Dopo l’estate, l’autunno si preannuncia caldo per gli assistenti sociali1. E anche i mesi successivi.

Nel welfare italiano, una serie di fattori ha riportato al centro del dibattito queste figure. Nel nostro lavoro di ricerca abbiamo più volte riscontrato quanto sia utile, ma al tempo stesso complicato e faticoso il loro lavoro. Che ora sembra diventarlo ancora di più. Dal nostro osservatorio, infatti, abbiamo notato un’accresciuta difficoltà sui territori, specialmente nei servizi sociali e sanitari pubblici.

Le criticità, però, questa volta non sembrano derivare da una mancanza di attenzione o fondi, quanto piuttosto da una congiuntura favorevole che, dopo anni di risorse inadeguate, ha portato lo Stato italiano a investire di nuovo nel settore, sia a livello politico sia a livello economico. Abbiamo approfondito questo paradosso con esperte, professionisti e amministratori, per capire meglio il problema e immaginare soluzioni per risolverlo, partendo dall’ABC della professione.

La relazione di aiuto

Il servizio sociale è una professione di aiuto. Questa definizione comprende due elementi caratteristici. Il primo è la relazione di aiuto, che può rivolgersi sia a una singola persona o famiglia in condizioni di difficoltà sia all’intera comunità, in risposta dunque a bisogni sociali collettivi. Il secondo elemento è il modo professionale con cui si offre aiuto, e cioè sulla base di una disciplina e di metodologie proprie che vengono applicate dalle assistenti sociali nell’ambito della propria autonomia professionale.

Essendo una professione “sociale” – letteralmente: relativa alla società umana – è cambiata molto nel corso degli anni, in risposta alla crescente complessità e articolazione dei diversi ambiti che compongono la società umana. “Il servizio sociale è quindi oggi in Italia, soprattutto nei servizi socio-sanitari territoriali di welfare, un’attività professionale complessa”, scriveva Maria Dal Pra Ponticelli2 già nel 1987.

E da allora la complessità non ha fatto che aumentare, ancor di più con la pandemia.

Problemi complessi e sempre più diffusi

Le situazioni di solitudine e di marginalizzazione delle persone nella nostra società sono numericamente aumentate”, sostiene Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali (CNOAS). La pandemia, incidendo negativamente sul benessere psicologico delle persone, ha reso le situazioni di difficoltà più complesse e difficili da decifrare e accompagnare.

Dello stesso avviso è anche Luca Vecchi, Sindaco di Reggio Emilia e Delegato al Welfare e alle Politiche sociali dell’ANCI. Negli ultimi anni, sostiene, “i servizi sociali dei Comuni hanno dovuto affrontare sfide straordinarie che hanno evidenziato ulteriormente la necessità di potenziare la struttura stessa dei servizi per poter garantire interventi efficaci a tutela delle nuove fragilità che oggi attraversano la società”.

Tutto questo in uno scenario che era già complicato. “Nel corso degli ultimi decenni il welfare pubblico non è sempre stato in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni sociali delle persone, soprattutto per quel che riguarda i cosiddetti nuovi rischi”, spiega Franca Maino, professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e direttrice di Percorsi di secondo welfare.

Questioni come invecchiamento della popolazione, denatalità, disuguaglianza di genere e povertà educativa minorile sono stati storicamente al margine dell’agenda politica. E quindi non hanno trovato risposte adeguate.

Gli investimenti e il quadro normativo

Un altro pezzo del problema è rappresentato dalle risorse economiche. “Con la crisi iniziata nel 2008 il nostro Paese – riprende Gazzi – ha iniziato a investire poco sui servizi, servizi che peraltro già erano poco strutturati e frammentati”. Per ricostruire l’andamento delle risorse è utile fare un passo indietro al 2000, anno di approvazione della 328, la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (Legge 328/2000, di cui avevamo già parlato con il presidente Gazzi).

La portata trasformativa di questa legge è stata ridimensionata, dopo qualche mese, dalla riforma del Titolo V della Costituzione (Legge costituzionale 3/2001). Questo provvedimento ha infatti attribuito la potestà legislativa in materia di assistenza sociale esclusivamente delle Regioni, aprendo la strada a politiche sociali molto differenziate sul territorio nazionale. In questo scenario, inoltre, non sono mai stati approvati i Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali utili a garantire, appunto, prestazioni e interventi minimi su tutti i territori.

La legge 328 è intervenuta anche sul fronte delle risorse, provando a riordinare un sistema frammentato. In particolare, ha stabilito di far confluire nel Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (FNPS) i fondi settoriali preesistenti in ambito sociale e di destinargli risorse specifiche, individuando il FNPS come la principale fonte di finanziamento statale della rete ordinaria di interventi e servizi sociali3. Ogni anno la Legge di Bilancio dedica al FNPS risorse specifiche; la maggior parte di esse va alle “autonomie locali” (le Regioni) perché possano disporne per finanziare i servizi sociali. A queste risorse si sono aggiunte, a partire dal 2017, quelle provenienti dal Fondo Povertà4.

Come si può vedere nel Grafico 1, i primi anni Duemila sono stati caratterizzati da un significativo investimento sui servizi sociali. Dopo l’iniziale spinta della 328 le risorse sono andate però diminuendo, fino a toccare i 10 milioni di euro nel 2012 (con il Governo Monti, nel momento più difficile della crisi economica iniziata nel 2008). La ripresa da quel taglio così drastico è stata molto lunga e solo negli anni più recenti si è tornati a investire strutturalmente sui servizi.

 

L’aumento dei finanziamenti è da ricondurre a una nuova sensibilità pubblica e politica sui temi del sociale. “Nel corso degli ultimi anni si sono costituite importanti reti composte da moltissimi attori5, anche del secondo welfare, che hanno portato al centro dell’agenda politica temi fino a quel momento trascurati”, ricostruisce Maino. Questi processi hanno portato nel corso degli ultimi anni, per esempio, ad approvare misure come il ReI prima e il Reddito di Cittadinanza poi e a portare avanti riforme molto attese come quella nel campo della non autosufficienza. “Un’altra novità interessante è rappresentata dalle Case della comunità previste dal PNRR”, continua Maino.

Rilevanti novità normative sono state introdotte anche nell’ambito specifico dei servizi sociali, con l’avvio di un percorso di avvicinamento all’approvazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni Sociali (LEPS). La Legge di Bilancio 2021 ha individuato un livello essenziale nel rapporto numerico tra assistenti sociali e popolazione residente, con un valore minimo pari a 1 : 5.000, stanziando risorse per raggiungere l’obiettivo. Il target è poi stato ridefinito, sotto forma di obiettivo di servizio, stabilendo un rapporto di 1 : 4.0006.

Nel 2021 è anche stato adottato il primo Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021-2023. Il documento elenca una serie di azioni e misure volte a individuare e potenziare i LEPS, indicandone le fonti di finanziamento, tra cui spiccano il FNPS e il Fondo Povertà.

Le strutture e le persone

L’aumento delle risorse, l’accresciuta sensibilità pubblica e politica e l’approvazione di misure di inclusione attese come la Riforma della non autosufficienza e l’obiettivo di servizio sono elementi positivi. Tuttavia sono giunti dopo quasi un decennio di grosse difficoltà in cui, spiega Gazzi, “le strutture si sono depauperate e le persone se ne sono andate”. Le risorse economiche e le misure degli ultimi anni sono arrivate in un contesto di strutture fragili - quando non assenti - e con poco personale amministrativo e professionale. E così, secondo Gazzi, “questo investimento ha paradossalmente messo in difficoltà le strutture degli enti locali.

Lo spiega bene Vecchi dal punto di vista degli amministratori locali: i Comuni incontrano grandi “difficoltà di implementazione di queste misure che hanno tempi e procedure che non sempre vanno di pari passo con le capacità programmatorie e gestionali dei servizi” e che hanno “vincoli di rendicontazione che richiedono molta attività amministrativa”.

La strada per l’implementazione di obiettivi di servizio, LEPS e misure di inclusione è dunque ancora lunga. Gazzi propone un esempio: “il nuovo obiettivo di servizio è arrivare a 1 : 4.000. E il Legislatore non solo l’ha dichiarato, ma ci ha messo pure i soldi. Anche territori che prima non avevano una struttura adesso sono costretti ad averla. E prima erano numerosi i territori, anche al Nord Italia, in cui avevi un assistente sociale ogni 30-40.000 abitanti” e i territori comunali in cui addirittura i servizi non erano stati istituiti.

Attualmente in Italia operano più di 46.000 assistenti sociali, di cui poco più di un quarto lavora negli enti locali (Grafico 2).

 

 

Esistono anche dei dati su base regionale (Grafico 3), ma non sono del tutto affidabili e quindi, secondo Gazzi, è difficile fare una stima di quanto sarà lungo e difficile il percorso per raggiungere l’obiettivo di servizio. Inoltre - sottolinea sempre Gazzi - la variabilità è molto elevata non solo su base regionale, ma anche su base locale: come spesso accade nel nostro Paese la disparità territoriale si avverte tra regioni settentrionali e meridionali, ma anche tra aree interne e aree metropolitane. Per questo sarà dunque fondamentale presidiare con attenzione il monitoraggio dei LEPS e degli obiettivi di servizio.

 

L’introduzione di nuove misure e servizi e l’aumento delle risorse hanno infine ulteriori conseguenze indirette che devono essere tenute in considerazione. Secondo il CNOAS la spinta a istituire servizi anche dove prima erano assenti ha generato l’interruzione di una “migrazione interna alla professione per cui le assistenti sociali si spostavano da zone meridionali e/o interne verso zone più ricche di opportunità. L’aumento di posti di lavoro in zone fino a poco tempo fa meno presidiate dai servizi comporterebbe una minore disponibilità di personale nelle zone dove storicamente i servizi erano più radicati.

Anche gli amministratori hanno rilevato dinamiche simili, che peraltro incidono sulla qualità dell’accompagnamento garantito alle persone. Il sindaco Vecchi racconta che “moltissimi territori che non assumevano da anni hanno attivato procedure concorsuali e questo ha determinato molta mobilità tra gli assistenti sociali che oggi hanno quindi molteplici possibilità di assunzione. Ne consegue un altissimo turnover che mette a dura prova la tenuta dei percorsi di sostegno alle famiglie".

Proposte e sfide

La dimensione territoriale è fondamentale anche secondo Annalisa Gramigna, project manager del dipartimento “Osservatorio per gli investimenti” della Fondazione IFEL7: “quando parliamo di Comuni parliamo di quasi 8.000 realtà molto diverse tra loro, (...) con un approccio diverso alla funzione del servizio sociale”. Per questo per promuovere concreti miglioramenti nel sistema territoriale dei servizi sarebbe opportuno "ribaltare la logica istituzionale arrivando alle decisioni nazionali relative alle misure e alle risorse attraverso un dialogo continuo tra i territori e il livello nazionale.

Per farlo, secondo le persone intervistate, è necessario innanzitutto potenziare il livello locale, ampliando il personale sia professionale che amministrativo e rafforzandone le competenze (una cosa di cui siamo occupati in parte anche qui). È opportuno, inoltre, che i servizi sociali del territorio proseguano con l’ampliamento del personale professionale in risposta agli obiettivi di servizio.

Tuttavia, come sottolinea Gramigna, “né i soldi né i livelli essenziali consentono di avere garanzie sulla qualità dei servizi”. Dunque è importante presidiare anche la qualità dei servizi. Secondo Gazzi, da questo punto di vista, è necessario promuovere una riflessione sulla formazione universitaria, affinché le assistenti sociali possano entrare nella professione con una preparazione più solida e possano avere più strumenti per affrontare le crescenti complessità che incontrano persone e famiglie.

In questa logica, anche l’integrazione tra attori e servizi è fondamentale. Secondo Vecchi i Comuni sempre più stanno “sviluppando forme organizzative che potenzino il lavoro con la comunità, in forte integrazione con il Terzo Settore e con i servizi sanitari”. In tal senso, per Gazzi, serviranno “équipe multidisciplinari e progetti condivisi”, anche perché molte delle misure citate potranno essere implementate efficacemente solo sulla base di una solida integrazione socio-sanitaria.

All’orizzonte, quindi, le sfide per gli assistenti sociali sono numerose e complicate. Quale sarà il ruolo dei servizi alla luce delle nuove misure con cui l’attuale Governo sostituirà il Reddito di Cittadinanza? Cosa succederà con la riforma della non autosufficienza? E con la creazione delle Case della comunità previste dal PNRR?

Non esiste una risposta semplice a queste domande, anche se chi abbiamo intervistato evidenzia l’importanza di tenere insieme tutte le dimensioni del problema: organizzativa, istituzionale, politica e professionale. Un altro aspetto fondamentale, sottolinea Maino, è favorire “processi di coprogrammazione e coprogettazione, perché rappresentano delle logiche di intervento efficaci nel dare risposte in tempi di crisi e di trasformazione dei bisogni sociali” come quello che stiamo attraversando.

La posta in gioco è alta: non si tratta solo di migliorare i servizi o la condizione professionale delle assistenti sociali, ma di garantire piena tutela a persone e famiglie in condizioni di difficoltà. Lo ricorda bene Gazzi: se il sistema non riuscirà a impiegare nel modo migliore le risorse economiche e il capitale politico finalmente destinati al welfare sarà un “grosso danno che faremo ai cittadini”.

 

Note

  1. La professione è composta per più del 93% da donne. Per questo motivo abbiamo scelto, nell’ottica di un linguaggio inclusivo, di alternare nell’articolo la declinazione femminile e quella maschile.
  2. Importante studiosa e assistente sociale che, nel 1984, divenne la prima professoressa associata di servizio sociale in Italia (presso l’Università di Siena). Ha scritto alcuni tra i più importanti libri di servizio sociale, tra cui Lineamenti di servizio sociale (edito nel 1987 da Astrolabio), volume da cui è tratta la citazione riportata.
  3. In realtà sono tuttora attivi diversi altri fondi, a cui si aggiungono quelli di provenienza europea. Il FNPS e il Fondo Povertà rappresentano però le fonti principali di finanziamento dei servizi sociali territoriali. Per ulteriori approfondimenti sui fondi esistenti si rimanda al quadro sinottico compilato da Cittalia.
  4. Il Fondo Povertà è stato istituito nel 2015 per finanziare l’avvio su tutto il territorio nazionale di una misura di contrasto alla povertà (il ReI – Reddito di Inclusione). A partire dal 2017 una quota delle risorse del Fondo è stata destinata espressamente ai servizi sociali territoriali, per permettere un’adeguata implementazione del ReI. Dal 2019, con l’introduzione del Reddito di Cittadinanza, è stato istituito un altro fondo apposito e le risorse del Fondo Povertà sono state destinate interamente al potenziamento dei servizi sociali.
  5. Spesso indicate come "Alleanze di scopo", ndr.
  6. Gli obiettivi di servizio rappresentano un primo passo verso i LEPS, poiché prevedono il riconoscimento di un livello minimo di servizio. Per approfondire rimandiamo a un focus di Openpolis.
  7. IFEL - Istituto per la Finanza e l’Economia Locale è una Fondazione istituita dall’ANCI per assistere i Comuni in materia di finanza ed economia locale. La Fondazione svolge anche attività di ricerca e formazione attraverso la produzione di studi, analisi e proposte di innovazione normativa atte a soddisfare le istanze di Comuni e cittadinanza.
Foto di copertina: StockSnap, Pixabay