Quasi un quarto della popolazione oggi ha un’età superiore ai 65 anni, rappresenta una fascia di popolazione pensionata e mediamente in buona salute, che nel prossimo futuro potrà arrivare a un terzo dell’intera popolazione, un segno tangibile, questo, dei progressi della nostra società.
È una realtà che non può essere rimossa, che pone problemi inediti, una vera sfida non solo alla nostra società, essendo un fenomeno che travalica i nostri confini. Un fenomeno, che necessita di un cambio di paradigma, di una rivoluzione culturale, anche per poter contrastare la cultura dell’ageismo.
La transizione demografica che è dinnanzi a noi pone nuove sfide sociali, economiche, al sistema di welfare. Impone anche un pensiero di genere, in quanto interesserà in modo particolare il genere femminile. Si renderà necessaria una riorganizzazione delle nostre città, del sistema dei trasporti, per facilitare la socialità e la partecipazione alla vita sociale e culturale, si renderanno necessari nuovi modelli dell’abitare, per poterli rendere più a misura di anziano.
I nostri centri urbani, se vorranno essere a misura di anziano, dovranno incoraggiare l’invecchiamento attivo ottimizzando le opportunità a favore della salute, della partecipazione e della sicurezza, allo scopo di rafforzare la qualità della vita per poter meglio accompagnare questa transizione demografica che non ha precedenti.
Quello che le persone anziane chiedono
Quello che le persone anziane chiedono, in primis ai decisori politici di ogni livello, ma anche alle nostre comunità, è che si tenga conto in modo responsabile della loro esistenza, che non vengano considerate un problema, che non si releghino in vecchi stereotipi, che si riconoscano i loro diritti di una piena cittadinanza, che li incoraggino e li sostengano in considerazione ai loro bisogni e aspirazioni, in modo da compensare i cambiamenti fisici al fine di un invecchiamento attivo e in salute.
Questo credo potrà avvenire solo nel momento in cui riusciremo a liberarci da quella cultura economicista, che considera marginali tutto coloro che non hanno più un ruolo produttivo. Dobbiamo saperci affrancare da quella cultura degli scarti, più volte richiamata da Papa Francesco, il quale ha avuto anche modo di affermare: “dove non c’è cura per gli anziani, non c’è futuro per i giovani. Il venir meno di questa presenza, finisce per privare i giovani del necessario contatto con le loro radici e con una saggezza che la gioventù da sola non può raggiungere”.
Contro gli stereotipi ingiusti
Gli anziani sono spesso etichettati con stereotipi negativi, che enfatizzano la dipendenza, la fragilità, l’inutilità e la lentezza, meri consumatori di risorse pubbliche: sono, però, solo stereotipi ingiusti, che non rispecchiano la realtà.
In una recente indagine, si rileva che il 24% fornisce assistenza ai familiari e il 37% svolge una qualche forma di volontariato; inoltre il 74% degli ultrasessantacinquenni fornisce sostegno finanziario ai giovani del proprio nucleo famigliare, aiutandoli a sostenere le spese per istruzione, vacanze, tempo libero.
Sulla base dei dati INPS/Istat, gli over 65 sono e saranno prevalentemente donne con un’aspettativa di vita più lunga di circa 5 anni e una possibilità di restare senza coniuge più elevata rispetto ai maschi.
L’80% vive in case di proprietà, e addirittura il 60% ha una casa grande con almeno 4 stanze. Sono e saranno grandi consumatori di domotica e di attrezzature specifiche per la casa, per poter svolgere in autonomia le attività principali della vita quotidiana.
Utilizzano sempre più la tecnologia, smartphone, pc, tablet, Internet e social network per comunicare e per organizzare al meglio la giornata. Amano vivere in prevalenza nei centri delle città o dei paesi, producendo nei fatti sia un cambiamento nella vita sociale del quartiere, con una riconfigurazione dei centri di aggregazione, dei negozi di prossimità e dei servizi.
Amano trascorrere periodi fuori città, al mare o in montagna, soprattutto quando le città sono inquinate nei periodi invernali; sono i protagonisti delle vacanze di mezza stagione.
Alcuni continuano a svolgere attività lavorativa a tempo pieno o parziale, anche dopo il pensionamento; altri si dedicano al volontariato o a diversi centri di aggregazione, e spesso fanno i nonni quasi a tempo pieno. Desiderano la compagnia, e la solitudine è spesso la “malattia” più indesiderata. Leggono molto e sono i maggiori fruitori della carta stampata; partecipano a iniziative culturali, vanno al cinema e a teatro, frequentano musei e partecipano agli incontri pubblici.
Hanno, soprattutto con l’avanzare dell’età, bisogno di assistenza per lo svolgimento di determinate attività (es. fare la spesa o lavori domestici) e, in caso di non autosufficienza parziale o totale, necessità di cure adeguate per intensità e durata, un’assistenza a domicilio incentrata sul care multidimensionale, per consentire alla persona di continuare a vivere e ad abitare nel luogo che non vorrebbe abbandonare.
Che cosa manca per promuovere l’invecchiamento attivo?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato per il periodo 2020-2030, il decennio dell’invecchiamento in salute “all’interno del quale ci si propone di migliorare la vita delle persone anziane mettendo in campo politiche coordinate che vadano nella direzione di cambiare il modo in cui pensiamo all’invecchiamento, promuovere la capacità di autonomia delle persone anziane, fornire assistenza integrata centrata sulla persona, fornire servizi sanitari primari che rispondano alle loro esigenze, fornire agli anziani che ne hanno bisogno l’accesso a un’assistenza di qualità a lungo termine”.
Ma le nostre città e il nostro sistema dei servizi oggi non sono di certo a misura di anziano, scontiamo enormi ritardi culturali, organizzativi, strutturali, nonché sul terreno delle tecnologie assistive.
Sono stato tra coloro che avevano guardato con speranza al varo della Legge delega 33 del 2023 sull’Invecchiamento attivo, la promozione dell’autonomia, la prevenzione della fragilità, l’assistenza e la cura delle persone anziane anche non autosufficienti, varata dal Governo Draghi. Quella speranza è stata purtroppo disattesa dal decreto attuativo approvato dall’attuale Governo Meloni, l’11 marzo del 2024, che di fatto ha riscritto una non riforma. Nel disegno di Legge delega veniva delineato un orizzonte verso il quale il nostro sistema doveva orientarsi al fine di poter assicurare la dignità, l’autonomia, l’invecchiamento attivo, la prevenzione della fragilità, la promozione della salute e della cultura della prevenzione lungo tutto il corso della vita, il contrasto all’isolamento, alla marginalizzazione ed esclusione sociale e civile, alla deprivazione relazionale e affettiva delle persone anziane.
La realizzazione di quella riforma, avrebbe potuto dare avvio a un processo riformatore, avrebbe contribuito anche a sviluppare una nuova cultura a sostegno dell’invecchiamento attivo, ma per poter sconfiggere quell’orientamento politico che l’ha fortemente depotenziata e smantellata, occorre il sostegno e la mobilitazione delle migliori energie presenti nel Paese.
Questo articolo è uscito sul numero 1/2025 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio. |