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Il tema del welfare aziendale è stato, nelle ultime settimane, al centro del dibattito politico italiano come accaduto poche altre volte in tempi recenti. Il dibattito si è prima concentrato sulla proposta, lanciata dalla stessa Presidente del consiglio Giorgia Meloni, di aumentare i fringe benefit1 che, più recentemente, si è concretizzato con l’innalzamento della soglia a 3.000 euro che varrà fino alla fine del 2022. Nelle prossime settimane capiremo se la misura sarà confermata anche con la Legge di Bilancio 2023

Il welfare aziendale, però, non si esaurisce affatto con i fringe benefit, ma ha molte altre dimensioni. Una di quelle più interessanti è quella dei legami con il welfare territoriale e delle opportunità che si aprono nel collegare queste due forme di welfare. Sono quelle che il nostro laboratorio chiama esperienze di welfare aziendale territoriale o “a filiera corta”.

Un welfare “a filiera corta”

Come spiegato nel Quinto Rapporto sul secondo welfare, con “filiera corta” intendiamo quelle “forme di welfare aziendale fortemente aperte al territorio, inclini ad attivare filiere di produzione di valore capaci di mettere a sistema le risorse locali (a partire da quelle del Terzo Settore) e innescare circoli virtuosi di sviluppo (sociale ed economico) in una prospettiva sostenibile e inclusiva”. Un’idea che si concretizza attraverso diversi strumenti: dalla contrattazione collettiva interaziendale al contratto di rete, dalla bilateralità alla contrattazione territoriale, dalla costruzione di reti e partnership multiattore alla co-progettazione e co-gestione di servizi territoriali.

La ricercatrice di ADAPT Maria Sole Ferrieri Caputi, ha svolto il suo lavoro di tesi sulla contrattazione e spiega che “negli ultimi anni, alcuni interventi territoriali, portati avanti grazie alla collaborazione tra le parti sociali – e in particolare i sindacati – hanno riguardato anche il welfare aziendale e occupazionale”. “Si tratta – prosegue la ricercatrice – di un’opportunità per “fondere” strumenti e livelli contrattuali differenti allo scopo di far dialogare i diversi livelli di welfare, quello locale – che mette in gioco risorse pubbliche – e quello aziendale e occupazionale, che riguarda invece risorse private”.

Il punto è centrale e riguarda tutti gli strumenti del welfare aziendale e territoriale, che mirano a rispondere ai bisogni di una determinata comunità, attraverso un mix di risorse diverse, e quindi, iniziative da parte di attori differenti, pubblici e privati. Ferrieri Caputi, che è anche membro del Centro Studi AIWA, aggiunge “i collegamenti tra diversi livelli di welfare  si generano molto spesso  grazie alla presenza di importanti distretti o indotti produttivi oppure di grandi imprese attente al loro territorio. Questo alimenta dei forti sistemi di relazione industriale che, a loro volta, facilitano connessioni e legami con il welfare pubblico territoriale”.

Storie di welfare aziendale “a filiera corta”

Il ruolo dei provider

Per far sì che queste sinergie virtuose nascano, crescano e siano efficaci, un ruolo importante è svolto anche dai provider di welfare aziendale, quei soggetti che accompagnano le imprese nello sviluppo di piani per offrire ai loro dipendenti beni o servizi per il benessere personale e familiare.

Come avevamo spiegato in passato, un provider viene pagato da un’azienda affinché costruisca un piano welfare, trovi delle aziende terze che eroghino i servizi inclusi nel piano e consenta ai lavoratori di usufruirne, spesso attraverso una piattaforma digitale. Le opzioni sono innumerevoli: dai buoni spesa ai servizi per minori e anziani, dalla previdenza complementare alle attività ricreative. Ed è proprio compiendo queste scelte che si può coinvolgere più o meno il territorio, creare legami con i servizi che già esistono, far nascere quella filiera corta che spiegavamo poco sopra.

Alcuni provider lo fanno da tempo. Eudaimon è tra questi. “Già da prima che la normativa sul welfare aziendale venisse approvata (tra 2015 e 2016, ndr) ritenevamo che il welfare aziendale potesse essere un innesco e un acceleratore di certe dinamiche”, sostiene il suo CEO Alberto Perfumo. “Può esserlo perché richiede di pensare ai servizi più utili a un territorio, partendo dai lavoratori e dalle loro famiglie, e metterli in rete, come servizi privati, ma senza escludere il pubblico. Lo pensavamo dieci anni fa e crediamo sia sensato ancora oggi”, ragiona.

Per concretizzare il suo pensiero, Perfumo porta un caso concreto. “Anni fa – ricorda – la Regione Liguria lanciò un bando molto positivo”. Se le aziende inserivano dei servizi del territorio nei loro piani di welfare, la Regione li pagava con dei fondi propri, completamente o in parte, incentivando così la diffusione del welfare aziendale, ma anche la sua integrazione con quello territoriale. Per Perfumo, “fu una scelta molto lungimirante”.

Gli esempi in tutta Italia

Quello ligure non è l’unico esempio di welfare aziendale e territoriale. Ferrieri Caputi ne segnala uno nell’Alto Milanese dove, attraverso la contrattazione e la collaborazione tra le parti sociali, alcune imprese del territorio possono accedere ad un’offerta di welfare aziendale peculiare. “Attraverso il loro “credito welfare” i dipendenti possono infatti richiedere pacchetti di prestazioni direttamente alle Aziende Sociali pubbliche (le ASST) che gestiscono i servizi dei Piani di zona”, spiega la ricercatrice.

Nel 2020, nel Lazio, invece, è nata un’azione per l’inclusione di lavoratori disabili oppure affetti da malattie croniche. “L’ente pubblico regionale, numerose parti sociali, associazioni e organismi di rappresentanza sulla disabilità hanno firmato un accordo per facilitare l’occupazione di queste persone e, tra le azioni previste, vi sono anche la valorizzazione della figura del disability manager, la distribuzione di materiale informativo, la partecipazione a eventi e manifestazioni culturali organizzate dal territorio, il confronto tra gli interlocutori istituzionali, nonché specifiche iniziative formative rivolte ai Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza e ai rappresentanti aziendali competenti in materia”, aggiunge Ferrieri Caputi.

Iniziative e interventi di welfare aziendale territoriali possono nascere anche grazie ai citati fringe benefit. TreCuori, società benefit che opera sul mercato del welfare aziendale, ha deciso di creare dei buoni acquistabili attraverso i fringe e spendibili presso attività e servizi di prossimità piuttosto che nella grande distribuzione, valorizzando così il commercio locale. Si tratta di strumenti che incentivano l’acquisto verso piccole attività commerciali (mercerie, fiorai, panetterie, macellerie, edicole), artigianali (parrucchiere, estetista, idraulici) e professionali (commercialisti, avvocati).

Grazie a questi buoni sono nati anche alcuni progetti territoriali, come quello del Distretto della Bassa Romagna in provincia di Ravenna, il progetto Valoriamo nelle province di Lecco e Sondrio e Oristano Welfare in Sardegna. Un’esperienza simile è anche quella che Welfarebit sta portando avanti col progetto Welfare di Marca.

Welfare aziendale: i buoni che fanno bene ai territori

Il caso Welfare di Marca

“Saremmo già dovuti partire, ma poi è arrivata l’alluvione”, spiega il general manager di Welfarebit Paolo Giacometti. Il progetto Welfare di Marca è pensato per la Valle del Misa e del Nevola, quel territorio della provincia di Ancona, nelle Marche, che è stato duramente colpito da un’alluvione lo scorso settembre.

“I nove Comuni del territorio, riuniti nell’Unione dei Comuni Misa – Nevola, hanno emanato un bando in materia di welfare aziendale. In maniera sicuramente visionaria, hanno capito l’importanza del tema”, racconta Giacometti. Welfarebit già operava con alcune aziende del territorio e, secondo il suo general manager, le imprese hanno sentito “l’esigenza di rendere ancora più forte quel percorso di welfare territoriale che noi come provider proponiamo”.

“Il bando finanzia lo sviluppo di percorsi di aggregazione dei fornitori locali che entrano in piattaforma e che viene verticalizzata sulle necessità del territorio stesso, favorendo i piccoli esercenti”, continua Giacometti. La piattaforma cui stanno lavorando, a suo giudizio, sarà “una mappatura delle offerte del territorio a favore del cittadino e non solo del dipendente”, perché saranno presenti tutti i tipi di servizi, pubblici e privati”. Al netto delle difficoltà causate dall’alluvione, il lancio dovrebbe avvenire a breve.

Giacometti è ottimista. “Vediamo come reagirà il territorio alla opportunità di questo strumento. Ma il Terzo Settore ha dato grande disponibilità, abbiamo avuto molte adesioni e quindi ci aspettiamo un buon riscontro”, auspica.

Il problema è la scala. E la scalabilità.

Il punto è che, anche quando non si aggiungono gravi problemi come l’alluvione nella Valle del Misa e del Nevola, far funzionare davvero dei progetti di welfare aziendale e territoriale è complesso. Un conto è la teoria, un conto è la pratica, come evidenzia Perfumo di Eudaimon.

“Sono interventi complicati perché troppo diversi da territorio a territorio. Ci si appoggia a una fondazione qui, a un’unione industriale là, ma manca un pivot pubblico. Anche quando il Terzo Settore è coinvolto – e noi abbiamo collaborazioni con i suoi enti perché crediamo siano i più titolati per certe azioni – ho sempre visto modelli molto specifici. In una zona trovi un consorzio interessato perché il presidente ci crede, ti sposti in un’altra provincia e invece non c’è interesse”, ragiona.

Secondo Giacometti, “l’intervento attivo dello stakeholder ente pubblico è necessario: ci sono costi significativi che, se sono sostenuti interamente dal provider, possono non rendere il progetto del tutto sostenibile economicamente, soprattutto in fase iniziale”.

Il problema è la scala”, riprende Perfumo. “Fatico a trovare interlocutori di un’ampiezza maggiore e di omogeneità minima. Inventare soluzioni particolari per ogni territorio è difficile. I prototipi vanno bene, ma poi mancano le condizioni per rendere interventi più vasti sostenibili dal punto di vista economico”. Un modello può dunque funzionare ma poi, per le ragioni sopra descritte, è difficile portarlo in altri contesti.

Informare e guidare

Nel frattempo, in tanti e diversi territori, gli esempi che abbiamo raccontato e molti altri continuano ad andare avanti, sperimentando e innovando su scala locale e rappresentando casi importanti da studiare a livello nazionale.

Ai provider, secondo Perfumo, spetta il compito di proporre “offerte che sui temi importanti abbiano davvero un valore aggiunto” e di creare “sistemi che sappiano informare e guidare le persone verso i servizi per loro più adatti, ovunque essi siano, entro e fuori dall’azienda, privati e pubblici”. Una linea in cui si ritrova perfettamente anche Giacometti di Welfarebit.

Questo non è welfare aziendale: una riflessione sui fringe benefit a 3.000 euro

Il rischio, però, è che ora ci sia una battuta di arresto a causa del cambio delle regole sul welfare aziendale. La proposta di alzare il tetto dei fringe benefit a 3.000 euro potrebbe infatti rendere ancora meno interessanti queste esperienze di welfare aziendale territoriale.Che, come abbiamo visto, già non sono semplici. Come abbiamo scritto, infatti, una quota così elevata di fringe rischia di far scomparire gli altri interventi e servizi previsti dalla normativa. Questo perché per le imprese sarebbe più semplice dare ai propri collaboratori dei voucher o delle card acquisto, piuttosto che strutturare un piano di welfare articolato e attento ai bisogni dei lavoratori; e quindi orientato anche verso servizi di natura sociale.

Questo anche perché i fringe non richiedono nessuna forma di contrattazione o regolamento aziendale. Perciò, come abbiamo sottolineato recentemente, “si rischia un cortocircuito per il welfare aziendale così come lo conosciamo” perché, qualora venisse approvata la nuova soglia in maniera strutturale, “andrebbe ad affermarsi una visione consumistica lontana dalle finalità sociali previste dalla normativa”.

 


Questo articolo è stato realizzato grazie al sostegno di AIWA – Associazione Italiana Welfare Aziendale, che associa i principali operatori del mercato del welfare aziendale per promuovere la cultura del welfare, del wellness e del well-being delle persone in azienda.

 

 

Note

  1. Misure che riguardano una vasta gamma di servizi e soluzioni non di carattere strettamente sociale (così come previsto dalla normativa in materia) che le imprese possono destinare ai propri dipendenti godendo comunque, entro quote prestabilite, di benefici fiscali. Tra le formule più comuni ci sono: card acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online), buoni benzina, beni e servizi connessi allo sviluppo della mobilità sostenibile, polizze assicurative.
Foto di copertina: Joshua Rawson-Harris Hire, Unsplash