In occasione del Festival Nidi Fioriti, svoltosi a Seregno il 28 giugno scorso, ho avuto l’occasione di intervenire sul valore sociale della longevità e sul ruolo cruciale dei nonni e delle nonne nelle società contemporanee, in particolare nel contesto italiano.
Durante l’intervento, svolto nel panel “I custodi del tempo. Riscoprire il valore sociale dei nonni“, ho approfondito le sfide che le trasformazioni demografiche pongono al sistema di welfare, con un’attenzione specifica ai legami intergenerazionali, alla conciliazione vita-lavoro e alla costruzione di comunità inclusive. Affrontando più nel dettaglio vari temi quali politiche di invecchiamento attivo, conciliazione e coesione comunitaria, ho proposto una lettura che valorizza le risorse della longevità e invita a riconfigurare il welfare in chiave relazionale, integrata e innovativa.
Di seguito propongono una sintesi di queste riflessioni.
Transizione demografica e squilibri del welfare italiano
L’Italia si trova nel mezzo di quello che da più parti viene indicato come l’inverno demografico, caratterizzato da una combinazione problematica di denatalità, degiovanimento, invecchiamento della popolazione e aumento della longevità. Sebbene la maggior parte delle donne italiane esprima il desiderio di avere almeno due figli, come Percorsi di secondo welfare ha spiegato recentemente anche sul Corriere della Sera, il tasso di fecondità effettivo si attesta oggi a 1,18 figli per donna, ben al di sotto del livello di ricambio generazionale. Inoltre, l’età media al primo figlio è in costante crescita e supera i 32 anni. A fronte di una natalità stagnante, la quota di popolazione anziana è destinata ad aumentare: tra il 2040 e il 2060 si prevede che oltre un terzo della popolazione avrà più di 65 anni. Tuttavia, vivere più a lungo non equivale necessariamente a vivere meglio: circa il 30% degli over 65 in Italia è oggi non autosufficiente, a fronte del 27% della media europea.
Queste dinamiche generano nuove fragilità, a cominciare dalla solitudine, favorita dalla crescente diffusione di famiglie monocomponenti e di anziani soli. Il rischio di povertà relazionale e isolamento sociale è una delle criticità emergenti che interrogano le politiche pubbliche.
Queste trasformazioni si inseriscono in un sistema di welfare storicamente sbilanciato. Il modello italiano, pur proclamando la centralità della famiglia, ha delegato ad essa molte funzioni sociali fondamentali, senza dotarsi di servizi adeguati. L’esito di questo “familismo ambiguo” per usare l’espressione della sociologa Chiara Saraceno 1, è un sistema che investe poco in politiche familiari e concentra la spesa sociale sulle pensioni, penalizzando i bisogni connessi alle fasi del ciclo di vita che precedono il ritiro dal lavoro.
La spesa pubblica per famiglie e minori resta tra le più basse dell’Unione Europea. Il risultato è una persistente difficoltà per le famiglie a far fronte a esigenze educative, abitative e di cura, in particolare nelle fasi più delicate come la genitorialità o la conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari.
Il divario di genere nel mondo del lavoro è una delle conseguenze più evidenti di questo assetto: in Italia lavora poco più della metà delle donne (55%) rispetto a una media europea del 69,3%. La disparità occupazionale rispetto agli uomini si amplia ulteriormente in presenza di figli, arrivando fino a 43 punti percentuali tra le coppie con tre o più figli. Inoltre, solo 28 dirigenti su 100 sono donne, segno che la parità nelle posizioni apicali è ancora lontana.
Accanto a queste disparità, troviamo anche il fenomeno del “child gap”: la crescente difficoltà, da parte delle coppie, a realizzare i propri progetti familiari e riproduttivi per mancanza di sostegni concreti. Il divario tra donne “family-oriented” e “career-oriented” è stato superato da una nuova maggioranza di donne che aspirano a conciliare lavoro e maternità, ma spesso sono costrette a rivedere al ribasso le proprie scelte a causa della carenza di servizi, dei costi associati alla genitorialità e della difficoltà a integrare lavoro retribuito e lavoro di cura.
A ciò si somma un persistente impianto culturale paternalista e maternalista che pervade ancora il welfare italiano. Al primo è associato il ruolo del maschio come garante della sicurezza economica della famiglia; al secondo la figura femminile come principale responsabile delle attività di riproduzione sociale. Questa impostazione culturale, ancora fortemente radicata, contribuisce a perpetuare le disuguaglianze di genere e a ostacolare la piena partecipazione delle donne alla vita economica, civica e politica.
Riconoscere il valore sociale della longevità e dei nonni
Di fronte a questo quadro complesso, vi sono almeno quattro direttrici strategiche, possibilmente interdipendenti:
- la promozione dell’equità di genere,
- il riconoscimento del diritto alla cura come diritto in sé, non subordinato allo status occupazionale,
- la valorizzazione del lavoro femminile come leva fondamentale per il benessere collettivo,
- il coordinamento delle politiche per la longevità con quelle per la conciliazione e la parità di genere, promuovendo la costruzione di comunità amiche della longevità.
In questo scenario, con particolare attenzione all’ultimo punto citato, il ruolo dei nonni e delle persone longeve assume una rilevanza centrale2. La loro funzione è molteplice e trasversale. Essi rappresentano un ponte tra generazioni, trasmettendo valori, esperienze e memoria storica. Offrono supporto quotidiano alle famiglie, sono attivi nel volontariato e nelle reti di solidarietà, contribuiscono alla coesione sociale e mettono a disposizione competenze maturate in ambito professionale e personale.
La loro resilienza, frutto di vite attraversate da trasformazioni sociali e culturali, li rende punti di riferimento stabili, in grado di affrontare le incertezze del presente. In questo senso, promuovere il benessere e la partecipazione attiva degli anziani non è solo un obiettivo di giustizia sociale, ma anche una strategia per rafforzare il tessuto relazionale delle comunità.
Per attivare queste risorse, è necessario dotarsi di strategie sistemiche, integrate e di lungo periodo. Partire da obiettivi chiari e condivisi, utilizzare i dati per conoscere e monitorare i fenomeni, progettare gli interventi in modo partecipato, traducendo nel tempo le buone pratiche in politiche pubbliche strutturate. Fondamentale in tal senso è il coordinamento tra politiche e attori, la cooperazione tra Pubblico e privato, e il protagonismo delle comunità locali.
Rivisitare la Strategia FAST per co-costruire comunità longeve e inclusive
In questo quadro si inserisce l’idea di rivisitare la “Strategia FAST”. Da tempo al centro delle riflessioni proposte da Maurizio Ferrera per affrontare i mutamenti demografici, e di recente approfondita nel report “Famiglia, Asili, Servizi, Tempi. L’agenda FAST per contrastare la denatalità in Italia”, la mia proposta è di includere anche un focus specifico sugli anziani.
La A di “asili”, infatti, può essere letta anche come A di “anziani”. Per una strategia orientata a cambiare l’attuale situazione si dovrebbe infatti prevedere, oltre al rafforzamento delle politiche familiari (e dei servizi per l’infanzia):
- lo sviluppo di servizi di qualità per le persone longeve, sia nella fase in cui sono ancora attivi, sia quando sono a rischio fragilità e poi non autosufficienza;
- la promozione della conciliazione e del supporto ai caregiver, anche attraverso il welfare aziendale;
- l’adozione di politiche urbane dei tempi, in grado di facilitare la mobilità, la socializzazione, anche attraverso strumenti digitali, e l’accesso ai servizi.
Guardando ai contesti locali, come la città di Seregno che ha ospitato il Festival Nidi Fioriti (che in autunno farà tappa anche a Milano), questi da tempo rappresentato laboratori territoriali di innovazione e investimento sociale. Laboratori in cui costruire comunità in cui anche le persone longeve, singole o organizzate in associazioni, possono essere protagoniste (oltre che beneficiarie) nel rispondere a una triplice domanda: quella di attivazione e socialità dei nonni, quella di conciliazione vita-lavoro da parte delle persone adulte, e quella di contrasto alla povertà educativa in cui rischiano di scivolare i minori.
L’integrazione tra offerta di servizi esistenti e partecipazione attiva delle persone rappresenta una strada promettente per costruire un welfare di prossimità, capacitante e orientato all’investimento sociale.
Note
- Saraceno C. (2025), La famiglia naturale non esiste, Laterza.
- Il tema è al centro del Quaderno della Fondazione Marco Vigorelli “Anziani, nonni e conciliazione vita-lavoro”.