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Il welfare aziendale è a un punto di svolta. Negli ultimi anni il fenomeno si è diffuso infatti con crescente intensità ed è diventato un tema familiare per imprese, lavoratori, associazioni datoriali e sindacati. Inoltre, gli sconvolgimenti più recenti – in primis pandemia e guerra, con loro conseguenze –  e il crescente interesse politico richiedono di riflettere con attenzione a quello che potrà essere il suo ruolo nel prossimo futuro. Si tratta “solo” di una serie di benefit e misure che le organizzazioni garantiscono ai propri collaboratori per migliorare il clima aziendale, attirare talenti e favorire la retention, oppure può essere anche uno strumento capace di integrare in maniera concreta il welfare pubblico? È stato questo il tema al centro del convegno “Quali competenze servono per un welfare aziendale di qualità?”, svoltosi lo scorso 9 novembre e a cui hanno partecipato rappresentanti delle istituzioni, accademici e responsabili di impresa.

Quale futuro per il welfare aziendale?

L’evento, promosso da Percorsi di secondo welfare insieme alle società benefit eQwa e Walà a quasi un anno dal lancio della Welfare Manager Factory, ha innanzitutto cercato di fare il punto sullo stato di sviluppo del welfare aziendale nel nostro Paese.

In particolare i relatori e le relatrici hanno riflettuto sulle strategie finalizzate a costruire piani di welfare aziendale “di qualità”, cioè in grado di cogliere e affrontare le reali necessità dei lavoratori, senza però andare a duplicare l’offerta di welfare garantita dall’attore pubblico. Come ha detto Martina Tombari di Walà, che ha moderato l’incontro, “la sfida odierna è quella dell’integrazione tra domanda offerta di servizi a tutti i livelli per rendere completa la risposta ai bisogni dei cittadini”.

Lamberto Bertolè, Assessore al welfare e alla salute del Comune di Milano, ha portato il proprio contributo sottolineando la centralità delle politiche sociali per il miglioramento del benessere delle persone: “il welfare non deve essere considerato come qualcosa di residuale e destinato a una fetta marginale di popolazione. Devono esserci sempre più politiche trasversali e universali, promosse dal Pubblico insieme al Terzo Settore, mondo civico, Università, scuole e imprese”. In questo senso, ha continuato l’Assessore “il welfare aziendale non deve essere slegato dalle altre forme di welfare. È necessario, e sempre più lo sarà, guardare agli interventi delle imprese considerando le ricadute per il territorio e le connessioni che possono avere con il welfare locale”.

Per questo oggi si deve agire sulla ricomposizione delle domande di prestazioni e servizi, quindi sull’individuazione dei bisogni, e delle risposte, cioè sull’offerta. “A questo scopo”, ha concluso Bertolè, “credo che il welfare aziendale possa essere utile al processo di ricomposizione. Dovremmo oggi ragionare sulle opportunità di dialogo tra le piattaforme pubbliche, come la piattaforma WeMi del Comune di Milano, e quelle di welfare aziendale. L’obiettivo da raggiungere è consentire alle imprese che fanno welfare di utilizzare WeMi per i piani di servizi destinati ai lavoratori e alle lavoratrici. Così si potranno richiedere servizi di qualità, con il ‘bollino’ del Comune: dalla baby-sitter al corso di nuoto per i figli”.

Nuove risposte per un welfare in cambiamento

Di seguito sono poi intervenuti Alessandro Rosina, professore dell’Università Cattolica di Milano, e Franca Maino, professoressa dell’Università degli Studi di Milano.

Rosina, che è anche direttore del Laboratorio di statistica applicata della Cattolica, ha evidenziato come i cambiamenti demografici stanno avendo (e avranno sempre di più in futuro) degli effetti devastanti sulla sostenibilità dei sistemi di welfare. “Da un lato l’invecchiamento della popolazione, che porterà a un aumento della richiesta di prestazioni sociali e sanitarie, e dall’altro una riduzione della popolazione attiva, che ridurrà le entrate fiscali e contributive degli Stati, avranno degli effetti economici rilevanti sulle possibilità di spesa per le politiche di welfare”.

Per questo, ha sottolineato poi Franca Maino, direttrice di Percorsi di secondo welfare e docente della Statale di Milano, i sistemi di welfare devono tenere il passo con le nuove sfide della nostra società. “Quando il welfare aziendale è di qualità, e quindi è in grado di guardare alle comunità e ai territori, allora può rappresentare un’opportunità di integrazione con la risposta pubblica”.

Ma cosa rende il welfare aziendale “di qualità”? Secondo Maino sono diversi fattori. “Le politiche di welfare delle imprese dovrebbero fornire risposte flessibili ai reali bisogni delle popolazioni aziendali, coinvolgendo la filiera dei servizi del territorio in cui l’azienda opera. Devono poi adottare una logica di sistema, andare cioè oltre le sperimentazioni, e consolidarsi grazie alla contrattazione e alla partecipazione delle parti sociali”. In tal senso “è strategico sfruttare i processi di digitalizzazione, ad esempio attraverso le piattaforme, per aggregare la domanda, favorire la professionalizzazione dell’offerta e orientare utenti. Anche per questo è fondamentale il ruolo di nuove figure professionali, come i Welfare Manager, che sappiano dialogare con le persone e coglierne i bisogni e le necessità”.

Maino ha infatti richiamato l’attenzione sul fatto che oggi le organizzazioni sono alla ricerca di profili con competenze trasversali che sappiano “supportare le imprese nel processo di costruzione del welfare e individuare i bisogni e le risposte più appropriate mantenendo uno sguardo sul territorio di interesse. In questo modo si riesce anche a valorizzare la dimensione di “filiera corta, tessendo reti locali che includano diversi attori: enti del Terzo Settore, parti sociali, enti bilaterali, imprese sociali, associazioni, enti pubblici e attività commerciali”.

Le nuove professionalità del welfare

Proprio sul ruolo sempre più centrale di questi professionisti si sono concentrati i restanti interventi. Ruggero Lensi, direttore generale di UNI, Stefano Bonetto, Presidente Commissione Servizi UNI, e Sergio Sorgi, fondatore di eQwa, hanno spiegato come negli ultimi anni sia cresciuta la domanda di queste professionalità e, quindi, come siano nati strumenti e percorsi finalizzati proprio ad inquadrare le competenze di chi si occupa di welfare aziendale.

Tra questi c’è la Prassi UNI/PdR 103:2021 che, ha ricordato Bonetto, “definisce alcuni requisiti per la progettazione, la realizzazione e la valutazione di progetti di welfare aziendale, il profilo del Welfare Manager in termini di conoscenze, competenze, responsabilità, abilità capacità organizzative e comunicative, le raccomandazioni per la conformità e la certificazione. La prassi si rivolge quindi a tutti coloro i quali sentono la necessità di validare il loro percorso di strutturazione di un piano di welfare aziendale. Oltre che le imprese e i responsabili delle organizzazioni, anche gli operatori e i fornitori di servizi possono adottare gli standard e le procedure definite dalla prassi”.

E proprio per formare professionisti in base alle linee guida stabilite dalla Prassi di Riferimento UNI, è nata la Welfare Manager Factory. Si tratta di un percorso di formazione finalizzato a fornire le giuste competenze a questi professionisti e permettere loro di ottenere una certificazione di qualità basata sulla normativa vigente. Una novità nel panorama formativo del settore.

La Factory, realizzata da eQwa in collaborazione con Percorsi di secondo welfare e Walà”, ha ricordato in chiusura dell’evento Sorgi, “vede protagonisti dei docenti di alto posizionamento e vuole essere un luogo-laboratorio di buone pratiche in rete e una comunità di scambio tra docenti-studenti. La particolarità del corso è che le sue 30 ore sono fruibili totalmente da remoto, tramite una piattaforma dedicata. È quindi sempre possibile iscriversi e frequentare la Factory, in qualsiasi momento e dovunque ci si trovi”.

Un contributo innovativo, dunque, a un settore che continua a svilupparsi e che, proprio per la sua crescente importanza, richiede professionalità capaci di misurarsi con le sfide sempre più complesse che è chiamato ad affrontare.

 

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Foto di copertina: Brands&People, Unsplash