4 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Marc Augé, antropologo, filosofo e scrittore francese è stato l’inventore del neologismo “non luogo”. Con questo termine si fa riferimento a quegli spazi di circolazione, consumo e transito – come aeroporti, supermercati o aree di servizio – privi di storia e incapaci di stimolare e alimentare relazioni sociali.

Sono luoghi che, seppur frequentati da centinaia e talvolta migliaia di persone ogni giorno, non facilitano l’interazione tra chi li frequenta. Inoltre, anche se si basano sull’utilizzo di simboli e codici conosciuti da tutti, non consentono la generazione di forme di appartenenza utili a creare comunità.

Il concetto di “non luogo”, per certi versi, può essere utilizzato anche per internet. Come lo stesso Augè ha affermato di recente, se da un lato il digitale consente di mettere in contatto tra loro persone distanti e magari di creare anche nuove relazioni – ad esempio attraverso i social network – dall’altro rischia di incentivare la disintermediazione tra le persone.

Ciò è dovuto al fatto che molto spesso se ne fa un cattivo uso. Basti pensare al dibattito nato negli ultimi anni relativo alla diffusione delle fake news attraverso i social network. Ma anche perché non tutti hanno le competenze e le conoscenze adeguate per utilizzare al meglio internet e gli strumenti digitali.

Gli anziani e la digitalizzazione

Un esempio concreto di come internet possa divenire un “non luogo” per alcune categorie di persone riguarda gli anziani. Chi si occupa della questione delle disuguaglianze nell’accesso a internet ha infatti ben chiaro il tema del digital divide intergenerazionale.

In merito, nel volume “Preparare un giusto futuro. L’intelligenza artificiale e i diritti fondamentali”, l’Agenzia europea per i Diritti Umani afferma che, all’interno dell’Unione, sussiste un significativo divario digitale tra le generazioni e che questo tende ad aumentare con l’avanzare dell’età.

Per quanto riguarda il nostro Paese, il rapporto Istat “Cittadini e ICT” del 2019 mette in luce che – nonostante quasi la totalità delle famiglie con almeno un minore (95%) dispone di un collegamento a banda larga – solo il 34% delle famiglie composte esclusivamente da persone over 65 ha un accesso a internet.

Inoltre, come riportato dal report del progetto Digitol, che analizza e rielabora i dati Istat, per la fascia over 80 si registra un utilizzo pressoché nullo di internet. La situazione migliora per la fascia 65-69 anni, dove 2 persone su 3 indicano di utilizzare pc, tablet o smartphone regolarmente. Le attività più diffuse riguardano soprattutto l’utilizzo dei servizi di messaggeria istantanea (70%). Le altre attività frequentemente svolte sono la lettura di giornali, informazioni e riviste online (57%) e la ricerca di informazioni sanitarie (47%).

Nel rapporto si evidenziano però anche importanti criticità. Tra le problematiche più spesso rilevate non vi è solo l’impossibilità di accesso a internet, dovuto alla mancanza di un device, ma il più delle volte la carenza di alfabetizzazione digitale e di competenze di base.

L’operatore socio-digitale

Per aiutare le persone più anziane ad apprendere le competenze di base per utilizzare internet e, al tempo stesso, guidarle nell’utilizzo degli strumenti digitali può essere d’aiuto il Terzo Settore.

Il mondo del non profit è costituito, infatti, da professionisti e operatori con le caratteristiche necessarie a svolgere questo compito. Si tratta, infatti, di interventi che non si limitano alla formazione (o alfabetizzazione) digitale, ma che dovrebbero invece tenere in considerazione una serie di aspetti sociali e relazionali.

A tal riguardo, recentemente ci siamo imbattuti nel progetto Gioia, un intervento finanziato dalla Fondazione MPS attraverso il bando Riesco. Questa progettualità ha previsto l’introduzione di una figura particolare: l’operatore socio-digitale.

Gli operatori, che provengono dal mondo sociale e che lavorano per cooperative o fanno i volontari all’interno di associazioni, svolgono il compito di “facilitatori digitali”. Oltre a spiegare e far capire le principali funzionalità di internet, di alcune applicazioni o social network, gli operatori socio-digitali si occupano anche di garantire le più classiche formule di sostegno e di cura.

Possono essere, ad esempio, operatori che lavorano in una RSA che – dopo essere stati formati – si occupano di organizzare dei momenti di socializzazione e formazione leggera dedicati proprio agli strumenti digitali. Oppure volontari di associazioni che, oltre a fare assistenza, aiutano gli anziani nel mantenere i contatti con la propria famiglia attraverso applicazioni per la messaggistica online.

Una digitalizzazione “gentile” insieme alla cura della persona

La peculiarità dell’operatore socio-digitale è dunque quella di sapere gestire situazioni di fragilità e quindi sapersi occupare a tutto tondo della persona, in particolare sul piano sociale.

Gli operatori delle cooperative sociali o delle RSA che lavorano con gli anziani, per esempio, sono formati e sanno come proteggere le persone in difficoltà e promuovere nuove relazioni sociali. Inoltre, hanno le competenze per ascoltare e comunicare attivamente con questa figura, anche con lo scopo di promuovere il più possibile l’autosufficienza della persona nelle attività quotidiane. E sanno come alimentare occasioni di incontro e relazione, in modo da mantenere attivo l’interesse verso il mondo esterno, ma anche di tenere vivi i legami con la famiglia.

Al tempo stesso, attraverso un processo di digitalizzazione “gentile”, questa nuova figura dovrebbe avviare azioni socializzanti mediate dallo strumento digitale. Questo consentirebbe alle persone anziane di utilizzare almeno le applicazioni più semplici e comuni, che potrebbero rafforzare il tessuto di relazioni. Basti pensare, ad esempio, ai programmi per le videochiamate a distanza, oppure a quelli di messaggistica.

Incentivando, inoltre, la fruizione di laboratori e attività da svolgere a distanza sia in modalità sincrona che asincrona, potrebbero seguire corsi di cucina, oppure partecipare a laboratori teatrali fatti a distanza o, ancora, raccontare storie.

Con le dovute proporzioni e contestualizzazioni, la figura dell’operatore socio-digitale può essere assimilata a quella dell’educatore di strada. Entrambi operano attraverso metodologie proprie dello sviluppo di comunità, favorendo processi di empowerment. Si occupano, inoltre, di instaurare delle relazioni profonde, per poter far emergere bisogni, necessità, interessi o problematiche. Tutto ciò con lo scopo di alimentare il benessere e l’autonomia delle persone.