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Il Covid-19, le sue conseguenze economiche e, da ultimo, il conflitto in Ucraina stanno influenzando l’evolversi delle povertà nel nostro Paese, tra cui quella alimentare. Per comprendere meglio lo scenario che sta venendo a crearsi abbiamo intervistato Andrea Fanzago, Responsabile Area povertà alimentare di Caritas Ambrosiana.

Partendo dal contesto di Milano e delle altre aree della Lombardia in cui opera l’organizzazione, gli abbiamo chiesto di approfondire il ruolo degli empori solidali1 e, più in generale, le conseguenze che gli avvenimenti degli ultimi mesi stanno avendo sulle persone più fragili.

Qualche anno fa, quando abbiamo iniziato ad occuparci di empori solidali, ipotizzavamo che questi sarebbero stati destinati per lo più a supportare l’area grigia di persone vulnerabili, cioè chi non è in povertà estrema e, in teoria, è più facilmente attivabile. Oggi tuttavia, dopo alcuni anni di attività e il susseguirsi di emergenze sanitarie e umanitarie le chiedo: è stato davvero così? Oppure c’è un acuirsi della povertà anche per i destinatari degli empori?

Dopo lo scoppio della pandemia abbiamo incontrato persone mai incontrate prima, persone che vivevano “ai confini della povertà” ma che non avevano mai avuto bisogno.

Persone che a partire dai primi mesi del 2020 hanno perso tutto o parte del loro reddito. Inoltre ci sono i lavoratori poveri: oggi ad esempio c’è un grande aumento delle bollette ma i redditi e gli stipendi non sono aumentati.

Le povertà estreme ci sono, ma quello che percepiamo di più è il palesamento delle nuove. Pensiamo a tutto il tema dei device per le famiglie e al digital divide a cui sono esposte quelle più povere. Questo è emerso solo dopo il 2020. Oggi ci sono tante forme di povertà: alimentare, materiale, educativa, abitativa, sanitaria, energetica che emergono proprio per quel che è successo negli ultimi due anni. E questi cambiamenti influenzano anche l’operato degli empori.

Come è cambiata la vostra attività dopo la pandemia?

La nostra rete comprende ad oggi 14 empori e 14 botteghe.

Andrea Fanzago – Responsabile Area povertà alimentare di Caritas Ambrosiana

Gli empori soddisfano il fabbisogno di un territorio vasto, lavorando tramite i Decanati (il Decanato raggruppa 9/10 o più parrocchie; attualmente nella Diocesi di Milano, dopo i recenti accorpamenti, ci sono 63 Decanati, ndr), così le parrocchie sono invogliate a lavorare insieme. Le botteghe invece soddisfano la singola parrocchia, ma sono sempre collegate al proprio Centro di Ascolto Caritas2 ed ha la stessa modalità di funzionamento (scaffali, tessera, ecc.) La priorità per Caritas è l’emporio, perché da soli si fa sempre più fatica.

Durante la pandemia abbiamo molto avvertito la carenza di volontari. Per evitare assembramenti abbiamo raddoppiato le aperture ma, al contempo, abbiamo scelto di lasciare a riposo gli ultra 65enni. Un fatto importante visto che ogni emporio gestito da Caritas Ambrosiana ha un operatore e diversi volontari, mentre alcuni – Pioltello, Vimercate, Pontelambro e San Giuliano – hanno proprio solo volontari. 

Parliamo del rapporto tra povertà e spreco: è in grado di dirmi quanta parte dei beni che distribuite proviene dal Fondi europei e quanto da altre fonti, come da donazione diretta di privati?

Nel 2021 abbiamo distribuito 1.371.000 kg di prodotti, di cui 907.000 raccolti con le collette.

Complessivamente il 66% l’abbiamo acquistato e donato, poi abbiamo avuto un 6% proveniente dal bando “Io mangio Lombardo”, un 20% di prodotti da AGEA (l’Agenzia del Governo italiano che si occupa di gestire le risorse europee destinate, tra le altre cose, al sostegno alimentare dei più poveri, ndr) e un 4,5% di frutta e verdura proveniente da SO.GE.MI (la società che gestisce i mercati agroalimentari all’ingrosso di Milano).

Focus sulla povertà alimentare

Dal 2013 Percorsi di secondo welfare si occupa di povertà e spreco alimentare attraverso un focus tematico nato in occasione di Expo Milano 2015. In tale ambito raccontiamo esperienze e dinamiche che coinvolgono istituzione pubbliche, private e del Terzo Settore che ogni giorno sono impegnate a sostenere chi ha bisogno. Leggi tutti gli articoli.

Infine abbiamo recuperato dalla Grande distribuzione organizzata circa 69.000 kg di prodotti.  Abbiamo inoltre un laboratorio che abbatte e congela frutta e verdura e così ci permette di non avere l’assillo di distribuire subito il fresco e ci consente di avere la presenza costante del prodotto. E’ uno strumento importante, che inoltre ci permette di generare occupazione per persone fragili il cui inserimento lavorativo non è facile.

Quale impatto ha avuto secondo lei la Legge Gadda, che favorisce il recupero di prodotti che altrimenti andrebbero sprecati, e le agevolazioni sulla TARI che prevedono una riduzione della tassa per le imprese che donano cibo?

I provvedimenti aiutano, perché le imprese donando recuperano l’Iva sul prodotto e parte della TARI, se il Comune lo prevede. Poi c’è il vantaggio ambientale e dell’evitare lo smaltimento. Certo nel complesso è irrisoria, però la Legge va a toccare una voce di entrata del bilancio che per un ente locale è fondamentale.

Sia i dati che l’esperienza di chi lavora con le povertà ci raccontano di una situazione in cui sono i minori a versare nelle condizioni di maggiore rischio e deprivazione. Che cosa vedete dal vostro osservatorio?

Molte famiglie con figli sono in difficoltà. Con la chiusura delle scuole, ad esempio, devono garantire i tre pasti e questo non è sempre facile. E poi c’è il tema della povertà educativa: il materiale didattico è una grossa spesa che la famiglia deve sostenere, per questo a settembre facciamo la colletta dei beni della scuola e li distribuiamo immediatamente alle famiglie.

Sul fronte dei minori abbiamo alcuni progetti in corso, come quello con un’azienda che ci ha donato PC che abbiamo redistribuito alle famiglie con maggiori problemi.

Nel 2021 abbiamo realizzato un progetto di 6 mesi con una fondazione per cui offrivamo alle persone seguite dagli empori un supporto di counselling per minori con disturbi di apprendimento, alimentari o relazionali legati alla pandemia.

Sui 3 empori milanesi ne hanno usufruito 130 famiglie. In pratica tramite gli empori abbiamo intercettato famiglie con bisogni non strettamente alimentari. Loro venivano per alimenti e noi li abbiamo informati di questo servizio. Ora il progetto è finito ma li stiamo seguendo ancora perché c’è molto bisogno.

Oltre ai minori però si percepisce il bisogno di misure di accompagnamento volte all’inserimento socio-lavorativo, ma quanto queste riescono effettivamente a essere efficaci?

Le condizioni economiche non sono facili, la ripresa non è ancora completa e le conseguenze sul lavoro sono evidenti, soprattutto in alcuni settori.

Faccio un esempio banale: se prima un ristorante aveva cinque dipendenti ora ne ha due. Le opportunità sono minori rispetto a prima. E poi c’è il problema delle competenze. Come Caritas Ambrosiana abbiamo istituito ad esempio il Fondo San Giuseppe e il fondo Diamo lavoro, ma facciamo fatica a inserire i nostri beneficiari nel mondo del lavoro, perché dove c’è possibilità sono spesso richiesti profili con competenze medio alte che le persone che si rivolgono a noi non hanno.

L’emergenza ucraina sta portando ad un aumento delle numero di persone che si rivolgono agli empori? Come vi state organizzando e come pensate di farlo in futuro? Quale impatto intravedete dal vostro osservatorio?

Sugli ucraini facciamo un monitoraggio settimanale. Solo nell’ultima settimana abbiamo preso in carico presso la rete di distribuzione degli aiuti alimentari 185 famiglie, per un totale di 550 persone che si sono rivolte ai Centri d’Ascolto e sono state reindirizzate agli empori. Di queste, 278 sono minorenni.

Sul fronte dell’accoglienza vera e propria, nei mesi scorsi inoltre ci siamo mossi attraverso interventi informali, mettendo a disposizione degli appartamenti. Dopo al firma della convenzione con il Ministero contiamo di avviare un’attività più sistematica (Secondo Welfare si è recentemente occupato del tema intervistando Oliviero Forti, responsabile delle politiche migratorie di Caritas Italiana, ndr)

Il conflitto apre però anche un tema di reperibilità delle materie prime. Ad esempio, Agea ha comunicato a gennaio che i fornitori di pasta avevano rescisso i contratti di fornitura e che la Grande Distribuzione organizzata, per garantire la propria catena, non avrebbe più fornito farina, olio di semi e pannolini. Così adesso facciamo fatica a trovare questi prodotti. E’ un problema serio, perché le nostre famiglie, specie quelle che per cultura alimentare consumano certi prodotti, usano ad esempio molto la farina. I “movimenti economici” c’erano già stati prima dello scoppio del conflitto, ma questo ha sicuramente complicato ulteriormente la situazione.

 

Note

  1. Gli empori solidali sono, negli spazi e negli arredi, luoghi molto simili a dei comuni supermercati: hanno prodotti – generalmente alimentari e per l’igiene personale – disposti su scaffali aperti che gli utenti possono acquistare in piena autonomia, secondo la modalità self service, e gratuitamente. I  pagamenti non avvengono infatti attraverso denaro: le persone che vi accedono vivono condizioni di difficoltà verificate attraverso varie modalità, che permettono di ottenere tessere a punti per acquistare i beni dell’emporio. I prodotti vengono raccolti attraverso collette, donazioni di privati o altre attività realizzate da organizzazioni di Terzo Settore. Gli empori solo gestiti nella maggior parte dei casi da realtà del Terzo Settore; particolarmente diffusi sono gli empori gestiti dalle Caritas diocesane. Scopri di più.
  2. Il Centro di Ascolto è un’istituzione creata dalla Chiesa Cattolica per incontrare e aiutare le persone che vivono situazioni di disagio. In Italia sono circa 3.000 i Centri gestiti attraverso la Caritas che affrontano sia problematiche “generiche” che legate a specifiche forme di povertà.