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Nel Decreto Lavoro si torna a parlare di fringe benefit1. Il provvedimento, approvato dal Consiglio dei Ministri il 1° maggio 2023, prevede infatti un aumento della soglia di defiscalizzazione dei fringe benefit per l’anno in corso, ma solamente per lavoratori e lavoratrici dipendenti con figli a carico. Come per il 2022, anche quest’anno sarà possibile ottenere dalla propria azienda fino a 3.000 euro attraverso questo canale, ma a condizione, appunto, di essere genitori. Sarà inoltre possibile utilizzare questa somma anche per il rimborso delle utenze domestiche di acqua, luce e gas. In totale, il Governo prevede una spesa di 142 milioni di euro per questo intervento.

Ad anticiparlo era stato il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, rispondendo al question time alla Camera lo scorso 27 aprile. Giorgetti aveva detto che il Governo avrebbe destinato “con un prossimo provvedimento di urgenza i margini di bilancio disponibili per finanziare, per l’anno in corso, un nuovo taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi e un innalzamento del limite dei fringe benefit per i lavoratori dipendenti con figli”.

In questo modo il Governo si propone di perseguire “il duplice scopo di incrementare i redditi reali delle famiglie e al contempo limitare la rincorsa salari-prezzi, che renderebbe la vampata inflazionistica causata dai prezzi energetici e alimentari più sostenuta nel tempo, trasformandola in strutturale”.

Il welfare aziendale e il sostegno alla natalità

La scelta dell’Esecutivo è dunque chiara: sostenere maggiormente – attraverso gli strumenti del welfare aziendale – chi ha figli. Dal nostro punto di vista ci sono alcune riflessioni che si dovrebbero fare in merito.

In primo luogo, differenziare il trattamento dei fringe benefit a seconda della presenza dei figli potrebbe rappresentare un carico di lavoro maggiore per le imprese. Dal punto di vista organizzativo e della rendicontazione, le aziende dovranno obbligatoriamente suddividere le scelte e i comportamenti nel campo del welfare sulla base della composizione familiare dei dipendenti. In alcuni casi sarà un processo automatico, mentre in altri, soprattutto in imprese con molti collaboratori, il processo potrebbe essere più complesso.

Il welfare aziendale può sostenere la natalità?

In secondo luogo, legare questo vantaggio fiscale alla presenza di figli rischia di “sminuire” il valore del welfare aziendale. Come vi abbiamo spiegato qui, il welfare d’impresa rischia infatti di essere visto esclusivamente come un mezzo per incentivare la natalità e l’occupazione femminile. Ovviamente i benefit e i servizi messi a disposizione dalle imprese sono un’opportunità rilevante in ottica di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e anche per la parità di genere sul luogo di lavoro. Appare però riduttivo parlarne solo in questi termini. Il welfare aziendale comprende infatti un’ampia gamma di politiche sociali ed è in grado, per sua natura, di innovare il rapporto tra impresa e dipendenti mettendo al centro dello scambio negoziale il benessere della persona. Indipendentemente dalla sua condizione.

L’enfasi sui fringe benefit

Inoltre, come più volte abbiamo sottolineato, è importante che il dibattito sul welfare aziendale vada oltre i fringe benefit e si inizi a lavorare a interventi strutturali.

Dal 2020 in poi gli interventi normativi in materia si sono limitati ad alzare la soglia dei fringe, peraltro sempre in modo temporaneo. La soglia è stata raddoppiata – sempre con scadenza entro l’anno di riferimento – nel 2020 e nel 2021; poi, nel 2022, è stata alzata prima a 600 euro e, successivamente, a 3.000 euro.

Come spiegato qui, i fringe benefit possono essere un’opportunità per molte imprese che vogliono sperimentare il welfare aziendale. Si tratta infatti di uno strumento semplice, adottabile anche dalle piccole realtà che non hanno le possibilità organizzative necessarie per lo sviluppo di piani strutturati. C’è però il rischio che questi buoni siano utilizzati dalle aziende come una “compensazione” della retribuzione, piuttosto che come utile occasione per accedere a servizi di natura sociale. C’è infatti differenza tra utilizzare la quota di fringe per voucher spesa e carburante, o comunque altri benefit “accessori”, oppure per servizi riguardanti la famiglia, la cura, l’assistenza e il work-life balance.

Questo non è welfare aziendale: una riflessione sui fringe benefit a 3.000 euro

Per di più, una quota troppo elevata di fringe benefit – come i 3.000 euro previsti dal Decreto Lavoro – rischia di disincentivare la costruzione di piani di welfare più complessi e articolati. Con una soglia dei fringe così alta, infatti, per le aziende è molto più facile dare le stesse premialità attraverso buoni acquisto o carburante, che richiedono uno sforzo minore da un punto di vista organizzativo ed economico. In questo modo si perde però l’occasione di immaginare il welfare aziendale come effettivo strumento che abbia al centro bisogni e rischi sociali delle persone e delle famiglie. Un tema di cui abbiamo parlato nel dettaglio qui.

Valorizzare i servizi e le reti per il welfare aziendale

Per questo, anche in vista della riforma fiscale allo studio del Governo, proviamo a suggerire alcune soluzioni che possano valorizzare la dimensione e il valore sociale del welfare aziendale.

Piuttosto che continuare a puntare unicamente sui fringe benefit si potrebbe facilitare l’utilizzo dei “premi” di welfare per la fruizione di servizi di natura sociale, sanitaria e assistenziale, quindi dedicati all’infanzia e a familiari anziani e non autosufficienti. Una possibilità è quella di superare la logica del rimborso e consentire il pagamento diretto di queste prestazioni attraverso il budget welfare di lavoratori e lavoratrici. Oppure si potrebbe innalzare il vantaggio fiscale esclusivamente nel caso in cui i fringe benefit siano utilizzati per l’acquisto di servizi. In questo modo si potrebbero incentivare le prestazioni sociali a scapito dei buoni acquisto e buoni spesa.

Welfare aziendale e welfare territoriale: legami e opportunità

Anche allo scopo di sostenere le micro e le piccole imprese, sarebbe poi cruciale prevedere sgravi fiscali e incentivi per quelle imprese che fanno welfare “in rete”, anche e soprattutto con il territorio. Facciamo riferimento a quelle iniziative che – attraverso la contrattazione, la collaborazione tra le parti sociali e la costituzione di reti di impresa o multi-stakeholder – puntano a coinvolgere il tessuto economico e imprenditoriale locale, il Terzo Settore e l’attore pubblico, allo scopo di creare servizi per i lavoratori, le loro famiglie e, in alcuni casi, anche per il territorio, come spiegavamo nel Quinto Rapporto sul secondo welfare riflettendo sul ruolo della cosiddetta “filiera corta“.

 

 

Note

  1. Misure che riguardano una vasta gamma di servizi e soluzioni che le imprese possono destinare ai propri dipendenti, godendo di specifici benefici fiscali. Tra le formule più comuni ci sono: card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online) e i buoni benzina.
Foto di copertina: Juan Pablo Serrano Arenas, Pexels