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L’articolo che segue è parte di “Andare a fondo della conciliazione”, dispensa che raccoglie approfondimenti tematici per i partecipanti del modulo formativo ““RTC e nuove logiche per innovare i servizi locali: il ruolo delle Alleanze” realizzato da WorkLife Community.

Quanto sono garantite le opportunità di accesso al welfare aziendale alle persone con disabilità? La domanda non ha una risposta immediata.

Le misure e i servizi di welfare sono – di fatto – un’opportunità per rispondere ai bisogni sociali in maniera trasversale rispetto a chi lavora in un’organizzazione. E quindi si, favorisce anche chi ha una disabilità. Nei fatti però i dipendenti con disabilità, che hanno peraltro maggiori necessità di cura, spesso hanno maggiori difficoltà nell’usufruire delle prestazioni di welfare sostenute delle imprese. Ma proviamo a capirne di più.

Il welfare aziendale e la disabilità

Partiamo dai numeri. Secondo il report Istat “Conoscere il mondo della disabilità: persone, relazioni e istituzioni”, uscito nel 2019, il 31,3% delle persone tra i 15 e i 64 anni “con limitazioni” è occupato (si tratta perciò di poco meno di 220.000 unità)1. Ciò è possibile anche grazie alla presenza nella legislazione del nostro Paese di alcune norme dirette a favorire l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Tra le più importanti ci sono la Legge 104 del 1992, che dall’articolo 18 all’articolo 22 tratta proprio la questione dell’inserimento nel mondo del lavoro, e la Legge 68 del 1999, che ha invece introdotto l’istituto del collocamento mirato e che concepisce l’inserimento lavorativo come una opportunità di autorealizzazione e uno strumento di inclusione sociale.

Nonostante una normativa nazionale piuttosto evoluta, i lavoratori e le lavoratrici con disabilità sono però ancora svantaggiati su vari fronti, tra cui quello del welfare aziendale.

Su questo fronte la prima questione da sottolineare è la scarsità di servizi di cura e assistenza per la disabilità disponibili attraverso i canali classici del welfare d’impresa, nonostante questi rientrino nella normativa vigente. In merito Emmanuele Massagli, presidente di AIWA, l’associazione italiana che riunisce i principali operatori di welfare aziendale, ha spiegato che “la lettera f dell’articolo 51 del TUIR (il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, ndr) prevede che i servizi per i dipendenti che hanno finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente. Questo vuol dire che i servizi assistenziali o sanitari rivolti ai lavoratori disabili sono effettivamente agevolati dal punto di vista fiscale e rientrano in quello che comunemente è definito welfare aziendale”.

Caregiver: il sostegno che può venire dal welfare aziendale

Molto spesso però le piattaforme e, di rimando, le imprese che investono nel welfare aziendale non tengono in considerazione questo genere di prestazioni. Spesso accade che nelle aziende che fanno welfare manchino i servizi mirati per i lavoratori disabili. La questione è che ancora oggi il nostro mercato del lavoro tende a evitare che la persona con disabilità lavori e sia inserita stabilmente in azienda. Perciò non ci sono molte esperienze di welfare aziendale che fanno leva sulle misure per la popolazione aziendale con disabilità. In altre parole, non essendoci molti lavoratori disabili, c’è una bassa domanda di servizi assistenziali e di cura da parte dei lavoratori e, di conseguenza, anche l’offerta non si è sviluppata”, continua Massagli.

L’accessibilità del welfare aziendale non è uguale per tutti

C’è poi un’altra questione. Alcune delle prestazioni previste dal welfare aziendale e comunemente presenti nelle piattaforme dei provider sono meno accessibili per chi ha disabilità. 

A questo riguardo Nina Daita, responsabile nazionale per le politiche per le disabilità di CGIL, fa notare che “l’attuale normativa che regola il welfare aziendale non prevede, per esempio, i servizi di cura e pulizia della casa, che per molti lavoratrici e lavoratori disabili sarebbero fondamentali dato che spesso si trovano a dover acquistare queste prestazioni sul mercato privato”. Questi servizi ‘domestici’ non rientrano di fatto tra quelli acquistabili o rimborsabili attraverso i crediti welfare, ma per le persone con disabilità sarebbero indubbiamente utili, anche in un’ottica di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Anche per quanto riguarda il tempo libero ci sono meno possibilità per le persone con disabilità. Come spesso vi abbiamo raccontato (per esempio qui), tra i benefit di welfare aziendale rientrano anche una serie di attività ricreative, come viaggi, attività culturali, abbonamenti o ingressi a cinema, teatri, palestre, centri sportivi, impianti sciistici, spa, ecc. 

Il welfare aziendale tra sanità integrativa, telemedicina e sostegno ai caregiver

Secondo Daita però molte di queste opportunità non sono accessibili – o lo sono meno – per chi ha disabilità. “Sport e palestra sono molto presenti nei pacchetti di welfare aziendale ma per alcuni non è possibile metterli in atto. Chi soffre di disabilità grave difficilmente potrà utilizzare il welfare per fare sport perché, date le sue condizioni fisiche, spesso non può praticarlo. Il problema si presenta anche per i viaggi. Le offerte presenti nelle piattaforme hanno raramente soluzioni anche per chi è disabile: e questo limita molto l’utilizzo dei premi di welfare in questa direzione”.

C’è poi il tema della mobilità. “Per chi è disabile”, conclude Daita, “la possibilità di spostarsi è un argomento cruciale. Attualmente però non esistono opportunità specifiche per lavoratrici e lavoratori disabili: la normativa prevede soluzioni di trasporto collettivo oppure il rimborso per gli abbonamenti per il trasporto pubblico. Eppure sarebbe essenziale dare maggiori possibilità di usufruire di mezzi di trasporto comodi e sicuri, per tutte le disabilità: fisiche, intellettive, sensoriali, eccetera”.

Le opportunità per i lavoratori disabili

È comunque vero che nell’alveo del welfare aziendale sono previste soluzioni particolarmente utili anche per lavoratrici e lavoratori disabili. Un esempio concreto è quello della sanità integrativa e di tutte quelle attività previste dalla normativa che riguardano il benessere fisico e mentale. Possono infatti rientrare all’interno di piani di welfare anche servizi riabilitati, check-up, analisi e visite mediche, consulti con specialisti, terapie di varia natura; possono essere richiesti poi anche servizi di supporto psicologico e per il benessere mentale.

Nonostante tali opportunità, però, molto spesso anche le imprese più attente alle politiche di inclusione (spesso definite anche di “Diversity and Inclusion”) non riescono a garantire un’adeguata accessibilità ai servizi di welfare ai lavoratori svantaggiati. Per ridurre al minimo questo rischio una possibilità è quella di investire in figure formate che – a livello aziendale o territoriale – si occupino di costruire adeguatamente il piano di welfare. 

Secondo Massagli, “le organizzazioni che hanno dei consulenti esperti o delle figure interne che si occupano in maniera specifica del welfare riescono a realizzare delle policy più attente alle esigenze della popolazione aziendale. E questo vale anche nel caso in cui ci siano lavoratori disabili, con specifiche necessità ed esigenze in materia di welfare aziendale”.

Le imprese che hanno un Welfare Manager o un Disability Manager possono attivare piani di ascolto, analisi dei bisogni e progettazione di piani di servizi e soluzioni ad hoc, anche per chi ha disabilità. A questo si possono accompagnare anche piani di comunicazione e informazione per far conoscere bene le opportunità che l’azienda mette a disposizione dei propri collaboratori. Questo perché si tratta di Manager adeguatamente formati, che conoscono il funzionamento delle politiche di welfare e di inclusione”, conclude.

Welfare Manager: cos’è e perché è sempre più importante per le organizzazioni

Anche per queste ragioni, come spesso vi abbiamo raccontato (ad esempio qui), le organizzazioni sono sempre più alla ricerca di figure professionali in grado di gestire il processo di implementazione del welfare in azienda. E il loro valore è riconosciuto da più parti. La Regione Lombardia, ad esempio, ha inserito nel 2020 il Welfare Manager all’interno del Quadro regionale degli standard professionali, lo strumento che inquadra e definisce i profili professionali, le competenze richieste e i percorsi formativi necessari. Inoltre, nel 2021, una serie di enti ha promosso la Prassi UNI/PdR 103:20211 proprio per delineare a livello nazionale i requisiti di competenza del Welfare Manager.

L’auspicio, dunque, è quello che professionisti preparati continuino a formarsi per valorizzare al massimo le possibilità del welfare aziendale, anche – e soprattutto – per lavoratrici e lavoratori con disabilità.

 

Note

  1. Purtroppo questo è uno dei pochi dati attualmente disponibili rispetto al tema della disabilità e del lavoro. In merito alla mancanza di dati e statistiche ufficiali sulla disabilità, rimandiamo a questo interessante articolo de Il Post, pubblicato a novembre 2022.