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Siamo a settembre inoltrato ma il termometro, la scorsa settimana, ha toccato ancora i 30 gradi. L’estate che va concludendosi ha fatto registrare, come le più recenti, lunghe ondate di calore che, è ormai riconosciuto, sono destinate a diventare la normalità. Anzi, aumenteranno per intensità, frequenza e durata.

Tra il 2000 e il 2016, nel mondo, il numero di persone esposte a questo fenomeno è salito di circa 125 milioni (WHO 2023). Le ondate di calore non sono solo un fenomeno climatico, ma anche un fenomeno sociale sia perché colpiscono in maniera diversa le persone rispetto alle loro caratteristiche socio-economiche (es. per età, reddito, settore occupazionale), sia perché hanno conseguenze sociali (es. sulla produttività del lavoro, sugli accessi ospedalieri ecc.), sia perché la loro gestione coinvolge anche le politiche sociali (da quelle sanitarie e abitative a quelle dei trasporti, ecc.).

L’unico aspetto positivo di questi fenomeni estremi è che sono eventi prevedibili con una certa sicurezza e hanno effetti abbastanza prevenibili, dunque mitigabili con politiche e servizi adeguati e con una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini sui comportamenti da adottare. Facciamo qualche esempio.

I servizi estivi per i minori

Anche nello scenario meno grave di un aumento di 1,7 gradi della temperature, Unicef stima che tutti i bambini in Europa ad Asia centrale saranno esposti a ondate di calore più frequenti entro il 2050 (4,5 ondate o più per anno); l’81% sarà esposto a ondate di lunga durata (4,7 giorni o più) mentre il 28% a ondate di forte intensità (2 gradi o più rispetto alla media locale). Questo è un problema.

I bambini sono infatti molto più vulnerabili rispetto al caldo perché hanno una termoregolazione ridotta e non sono completamente autosufficienti – e infatti si raccomanda sempre che siano protetti soprattutto nelle ore più calde. Asili, oratori e centri estivi, però, spesso hanno strutture inadeguate alle temperature alte, come spazi all’aperto verdi e ombreggiati o ambienti chiusi climatizzati. Talvolta, non hanno nemmeno abbastanza personale per verificare ad esempio che i minori bevano regolarmente.

Un bambino gioca con l'acqua durante un'ondata di calore - Foto: Unione Europea
Un bambino gioca con l’acqua durante un’ondata di calore – Foto: Unione Europea

In questo quadro sarebbe auspicabile promuovere programmi di educazione e formazione, rivolti a coloro che si prendono cura dei bambini (dai genitori agli insegnanti, fino agli educatori e ai pediatri) ma anche ai bambini stessi, al fine di prevenire, riconoscere e curare i rischi e le patologie legate al caldo. Si potrebbero quindi aumentare la disponibilità di acqua fresca, modificare i menù estivi incrementando cibi freschi, frutta e verdura, adattare attività e programmi sulla base delle temperature e delle fasi della giornata. O, ancora, adattare gli ambienti che i bambini vivono maggiormente nei periodi caldi con locali climatizzati, ma anche predisporre ambienti con più alberi e giardini. Un’azione quest’ultima che, in realtà, può portare benefici non solo ai più piccoli.

Politiche urbane: partire dagli alberi

Ripensare agli spazi in cui viviamo per adeguarli al calore è forse la più urgente delle necessità. Anni di cementificazione, sottrazione delle aree verdi e abbattimento degli alberi nelle aree urbane hanno creato infatti un ambiente particolarmente ostile.

Uno strumento utile per correggere la rotta è quello della mappatura delle isole di calore, cioè di quelle aree urbane in cui le temperature sono più alte. Le mappe sono utili, da un lato, per indagare chi è la popolazione più esposta e, dall’altro, per adottare soluzioni, sia in termini di servizi che di interventi urbani. Ad esempio lo statunitense National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ha avviato 6 anni fa l’Heat Watch Program, con cui supporta istituzioni e comunità statunitensi nella mappatura del calore delle loro città, così da individuare gli hot spots, cioè i punti particolarmente caldi in cui ci sono pochi alberi, molto asfalto e dove le temperature possono superare di oltre 20 gradi le aree circostanti. Le rilevazioni vengono fatte da team locali di volontari con strumenti e procedimenti specifici e riguardano temperatura, umidità, ora e luogo.

Numerose sono le soluzioni che si possono adottare per mitigare gli effetti del caldo nelle aree urbane. Quella che sarebbe più semplice – ma solo apparentemente – è incrementare le aree verdi e, soprattutto, gli alberi. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet e basato su dati di 93 città europee, più del 4% dei decessi estivi del 2015 possono essere ricondotti a isole di calore; ma ipotizzando di coprire la superficie urbana per il 30% di alberi il numero di morti legate al calore calerebbe di più di un terzo. Un incremento del 30% è l’obiettivo che molte città europee si sono date. Alcune, come Oslo, lo hanno già raggiunto mentre altre, tra cui quelle italiane, lo vedono ancora lontanissimo.

Nel nostro Paese il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) approvato nell’estate del 2021 prevedeva uno stanziamento di 330 milioni di euro per un piano di riforestazione in 14 Città Metropolitane. Un traguardo molto ambizioso che si sarebbe scontrato con “risorse per albero” insufficienti e limitati spazi a disposizione nelle zone cittadine per piantare foreste urbane di dimensioni sufficienti a raggiungere gli obiettivi minimi fissati dal piano. Per non parlare dell’effettiva capacità dei Comuni coinvolti di preparare correttamente i progetti e di trasformarli in realtà, una volta approvati  – “riforestare” richiede di ripensare radicalmente la viabilità, l’edilizia ecc. L’obiettivo, infatti, sta probabilmente per essere abbandonato: nella proposta di modifica del PNRR il Governo ha chiesto alla Commissione europea di poter ridimensionare l’obiettivo di piantare 6,6 milioni di alberi entro il 2024 e di decurtare 110 milioni di euro dai 330 milioni previsti.

Potenziare i servizi per sostenere le comunità

Guardare ai quartieri e centri urbani aiuta a comprendere anche chi sono i cittadini più colpiti e di conseguenza quali interventi andrebbero adottati. Come spiegato sulle pagine di Internazionale, dove si riprende la ricerca di Eric Klinenberg Heat wave summer 1995: social autopsy of a disaster, sull’ondata di calore che colpì Chicago nel 1995, “otto dei dieci quartieri con il più alto tasso di mortalità di quell’estate erano popolati quasi esclusivamente da afroamericani. Queste aree erano anche caratterizzate da una grave povertà e da un’alta concentrazione di criminalità. In questi quartieri vivevano molte persone che erano completamente isolate”. 

“Nelle aree urbane in cui ci sono stati meno morti – prosegue l’articolo – le strade erano vivaci, c’erano molti negozi sempre aperti, strutture pubbliche come parchi e biblioteche e la vita comunitaria era attiva. Al contrario, i quartieri più colpiti erano caratterizzati da un alto grado di abbandono: negozi chiusi, fabbriche in rovina, terreni abbandonati usati per il traffico di droga, residenti in fuga. Nel primo caso, si poteva raggiungere a piedi un ristorante o il negozio di alimentari. La gente conosceva i vicini, sapeva chi viveva da solo, chi era malato”. Questo caso dimostra l’importanza di avere quartieri che dispongano di servizi, attività e punti di aggregazione, tanto più in estate quando le ferie portano alla chiusura ulteriore di attività commerciali o aggregative.

Bambini si rinfrescano in una fontana in città
Bambini si rinfrescano in una fontana in città – Foto di chernikov66304 su Unsplash

In Italia, per contrastare solitudine e isolamento, il Ministero della Salute ha attivato nel 2004 il numero di pubblica utilità 1500 “Proteggiamoci dal caldo”, con l’obiettivo di offrire un servizio di prossimità ai cittadini, in particolare a quelli di età avanzata o con problemi di autosufficienza, fornendo un orientamento ai servizi socio-sanitari presenti sul territorio nazionale e svolgendo al tempo stesso anche attività di counseling telefonico. A questo si aggiungono i progetti attivati dai Comuni per facilitare il contatto o l’attivazione dei servizi sociali e sanitari territoriali e fornire informazioni su farmacie aperte, orari dei servizi comunali e dei servizi sociali-sanitari. Molto spesso però i “pronto intervento” si concentrano sugli aspetti sanitari, lasciando in secondo piano quelli relazionali e connessi alla “vita quotidiana”.

Una città avvolta dalla calura estiva - Foto di Jonas Weckschmied su Unsplash
Una città avvolta dalla calura estiva – Foto di Jonas Weckschmied su Unsplash

A questo proposito si potrebbe mettere a frutto ad esempio l’esperienza fatta durante l’emergenza pandemica, quando le reti di prossimità hanno svolto un importante presidio sociale, sia come disbrigo di pratiche e commissioni che – per quanto allora possibile – relazionale. Alcuni studi che hanno iniziato a indagare l’impatto di queste misure 1 confermano infatti come i progetti che intervengono sull’isolamento siano efficaci e poco costosi nel ridurre la mortalità, ad esempio, tra gli anziani.

Aumentare la sicurezza sul lavoro

Da ultimo, i lavoratori impiegati in alcuni settori professionali sono particolarmente esposti alle ondate di calore. Operai impegnati in processi produttivi che producono calore, o all’aperto, come in agricoltura o edilizia, o che indossano abbigliamento/equipaggiamento di protezione pesante o, ancora, che non hanno la possibilità di procurarsi da bere: in questi casi il calore può essere considerato un rischio occupazionale. Le elevate temperature possono infatti causare malori o ridurre la capacità di attenzione del lavoratore e quindi aumentare il rischio di infortuni. Oltre i 38 gradi si stima che quest’ultimo salga infatti del 10-15% (ETUI 2022).

Tuttavia non c’è ancora una piena consapevolezza da parte dei lavoratori dei comportamenti da adottare né una regolamentazione completa per i datori di lavoro. La questione è particolarmente critica per i lavoratori in nero, i braccianti, soprattutto se migranti senza documenti, e per i lavoratori delle piccole e micro imprese, che più spesso non dispongono né dell’organizzazione né degli strumenti per adeguare turni e mansioni al caldo.

Per proteggere i lavoratori più esposti andrebbero quindi promosse una serie di misure quali ad esempio formare i lavoratori sui comportamenti idonei; ridurre l’attività lavorativa nelle ore più calde; garantire la disponibilità di acqua nei luoghi di lavoro; prevedere un programma di turnazione per limitare l’esposizione dei lavoratori; mettere a disposizione idonei dispositivi di protezione individuali e indumenti protettivi. Su questi temi potrebbero assumere un maggior protagonismo sindacati e associazioni datoriali, al fine di trovare soluzioni operative condivise e di promuovere una maggiore consapevolezza tanto tra i lavoratori che tra i loro responsabili.

Note

  1. Si veda ad esempio questo studio condotto nella città di Roma o quanto accaduto a Bergamo, di cui abbiamo parlato anche nel Quinto Rapporto sul secondo welfare, ndr
Foto di copertina: Foto di Alexander Grey su Unsplash