La pandemia di Covid 19 ha sconvolto il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) ponendogli nuove e complesse sfide e rendendo ancora più evidenti le principali criticità che già lo caratterizzavano. Per questo motivo Cergas Bocconi, a partire da un’idea di Planning Events srl, ha realizzato Area Sanità, il “Libro Bianco” della sanità del futuro. Si tratta di una ricerca in cui sono stati coinvolti alcuni tra i principali attori istituzionali e stakeholder della sanità nella definizione delle prospettive verso cui orientare l’evoluzione del sistema sanitario del nostro Paese, attraverso momenti che hanno fatto emergere e mettere a sintesi le diverse visioni, esigenze e proposte.

L’obiettivo del lavoro è portare un contributo utile al dibattito pubblico in questa fase cruciale, in cui sono disponibili le risorse messe a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e l’opinione pubblica è sensibile alle scelte di programmazione sanitaria. In questa fase si delinea infatti un’opportunità chiave, e forse unica, per rilanciare il SSN.

In particolare, l’attenzione di Area Sanità si focalizza su 3 aree: le politiche del personale (di cui vi abbiamo parlato qui), le tecnologie digitali per l’innovazione dei processi di cura (di cui vi abbiamo parlato qui) e l’utilizzo dei big data con finalità di analisi e programmazione sanitaria. Di seguito si propone una sintesi delle riflessioni riferite alla digitalizzazione dei servizi sanitari.

Big data e sanità: quali nessi

I big data nel settore sanitario originano dalla raccolta e archiviazione di grandi raccolte di dati, che necessitano poi di essere gestiti, analizzati e interpretati per fornire informazioni utili alla presa di decisioni, sia in ambito clinico che organizzativo o politico. I dati per essere considerati big devono avere almeno tre caratteristiche (3V): variabilità, grandi volumi, e velocità di trasmissione.

Il forte interesse per i big data in sanità è dovuto alla loro portata potenzialmente rivoluzionaria in tutti gli ambiti di cura, prevenzione e promozione della salute pubblica. Analisi basate su grandi quantità di dati, infatti, consentirebbero di migliorare e anticipare la diagnosi, la scelta del trattamento, aumentare l’efficacia e la tempestività della prevenzione, come sensibilizzare la collettività ad adottare stili di vita più salutari una volta dimostrate alcune relazioni causali nell’insorgenza di alcune patologie.

Ma quanti e quali dati possiedono realmente le tre 3V? Vi sono differenze nel livello di dematerializzazione dei dati clinici e amministrativi? Quali sono le caratteristiche distintive degli uni e degli altri? Per quali finalità e funzionalità diventano preziosi? Nell’immediato, meglio privilegiare l’utilizzo dei dati esistenti o investire per digitalizzare e standardizzare nuovi dati? Come trattare dati raccolti e prodotti dalle organizzazioni sanitarie, rispetto a dati prodotti dal singolo cittadino? Come rispettare la tutela della privacy e nel frattempo permettere alla ricerca di crescere e progredire?

Tante sono le domande a cui il panel di stakeholder selezionati ha cercato di rispondere, e di seguito si sintetizzano 10 idee e proposte su quattro linee di azione (figura 1): 1) utilizzare i dati disponibili; 2) digitalizzare i dati clinici; 3) promuovere subito l’utilizzo dei dati amministrativi per la clinica e la programmazione sanitaria; 4) favorire la creazione di data spaces.

Figura 1. Ambiti di priorità e proposte per la raccolta e l’utilizzo dei big data in sanità
Figura 1. Ambiti di priorità e proposte per la raccolta e l’utilizzo dei big data in sanità

Di seguito sono elencate in sintesi le dieci proposte, ed è quindi riportato un estratto del report, disponibile integralmente sul sito www.area-sanita.it, con il dettaglio delle proposte 1, 4, 7 e 8, legate rispettivamente a promuovere una maggior consapevolezza rispetto ai dati disponibili, digitalizzare i dati clinici e mettere i dati amministrativi a disposizione della clinica e della programmazione sanitaria.

  1. Promuovere una conoscenza diffusa sui dati;
  2. Responsabilizzare rispetto all’utilizzo dei dati;
  3. Codificare e istituzionalizzazione dei ‘riti’ di raccolta e analisi dei dati;
  4. Standardizzare i dati clinici;
  5. Promuovere la cultura del dato;
  6. Anticipare l’impatto del progresso scientifico;
  7. Sviluppare e scalare sistemi di analisi e utilizzo del dato amministrativo;
  8. Mettere i dati amministrativi a disposizione dei clinici, del mgmt e dei policy maker;
  9. Operare in un quadro normativo chiaro;
  10. Identificare e valorizzare le best practices;

Promuovere una conoscenza diffusa dei dati

Apparentemente scontata, questa affermazione intende sottolineare l’importanza dei dati come fattore strategico per le decisioni e deriva da profonde riflessioni circa le priorità di investimento e i trade-off tra digitalizzazione di nuovi dati e avvio di progetti di analisi dei dati esistenti.

Comunicare quali sono i dati disponibili

Ingenti quantità di dati già organizzati, semanticamente standardizzati e analizzati sono disponibili da tempo, ma non sono mai state valorizzate e si è diffusa una cultura del dato che ha perpetuato l’indifferenza alle informazioni ricavabili dall’analisi dei dati o il timore di mettere in luce le carenze dei dati stessi, dovute a imprecisioni e incongruenze nei sistemi di raccolta. Comunicare e mettere i dati a disposizione di team di ricercatori, clinici e manager è l’unica via per estrarne un significato e informazioni utili alle decisioni e rendere progressivamente i dati più precisi e sempre più tempestivi.

I dati amministrativi sono tipicamente utilizzati per finalità di verifica sui costi sostenuti dal SSN e per le politiche di finanziamento delle aziende pubbliche e private accreditate. Solo negli anni più recenti, e tipicamente solo a fini di ricerca, i dati amministrativi sono divenuti oggetto di attente analisi cliniche e valutazioni epidemiologiche o valutative per cercare di indagare l’appropriatezza di alcune scelte clinico-organizzative, quali scelte di ospedalizzazione, adesione a servizi di rete, o utilizzo e di consumo di tecnologie, farmaci o altri beni.

I dati clinici esistono ma sono molto frammentati e raccolti in modalità differenti, con semantiche non concordate, spesso anche all’interno di una stessa azienda, o raccolti con software che spesso non consentono di arrivare ai livelli di dettaglio desiderati e necessari per la ricerca o la pratica clinica. Occorre pertanto partire da quanto disponibile, valorizzare vantaggi e limiti dei dati esistenti per intervenire in modo omogeneo a livello Paese per la standardizzazione dei dati clinici.

Comprendere quali e quanti dati vengono utilizzati, e come

Rendere l’analisi dei dati una routine organizzativa richiede anche di motivare e giustificare scelte clinico-organizzative sulla base dei dati. In altri termini, professionisti e manager potrebbero essere chiamati a condividere il fondamento logico (le evidenze) delle loro scelte.
Appare utile a questo scopo comprendere quali e quanti dati vengano utilizzati da parte dei decisori, e se esistono delle best practice, ossia esempi di proficuo utilizzo dei dati, diffonderle affinché siano replicate da altri. A questo proposito si potrebbero utilmente generare delle reti di bench-learning tra aziende dove confrontarsi su quali e quanti dati vengono oggi usati e a quali scopi, con l’intento di accrescerne progressivamente l’uso e il valore con essi prodotto.

Creare la consapevolezza sull’utilizzo dell’ IA

E in particolare su come essa crea sufficiente valore in termini di efficienza ed efficacia per giustificare l’impegno economico e la fatica organizzativa richiesti. Questo richiederebbe di costruire alcuni casi ‘faro’, ovvero soluzioni IA con “business case” importanti. I casi faro potrebbero fare breccia in istituzioni e organizzazioni poco inclini all’innovazione soprattutto quando questa impatta assetti organizzativi, poteri decisionali etc. Evidenze di questo genere potrebbero facilitare anche il dialogo con il garante della privacy, assegnando un “price tag” in termini di vite umane e di costo economico ad eventuali limitazioni/vincoli posti dal garante.

Standardizzare i dati clinici

I dati clinici esistono in abbondanza, ma vanno standardizzati e digitalizzati e non sono ancora sufficienti a fini di valutazione e programmazione. Vi è generale accordo sul fatto che i dati clinici debbano essere raccolti pensando in modo integrato alla cura, al governo del sistema e alla ricerca, con un’attenzione sempre maggiore al paziente che di fatto origina i dati ed è poi il beneficiario finale di ogni miglioramento possibile grazie ad una miglior conoscenza e capacità analitica dei professionisti.

Tuttavia vi sono ancora opinioni divergenti rispetto a chi dovrebbe occuparsi di dati clinici e chi dovrebbe essere l’utilizzatore target, con quali tutele per la protezione dei dati individuali sensibili.

Privilegiare scelte tecnologiche comuni o complementari

Se rispetto ai dati amministrativi i flussi esistono e servono solo modelli adeguati di utilizzo e routinizzazione delle prassi di analisi, i dati clinici invece non sono ancora nella forma necessaria per poter essere considerarti ‘big’, fatta eccezione in parte per dati collegati all’imaging radiologico e per i dati genomici che sono intrinsecamente grandi, contenendo informazioni pressoché infinite su ogni singolo paziente. Le cartelle cliniche elettroniche non sono sempre complete e il FSE rappresenta ancora un repository passivo, peraltro spesso incompleto, e non un generatore di dati. Se risulta difficile auspicare un sistema centralizzato di raccolta dati, si potrebbe ipotizzare un sistema federato, accessibile e trasparente agli operatori e agli utenti. La sfida diventa quindi lavorare alla costruzione di un’infrastruttura unica o infrastrutture interoperabili (cfr. digitale).

Standardizzare la semantica del dato clinico

I dati amministrativi si basano su una semantica standard e condivisa che è stata definita a livello nazionale: es. i DRG per i ricoveri, le prestazioni ambulatoriali cosí come elencate dal nomenclatore nazionale, le varie codifiche nel NSIS (Nuovo Sistema Informativo Sanitario) del Ministero della Salute per i diversi setting assistenziali. Le singole regioni hanno successivamente differenziato nomenclatori e tariffari, ma partendo da una semantica comune, che rende sufficientemente intellegibili le specificità locali. Un lavoro analogo va fatto per i dati sanitari. Si tratta di un lavoro più lungo e complesso perché afferisce le singole materie e discipline scientifiche e che deve vedere protagonisti i rappresentati delle medesime, perché saranno poi loro a imputare, interpretare e utilizzare i dati.

Un lavoro articolato, che può essere impostato a step progressivi per prevalenza epidemiologica per raggiungere il prima possibile il numero massimo di pazienti. Si tratta di un processo fisiologicamente dinamico e da aggiornarsi frequentemente nel tempo, considerando la crescente conoscenza sulle tipizzazione e classificazione delle singole patologie e il progresso e la diversificazione delle terapie, che richiedono quindi un costante aggiornamento delle codifiche dei processi clinico-assistenziali. Il lavoro di definizione del data model secondo lo standard HL7-FHIR è un ottimo punto di partenza dal punto di vista tecnologico per la condivisione di una semantica dei dati clinici.

Sviluppare e scalare sistemi di analisi e utilizzo del dato amministrativo

I dati amministrativi sono stati standardizzati e digitalizzati con largo anticipo rispetto ai dati clinici, prevalentemente per finalità di monitoraggio e controllo finanziario. Esistono in abbondanza, ma sono sottoutilizzati, in parte perché non sono note le potenzialità di utilizzo, in parte perché spesso la sicurezza e il rispetto della privacy ne limitano la possibilità di trasferimento tra regioni o verso altri Paesi.

Analisi pilota

Un’analisi attenta delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) da Dicembre 2019 a Marzo 2020 avrebbe potuto segnalare l’aumento di polmoniti e anticipare la risposta emergenziale. L’esempio contingente dimostra in modo tangibile la potenzialità e la ricchezza dei dati amministrativi sia per scopi epidemiologici, programmatori e clinici. Tante sono le ricerche messe in campo negli ultimi anni da numerosi centri di eccellenza, anche in Italia (cfr 3.1) che testimoniano la disponibilità di tecniche e competenze metodologiche per l’analisi dei dati amministrativi.

Si propone pertanto alle autorità nazionali e regionali di avviare progetti di ricerca intervento, identificando alcuni quesiti e sfide prioritarie per la sanità pubblica. Tra questi ad esempio analisi dei consumi di patologia per pazienti cronici a cavallo tra diversi setting assistenziali, al fine di favorire modelli di presa in carico più integrati e consumi più appropriati; oppure analisi epidemiologiche su larga scala a partire dalle SDO che possano migliorare la prevenzione per alcune patologie, la capacità di diagnosi, di presa in carico e di trattamento dei pazienti a rischio.

Scalabilità e impatto

Il tema della gestione dei dati amministrativi richiede equilibri molto delicati tra utilizzatori dei dati e professionisti, tra aziende, regioni e Paesi. Tuttavia la standardizzazione dei dati fa si che analisi pilota su una o più regioni possano poi essere replicate e generalizzate su scala nazionale e in altri Paesi.

Mettere i dati amministrativi a disposizione dei clinici, del Mgmt e dei policy maker

Supporto alle decisioni cliniche

Le analisi di cui sopra arricchiscono il patrimonio di conoscenze e informazioni a disposizione dei decision maker. Fornire ai clinici delle indicazioni di sintesi su fenomeni rilevati dall’analisi attenta e costante dei dati amministrativi può informare i medici rispetto all’aderenza e all’efficacia delle terapie e dei modelli organizzativi adottati, all’insorgenza di eventi non previsti e in un certo senso dare delle indicazioni rispetto all’efficacia delle loro scelte cliniche.

Supporto all’organizzazione e alla programmazione sanitaria

Analisi statistiche su dati amministrativi e modelli predittivi, della domanda e dei consumi attesi, generano informazioni rilevanti sia per l’organizzazione dei servizi (es.: durata media delle degenze per determinate casistiche, mobilità, volumi di esami diagnostici, consumi di farmaci/tecnologie, ecc.), sia per la programmazione sanitaria che sarà in grado di anticipare le esigenze e le attività delle strutture sanitarie e allocare quindi le risorse in modo più preciso, tempestivo ed appropriato.

 


L’articolo riporta un estratto del documento Area Sanità, Strategie per la salute del Paese, presentato il 5 novembre a Bologna. Il team di ricerca ringrazia Planning Events srl. per il contributo incondizionato alla ricerca e tutti gli esperti coinvolti nelle interviste e nei panel di discussione. I nominativi degli esperti sono riportati nel report integrale, disponibile al sito www.area-sanita.it