci una riflessione sulla natura stessa del lavoro sociale, dalle origini della professione alle sfide del presente.

Il coinvolgimento dei cittadini da parte delle assistenti sociali1 costituisce una caratteristica intrinseca del servizio sociale fin dalle origini della professione. Infatti, già nel 1902, Jane Addams invitava gli assistenti sociali a coinvolgere gli abitanti del quartiere in cui lavoravano nella definizione delle loro esigenze, nell’ideazione di soluzioni e nella partecipazione a programmi che potessero migliorare la loro comunità. D’altro canto, anche Mary Richmond, nel 1917, promuoveva la collaborazione attiva tra l’assistente sociale e la persona che si rivolgeva al servizio, al fine di identificare soluzioni adeguate e sviluppare piani di intervento che rispettassero i desideri e le esigenze della persona stessa.

Nell’aprire la strada al servizio sociale professionale, le due pioniere Addams e Richmond hanno indicato come la partecipazione dei cittadini possa presentare almeno due funzioni: la prima di advocacy, la seconda di empowerment. La funzione di advocacy comprende azioni che mirano ad aumentare la consapevolezza sui processi che costruiscono condizioni di svantaggio e a influenzare le decisioni alla base di interventi, progetti o politiche che incidono su tali processi (Sanfelici 2022). L’empowerment, invece, si riferisce a quei processi di potenziamento individuale e collettivo che conferiscono alle persone fiducia, competenze e consapevolezze necessarie per riprendere il controllo della propria vita e partecipare attivamente alla società.

Il paradosso delle assistenti sociali

La partecipazione in pratica

Queste funzioni costituiscono l’essenza “sociale” del servizio sociale. Infatti, a differenza di un approccio sanitario, in cui l’esperto risolve i problemi come un medico che prescrive farmaci dopo aver effettuato un’attenta diagnosi, nel servizio sociale si coinvolgono le persone perché vengono riconosciute come le migliori conoscitrici del problema di vita che presentano (Allegri et al. 2017). Di conseguenza, l’assistente sociale professionista assume un ruolo assimilabile a una guida che accompagna le persone, i gruppi e le comunità, nel fronteggiare i problemi di vita, garantendo rigore metodologico, rispetto, tutela e promozione dei diritti.

Nell’attività quotidiana degli assistenti sociali, questo accompagnamento si esplica a vari livelli d’intervento. A livello individuale e familiare, le assistenti sociali coinvolgono coloro che cercano aiuto nelle diverse fasi del processo di aiuto, lavorando insieme per risolvere le sfide presentate. A un livello più ampio di intervento, gli assistenti sociali possono coinvolgere attivamente individui, famiglie e gruppi nella pianificazione e progettazione dei servizi, sfruttando direttamente le loro conoscenze, esperienze e risorse. In questo contributo è su questo ultimo livello che ci si concentrerà maggiormente.

La spinta normativa alla partecipazione

Nel contesto italiano, la normativa ha contribuito notevolmente allo sviluppo di pratiche partecipative, soprattutto nel campo della programmazione e progettazione di politiche e servizi e in particolare per quanto riguarda il coinvolgimento degli enti del Terzo Settore.

Questo è avvenuto innanzitutto con la legge 328 del 2000, che ha creato i Piani di Zona, uno strumento visto come un’opportunità di collaborazione tra tutti gli attori locali, che mira a promuovere la condivisione di responsabilità, la coprogettazione e l’implementazione di interventi.

Successivamente, con la riforma del Terzo Settore del 2017, che ha introdotto la coprogrammazione e la coprogettazione (Fazzi 2021). La prima è “finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili” (art. 55, D.Lgs 3/2017), mentre la coprogettazione mira alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio od interventi finalizzati alla soddisfazione dei bisogni definiti in sede di programmazione. Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza 131/2020 ha sollecitato la “prospettiva nella quale le risorse private e le risorse pubbliche si sommano per arrivare all’obiettivo comune e condiviso prefissato in sede di co-programmazione” (Gori 2020), con una responsabilità istituzionale pubblica.

Infine, l’invito alla partecipazione e la promozione della cittadinanza attiva sono presenti anche negli obiettivi del PNRR: il Ministero delle Politiche Sociali afferma in un piano operativo (2021) che per rispondere in modo adeguato e integrato alla pluralità dei bisogni è necessario attuare una “strategia condivisa, che coinvolga direttamente beneficiari, famiglie, istituzioni pubbliche e private, terzo settore e sistema economico-produttivo, promuovendo i principi di cittadinanza e partecipazione attiva” (MPS 2021, 6).

La voce degli assistenti sociali sul PNRR

Non è tutto oro quel che luccica: gli ostacoli alla partecipazione

La normativa, quindi, invita i servizi sociali a favorire l’attuazione di processi partecipativi. Ma, per il momento, in concreto, la letteratura sul tema (Bifulco 2018) ha evidenziato difficoltà nell’istituire pratiche condivise, con le iniziative singole e limitate nel tempo che sembrano ancora prevalere.

Metaforicamente parlando, infatti, la partecipazione si estende lungo una scala di grigi, che va dall’assenza totale di coinvolgimento, rappresentata dal nero, fino alla partecipazione completa, simboleggiata dal bianco. Se la partecipazione totale è da un lato auspicabile, dall’altro occorre notare che non è sempre perseguibile, poiché ostacoli come la limitazione di risorse o di tempo possono renderla irrealizzabile. Un ulteriore elemento che ostacola la piena partecipazione riguarda l’impreparazione del contesto territoriale che potrebbe non essere pronto o “allenato” alle dinamiche partecipative, che, per l’appunto, richiedono tempo, energie, risorse di tipo umano ed economico.

In conclusione, l’adozione degli strumenti di coprogrammazione e coprogettazione ha suscitato un ampio interesse, generando non solo un intenso dibattito sia nell’ambito pubblico sia in quello scientifico, ma anche stimolando per esempio la promozione di corsi di formazione specifici.

Nella pratica del lavoro sociale, però, ha portato una quota di partecipazione ancora esigua e, soprattutto, nella maggior parte dei casi, limitata al coinvolgimento degli enti del Terzo Settore piuttosto che a quello diretto di individui e famiglie. Questo anche perché è importante riconoscere che questi strumenti non sono stati originariamente concepiti per coinvolgere attivamente i cittadini, bensì per creare metodi più agili e flessibili rispetto alle tradizionali procedure di appalto.

Prospettive future per la partecipazione nei servizi sociali

In questo quadro, quale ruolo e quali prospettive vi sono per il servizio sociale nella promozione di processi di  co-creazione di politiche e servizi?

Un’opportunità per reintegrare la dimensione della comunità all’interno delle pratiche di intervento professionale potrebbe essere quella della supervisione del personale dei servizi sociali, che è stata definita come LEPS (Livelli essenziali di prestazione) dalla Legge di Bilancio 2022 ed è stata individuata tra i LEPS prioritari nell’ambito del Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023.

Attraverso il processo di supervisione, le assistenti sociali hanno l’opportunità di riflettere sulla loro pratica quotidiana, mettere in luce tendenze e pattern emergenti e collegarli alle dinamiche più ampie all’interno della comunità in cui operano (Allegri 2023). E quindi, per esempio, ragionare sul perché un determinato problema stia emergendo in un determinato territorio toccando più di un cittadino in difficoltà allo stesso tempo e su come sia possibile affrontarlo in maniera più ampia e strutturata.

Occuparsi della comunità, infatti, non significa distogliersi dalle situazioni e dalle emergenze che impegnano quotidianamente i servizi, ma piuttosto adottare e applicare un approccio olistico che riconosce l’interdipendenza tra l’individuo e l’ambiente circostante.

A tal proposito, gli assistenti sociali risultano essere molto impegnati nel lavoro con le persone e le famiglie. Tuttavia, oltre a questa dimensione individuale, sorge la domanda: perché non elevare ulteriormente le loro voci e storie ai processi decisionali di portata più ampia? È qui che, dopo aver ragionato di empowerment, entra in gioco la necessità di riabilitare e rafforzare la funzione di advocacy, che agisce come un ponte tra l’esperienza personale e il livello decisionale superiore.

Affinché si possa avanzare verso questo obiettivo, diventa fondamentale potenziare l’offerta formativa universitaria, specialmente a livello di corsi di laurea magistrali. Questo passo è cruciale per due motivi. Da un lato, per assicurare che le future leadership siano dotate non solo di competenze manageriali nell’ambito dei servizi, ma anche di una profonda comprensione e capacità di gestione di processi partecipativi complessi. E, dall’altro, perché le assistenti sociali siano anche capaci di farsi ascoltare dai decisori politici e dai dirigenti, avanzando proposte e portando dati a suffragio di quanto si propone.

 

 

Riferimenti bibliografici

Addams J. (1902), Democracy and Social Ethics, University of Illinois Press.

Allegri E., De Luca A., Bartocci M. C. e Gallione G. (2017), “Diversamente esperti: La partecipazione dei cittadini – utenti e dei familiari nella formazione universitaria dei futuri assistenti sociali. Analisi di una innovativa esperienza Italiana”, in Prospettive Sociali e Sanitarie, 2017, XLVII(3), pp. 25–29.

Allegri E. (2023), Supervisione e servizio sociale, Roma, Carocci.

Bifulco L. (2018), Urban Welfare and Social Innovation in Italy, in Social Work & Society, n. 16.

Fazzi L. (2021), Coprogettare e coprogrammare: i vecchi dilemmi di una nuova stagione del welfare locale, in Impresa Sociale, n.3.

Gori L, (2020) Gli effetti giuridici a lungo raggio della sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in Impresa sociale, n. 3

Ministero delle Politiche Sociali (2021), Piano Operativo allegato al Decreto 450 del 09-12-2021.

Richmond M. (1917), Social Diagnosis, Russell Sage Foundation.

Sanfelici M. (2022), Advocacy, in Campanini A.M. (a cura di), Nuovo dizionario di servizio sociale, Roma, Carocci, pp. 32-34.

Note

  1. La professione è composta per più del 93% da donne. Per questo motivo, nell’ottica di un linguaggio inclusivo, nell’articolo si alternano la declinazione femminile e quella maschile, ndr.
Foto di copertina: Unsplash.com