La ricerca

È stato pubblicato da pochi giorni, nella collana “Working paper” di Euricse, una ricerca sulla sanità territoriale a cura di Lorenzo Betti (CSI); Chiara Bodini (CSI), Giulia Galera (Euricse) e Giacomo Pisani (Euricse). Il paper è il frutto delle prime attività di ricerca realizzate nell’ambito del progetto “Ripensare la salute: rafforzare l’assistenza di prossimità su base domiciliare”, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni e realizzato da Euricse in collaborazione con il Centro di Salute Internazionale e Interculturale (CSI) APS, con Aris Formazione e Ricerca, e con le cooperative sociali ACTL e CIPSS.

Il paper “Prossimità e salute: un quadro introduttivo” tratta alcuni temi emersi per la loro particolare urgenza durante la pandemia da Covid 19, che si è rivelata una cartina al tornasole rispetto alle criticità dei sistemi di welfare locale. In particolare, sul fronte assistenziale, si è resa più urgente la necessità di rafforzare i servizi socio-sanitari in senso territoriale e integrato, in alternativa all’impostazione “prestazionale” che ha caratterizzato l’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale negli ultimi decenni. Vediamo di seguito i principali contenuti del documento, scaricabile liberamente dal sito di Euricse.

Prossimità e domiciliarità al centro di un nuovo modello di assistenza

La divaricazione che si è prodotta, nell’ambito di tale evoluzione, tra assistenza sociale e assistenza sanitaria, è andata a discapito delle funzioni di prevenzione e di intervento sui determinanti sociali della salute. Ciò ha portato ad un aumento delle disuguaglianze, nonché dei fenomeni di esclusione e di emarginazione sociale.

Il modello assistenziale oggi dominante, orientato alla cura delle patologie acute e “ospedalocentrico”, risulta inadeguato ad assumere la complessità del rapporto fra salute e benessere. Tale binomio può essere valorizzato solo a condizione di intervenire sulla molteplicità di dimensioni ambientali, relazionali, psicologiche ecc. coinvolte nella salute, oltre una focalizzazione esclusiva sulla malattia come “oggetto” da rimuovere. Si tratta, insomma, come viene affermato nel documento, “di passare da un modello centrato sulla cura della patologia ad uno che pone l’attenzione sul mantenimento della salute”.

Un terreno di sfida fondamentale è, allora, quello dell’assistenza territoriale e, in particolare, dei servizi domiciliari. Il paper si inserisce nel quadro teorico e organizzativo della Primary Health Care (PHC), un approccio delineato nel corso della conferenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) svoltasi ad Alma Ata nel 1978. All’interno della conferenza, fu evidenziato come l’obiettivo del più alto livello di salute per tutte le persone fosse raggiungibile a condizione di intervenire politicamente anche su ambiti che eccedevano la sfera prettamente sanitaria, come il lavoro, i trasporti, l’alimentazione ecc.

Nella prospettiva disegnata da tale approccio, c’è la necessità di dare centralità, all’interno dell’organizzazione dei servizi territoriali, all’integrazione socio-sanitaria e alla prossimità. Tali fattori permettono, infatti, di stabilire una vicinanza rispetto alle persone e di coinvolgere gli attori del territorio nel disegno dei servizi.

L’approccio di prossimità si fonda sulla partecipazione sistematica del contesto territoriale alla presa in carico e allo sviluppo delle politiche sociali. Ciò può avvenire a condizione di stabilire dei canali di collaborazione fra le formazioni sociali e le istituzioni competenti in materia socio-sanitaria. L’evoluzione in senso aziendalista della sanità territoriale, negli ultimi decenni, ha progressivamente marginalizzato le funzioni di prossimità, concentrando cure e servizi specialistici in grandi strutture ospedaliere aventi un’impostazione prestazionale, impermeabile alle istanze del territorio. L’esigenza di stabilire dei canali di prossimità è stata scaricata interamente sul lavoro dei medici di base.

Di particolare importanza, in questo quadro, sono i servizi legati all’ambito della domiciliarità. La domiciliarità identifica il contesto dotato di senso per la persona, che connette in maniera essenziale la persona stessa al mondo circostante. La persona, in virtù del legame così intimo con ciò che la circonda (casa in primis, ma anche tutti gli elementi materiali e immateriali che segnano il reticolo delle sue relazioni quotidiane), sente il bisogno di continuare ad abitare tali luoghi, anche quando l’autonomia va riducendosi.

Le domiciliarità indica dunque una condizione complessa che, per essere sostenuta, abbisogna di strumenti molteplici e articolati (assistenza domiciliare sociale e sanitaria, centri diurni, trasporti, cura del territorio, conoscenze ecc.). L’assistenza domiciliare, in questo quadro, ha certamente un ruolo decisivo, identificando una forma di sostegno e di abilitazione della persona che prende forma all’interno del contesto domestico. Essa non riguarda solo gli anziani non autosufficienti ma una molteplicità di soggettività che per condizione fisica, clinica o sociale necessitano di supporto assistenziale.

La frammentarietà e il carattere prestazionale degli attuali sistemi di welfare locale rendono assai difficile lo sviluppo di un sistema assistenziale di prossimità improntato alle logiche di domiciliarità e di integrazione socio-sanitaria.

Il possibile ruolo del Terzo settore

Eppure, a livello locale, ci sono stati molti casi interessanti di collaborazione fra istituzioni pubbliche, Terzo Settore e privato sociale che hanno messo in campo forme innovative di azione sul territorio, improntate alla prossimità e all’integrazione socio-sanitaria. Il Terzo Settore, e in particolare la componente più imprenditoriale di esso (cooperative sociali in primis), è andato assumendo un ruolo di primo piano di fronte alla crisi degli schemi di welfare novecenteschi, in concomitanza con le trasformazioni sociali, economiche e demografiche intervenute a partire dalla fine degli anni ’70.

Il Terzo Settore, in generale, ha mostrato una grande capacità di leggere la moltiplicazione e la differenziazione dei bisogni sociali, che il welfare pubblico a carattere assicurativo faceva sempre più fatica a riconoscere. Ciò in virtù del radicamento territoriale di tali organizzazioni, particolarmente evidente nelle esperienze più inclusive e differenziate al proprio interno.

Eppure, Terzo Settore e cooperazione sociale sono spesso state risucchiate entro dinamiche di esternalizzazione dei servizi, di cui il pubblico si è servito per ridisegnare i sistemi di welfare locale. Il Terzo Settore e le cooperative sociali hanno dovuto competere sempre più spesso col privato for profit, nell’ambito di procedure che hanno fortemente inciso sulla natura dei servizi e delle organizzazioni stesse. L’evoluzione in senso prestazionale dei servizi socio-sanitari si è accompagnata ad un calo della qualità di questi ultimi, nonché della vocazione sociale delle organizzazioni.

Il paper si concentra, dunque, su possibili alternative istituzionali entro le quali il rapporto fra pubblico e Terzo Settore possa articolarsi all’insegna della collaborazione, in alternativa alle dinamiche competitive e alla subordinazione che hanno dominato il recente passato. A partire dall’analisi di alcune esperienze virtuose, viene presentato il potenziale innovativo della collaborazione fra amministrazioni pubbliche e terzo settore in ambito sociale e sanitario.

In particolare, l’introduzione della coprogrammazione e della coprogettazione, all’interno del nuovo Codice del Terzo settore del 2017, può innescare dei nuovi processi di cambiamento. Tali istituti delineano un nuovo canale di “amministrazione condivisa”, all’interno del quale pubbliche amministrazioni e Terzo settore possono collaborare alla realizzazione dell’interesse generale. Si tratta, dunque, di un nuovo modello istituzionale, a carattere non competitivo, il cui accesso è consentito solo al Terzo settore, in virtù del suo costitutivo orientamento, ovvero sella sua attitudine a rappresentare interessi collettivi grazie alla sua vicinanza a territori e comunità.

Del resto, la coprogettazione viene indicata come strumento per le pubbliche amministrazioni nel disegno di politiche e interventi anche all’interno del Pnrr, i cui punti di maggiore interesse vengono analizzati nelle pagine finali del paper, dedicate alle sfide future sul fronte del welfare e della sanità territoriale.

Gli istituti della coprogrammazione e della coprogettazione possono essere degli strumenti decisivi per la costruzione di un diverso modello di assistenza socio-sanitaria. Questo, per superare la frammentazione che caratterizza i sistemi attuali, deve garantire un coordinamento proficuo e strutturale tra gli attori del territorio impegnati nel disegno e nell’erogazione dei servizi, al fine di implementare le dinamiche di prossimità e di domiciliarità.

Tali innovazioni istituzionali dovranno confrontarsi con il nuovo scenario descritto dai fenomeni di digitalizzazione, che la pandemia da Covid 19 ci ha mostrato in tuttala loro portata. Le recenti acquisizioni nell’ambito della telemedicina, ad esempio, potranno continuare a contribuire al miglioramento sei servizi, a condizione di tener presente i rischi che giacciono nell’intreccio fra telemedicina, intelligenza artificiale e gestione dei Big Data. Per questo, sarà fondamentale attivare processi di partecipazione e di co-design che rendano le persone partecipi a tutti i livelli della definizione di politiche e interventi, in una prospettiva di democratizzazione della società.