L’Alleanza contro la Povertà in Italia ha presentato otto proposte per migliorare il Reddito di Cittadinanza (RdC). La rete, che riunisce le principali organizzazioni italiane che a vario titolo si occupano di sostegno agli indigenti, ha deciso di approfondire l’analisi fatta nei mesi scorsi attraverso un attento lavoro di ricerca, condotto da un gruppo di docenti e ricercatori universitari, volto a individuare le criticità strutturali della misura su cui occorre intervenire. E che potrebbero già essere affrontante nella prossima Legge di Bilancio.

Nello specifico, l’Alleanza ha individuato i seguenti punti per arrivare a una versione 2.0 del Reddito di Cittadinanza: promuovere una maggiore equità della misura a favore di famiglie con minori, numerose e con stranieri; rendere i requisiti monetari (reddituali e patrimoniali) più coerenti e razionali; semplificare i processi di presa in carico e favorire l’integrazione tra Centri per l’Impiego e Servizi sociali territoriali; rendere volontari i PUC secondo una logica di empowerment; accogliere efficacemente i nuovi profili di povertà; ridisegnare la misura per renderla compatibile con schemi di mantenimento dell’occupazione.

Roberto Rossini, Portavoce dell’Alleanza, ci ha aiutato a mettere a fuoco le questioni cruciali su cui intervenire nel breve e lungo periodo.

Quale contributo offre oggi l’Alleanza per ripensare il Reddito di Cittadinanza?

L’Alleanza ha un approccio riformista. A differenza di chi sul versante politico si batte per l’abolizione della misura, l’Alleanza riconosce che il RdC è indispensabile per contrastare la povertà.

È tuttavia evidente che RdC richiede numerosi correttivi e le nostre proposte vanno in questa direzioni. In questi anni si sono susseguite diverse misure di contrasto alla povertà. Siamo passati prima dalla Social card al Reddito di Inclusione (ReI), poi poco meno di un anno dopo l’introduzione del ReI è arrivato il Reddito di Cittadinanza e, durante la pandemia, è stato introdotto il Reddito di Emergenza (REM).

Uno dei punti che noi abbiamo sempre sottolineato rispetto al tema della povertà è che la fuoriuscita dalla povertà è possibile solo attraverso la costanza degli interventi locali e nazionali e a fronte di finanziamenti certi e strumenti stabili.

A vostro avviso quali sono le principali criticità della misura su cui è necessario intervenire?

L’Alleanza ha definito otto proposte per il miglioramento della misura in termini sia di efficienza che di equità. Le questioni macroscopiche riguardano la scelta della scala di equivalenza e il vincolo di residenza per le famiglie non italiane.

Quanto alla prima, è noto come la configurazione attuale della misura presti meno attenzione alle famiglie numerose, favorendo invece singoli individui. La proposta è quella di modificare la scala di equivalenza da adottare per i requisiti e gli importi del RdC, tenendo in considerazione la composizione dei nuclei richiedente la misura.

Occorre fare maggiore attenzione alle famiglie numerose, ripensando la scala di equivalenza, e alle famiglie straniere, superando il vincolo discriminatorio.

La seconda questione riguarda il vincolo discriminatorio riferito alle famiglie straniere. Attualmente può ricevere il RdC solo chi risiede in Italia da almeno dieci anni; un limite, a nostro parere, che andrebbe riportato sul livello di due anni, come previsto dal ReI. Se si tratta di una misura finanziata dalla fiscalità generale, e quindi anche dagli stranieri che vivono e lavorano nel nostro Paese, è giusto che ne beneficino tutti, fatto salvo un periodo di residenza minimo per evitare potenziali comportamenti opportunistici.

Andiamo a vedere anche gli altri punti su cui chiedete di intervenire…

 Le altre proposte sono altrettanto importanti e spaziano dalla razionalizzazione dei requisiti d’accesso alla costruzione di percorsi di presa in carico personalizzati e capacitanti. L’attuale frammentazione e complessità del percorso limita l’efficacia della misura. Molti beneficiari, spesso i più fragili, si arrendono ancor prima di accedervi, a causa dell’iter troppo lungo e scoraggiante. Altri, non vengono nemmeno intercettati, considerati i requisiti troppo restrittivi. Da una parte proponiamo quindi di allentare i vincoli aggiuntivi, ad esempio con l’innalzamento della soglia del patrimonio patrimoniali e reddituale. Dall’altro di favorire un accompagnamento “leggero” nella fase di presentazione della domanda. La proposta è quella di reintrodurre i Punti Unici, un’eredità strategica prevista dal ReI.

Un altro punto riguarda il superamento dell’automatismo nella presa in carico della domanda che attualmente prevede il rinvio dei percettori dal Centro per l’Impiego ai Servizi sociali e viceversa. In un contesto in cui la povertà è sempre più multidimensionale, occorrono risposte sempre più mirate, che si avvalgano di strumenti capaci di lavorare sulla prevenzione del rischio. Il procedimento di presa in carico può diventare un’occasione per costruire percorsi individualizzati, inclusivi e capacitanti.

Bisogna intervenire per razionalizzazione i requisiti d’accesso e per costruire percorsi di presa in carico personalizzati e capacitanti.

Nell’ambito dei Patti per il lavoro e/o per l’inclusione sociale, i Progetti di Utilità Collettiva (PUC) (di cui vi parlammo qui, nrd) sono lo strumento su cui si deve insistere. La configurazione attuale dei PUC rischia di avviare attività di inserimento lavorativo fini a se stesse, di ridurre il tutto ad un approccio di mera “attivazione” lavorativa e di adempimento burocratico. La nuova platea di poveri richiede invece interventi mirati e differenziati, volti ad avviare percorsi di aggiornamento delle competenze e di autoimprenditorialità. Uno degli obiettivi, inoltre, è quello di ridefinire la compatibilità tra la misura e il reddito da lavoro, con l’obiettivo di scongiurare l’effetto “trappola della povertà”.

Lo stesso RdC può essere non solo un incentivo all’occupazione – per coloro che dispongono delle condizioni per essere occupati – ma anche un “amico dell’occupazione”. L’obiettivo è scongiurare un intervento secondo logiche categoriali e introdurre regole di compatibilità più favorevoli al mantenimento dell’occupazione, ad esempio, attraverso la riduzione dell’aliquota marginale applicata al reddito da lavoro (dal 100% al 60%).

Questi sono gli strumenti che, a nostro parere, consentirebbero al RdC di migliorare la propria funzione di protezione e promozione sociale.

Come dovrebbe coordinarsi il RdC con altre misure sociali come, ad esempio, l’Assegno Unico Universale per i Figli?

 L’Alleanza al momento non ha assunto una posizione ufficiale sui potenziali meccanismi di integrazione tra le due misure; siamo in attesa di maggiori dettagli sull’implementazione dell’Assegno Unico, che ancora mancano. Vorrei però evidenziare come nel provvedimento sull’Assegno Unico si menzioni la compatibilità con il Reddito di Cittadinanza: l’Alleanza intende questa “compatibilità” come somma tra le due misure. La ragione è quella che dicevo prima: in situazioni in cui il reddito da lavoro è molto basso e la scala di equivalenza risulta inefficace, la somma tra le due misure potrebbe contribuire ad alleviare alcuni condizioni di fragilità delle famiglie.

Come si potrebbe inquadrare l’eventuale riforma del Reddito di Cittadinanza nella cornice del PNRR?

Il RdC è citato poco nel PNRR ma nella sostanza lo si intravede, ad esempio, quando si parla di lotta alla povertà, di politiche attive del lavoro, di politiche per la famiglia o di coesione sociale. In relazione alle politiche attive, le misure di contrasto alla povertà potrebbero beneficiare di un miglioramento notevole dal punto di vista del finanziamento pubblico.  C’è poi tutta la parte che comprende i servizi di coesione, mi riferisco alle stazioni di posta (centri polifunzionali che offrono un’accoglienza notturna limitata e ulteriori servizi quali quelli sanitari, ristorazione, orientamento al lavoro, distribuzione di beni alimentari, ecc., NdA) e queste potranno avere un ruolo importante rispetto ai processi di integrazione sociale.

Altri strumenti di intervento sono stati introdotti dal Piano dei Servizi Sociali, approvato a inizio agosto: si tratta di capire come saranno poi progettati a livello territoriale. Aldilà dell’erogazione di un sussidio monetario, il vero contrasto alla povertà si realizza nell’implementazione di una misura sul territorio comunale, provinciale, distrettuale.

Il coordinamento tra Terzo Settore e Pubblica Amministrazione avrà, spero, un ruolo da protagonista nell’implementazione del PNRR e possibilmente nel favorire l’inclusione sociale degli ultimi.

Pensate che la riforma del Reddito di Cittadinanza possa avvenire già con la prossima Legge di Bilancio?

Siamo convinti che ci siano delle condizioni favorevoli. Il Ministro Orlando è ben intenzionato e credo che, al momento, ci sia proprio la necessità politica di evitare che ci siano delle derive, come ad esempio indire dei referendum per abolire la misura.

Ci sono le condizioni per poter recepire le nostre proposte già nella prossima Legge di Bilancio.

Ritengo che in questo momento sussistano le condizioni ideali per poter recepire anche le nostre pressioni. Anche il Presidente del Consiglio e il Governo si sono infatti detti favorevoli alla riforma del Reddito di Cittadinanza.

 


Approfondisci le proposte dell’Alleanza contro la povertà per rilanciare il Reddito di Cittadinanza