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“L’anno della famiglia in Italia è sempre il prossimo”. Adriano Bordignon, Presidente del Forum delle Associazioni Familiari, riassume così il giudizio della sua organizzazione sulle misure per famiglie e natalità contenute nella Legge di Bilancio 2024. “Siamo solo parzialmente soddisfatti”, prosegue. “Ci sono alcuni aspetti positivi” ma, spiega, “siamo ben lontani da risposte significative alla tragica sfida demografica che stiamo vivendo”. 

Il parere di Bordignon è condiviso anche da esperti, accademici e esponenti di altre organizzazioni che si occupano di questi temi.

La prima Legge di Bilancio interamente concepita dal Governo Meloni, dopo quella del 2023 di fatto ereditata dall’esecutivo guidato da Mario Draghi, potrebbe avere effetti limitati sul problema della denatalità in Italia. E questo, nonostante la grande enfasi posta sul tema da Meloni e i suoi ministri fin dall’inizio della Legislatura e, in particolare, negli ultimi mesi. La causa è da rintracciarsi nelle limitate risorse stanziate per il tema, ma anche nelle misure scelte per essere finanziate.

Più che per la natalità, questa Legge di Bilancio è un provvedimento per le famiglie, commenta Elisa Brini, ricercatrice in demografia all’Università di Firenze. Infatti, continua, “gli incentivi sono indirizzati principalmente a famiglie già numerose” e, in questo contesto, “la legge sembra dimenticarsi dei giovani, quelli che non hanno ancora avuto il primo figlio”.

Un problema non da poco visto che, secondo il rapporto Coop 2023, in Italia il 51% delle persone tra i 20 e 40 anni si dichiara per nulla interessata a diventare genitore, mentre un ulteriore 28% vorrebbe un figlio, ma già prevede che non sarà possibile.

Denatalitalia

Questo articolo è parte della serie con cui Secondo Welfare – analizzando numeri, modelli e politiche – vuole capire se e come si può affrontare il calo demografico italiano.

La versione del Governo

Nel comunicato sulla Legge di Bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, gli “interventi in favore delle famiglie numerose e alla natalità” sono il secondo ambito ad essere citato, precisando che è stato stanziato 1 miliardo per misure in favore delle famiglie e per la natalità”. Tra i principali interventi vi sono un aumento del bonus asili nido e del congedo parentale, la decontribuzione per le madri lavoratrici con determinate caratteristiche e, prosegue il comunicato del Ministero, “la possibilità per le famiglie numerose di accedere al Fondo garanzia mutui per l’acquisto della prima casa, nonché la detassazione dei fringe benefit fino a 2.000 euro per i lavoratori con figli”. 

In particolare, il bonus asili nido già in vigore viene aumentato in maniera strutturale, ma solo per le famiglie con almeno due figli. In presenza di nati a partire dal 1 gennaio 2024, il contributo passa a 3.600 euro annui per le famiglie che hanno un ISEE fino a 40.000 euro e un altro figlio sotto i 10 anni.

Legge di Bilancio e natalità: le scelte del Governo Meloni

Per quanto riguarda il congedo parentale (che è un congedo ulteriore rispetto a quelli di maternità e paternità, rimasti invariati), è stato previsto un ulteriore mese di congedo retribuito per i genitori con figli fino a 6 anni con indennità pari all’80% invece che 30%, per il 2024. Sono stati, inoltre, confermati un altro mese con indennità all’80% (introdotto l’anno scorso) e i restanti 4 mesi con indennità al 30%. La misura riguarda il solo 2024 e andrà eventualmente confermata in seguito per gli anni successivi.

La decontribuzione per le madri è, infine, la novità più rilevante, e potenzialmente interessante in un Paese come l’Italia in cui il tasso di occupazione femminile è storicamente basso. La misura prevede l’annullamento dell’obbligo di contribuzione a carico delle donne lavoratrici con almeno due figli e un contratto a tempo indeterminato. Il taglio riguarda solo la quota a carico della lavoratrice con un massimo di 3000 euro annui, ha una durata maggiore per le donne con tre o più figli e, oltre ad escludere tutte le lavoratrici con contratti diversi dalla normale subordinazione, non riguarda il lavoro domestico.

Una manovra attenta alle famiglie ma debole nel favorire un’inversione di tendenza delle nascite

Commentando la Legge di Bilancio, la Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella ha parlato di “fine di una lunga stagione di indifferenza nei confronti della famiglia e della natalità”. Ma, se sul fatto che il provvedimento favorisca le famiglie c’è un sostanziale consenso, i dubbi sono numerosi su come e quanto le misure scelte possano contribuire a invertire il trend demografico negativo dell’Italia.

“Riguardo al merito delle singole misure, ciascuna tocca punti importanti da migliorare, ma con due limiti di impostazione: quello di occuparsi del percorso riproduttivo saltando il primo figlio e quello di affrontare la conciliazione (tra lavoro e famiglia) lasciando debole la condivisione (tra madri e padri)”, hanno scritto Chiara Saraceno e Alessandro Rosina su Neodemos commentando le bozze della Legge di Bilancio, poi approvate senza sostanziali modifiche.

Asili e congedi: le criticità

Ciascun dei provvedimenti sono citati si porta appresso le sue perplessità. Bordignon del Forum Associazioni Familiari, per esempio, sostiene che per il bonus asili nido “ancora non si può parlare di gratuità per il secondo figlio, come è stato fatto, perché al nord e nelle città i costi medi sono molto più elevati”.

Come ha spiegato sul suo blog l’esperto Franco Pesaresi, “il bonus asili nido attualmente in vigore copre già integralmente la quasi totalità delle rette degli asili nido pubblici per le famiglie con ISEE inferiore a 25.000 euro. Per ISEE più elevati i benefici si riducono, pur garantendo un sostegno importante alle famiglie. Secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, in base ai dati reperiti relativi ai nidi pubblici, la nuova maggiorazione, rispettate le condizionalità previste, garantirebbe una copertura integrale per alcune delle grandi città (ad esempio, Palermo e Napoli) mentre risulterebbe insufficiente in altre (Milano, Roma e Lecce) e in molti dei capoluoghi considerati”. Dunque“la copertura integrale delle rette risulterà ancora meno plausibile con riferimento alle strutture private, considerato che esse hanno, in generale, tariffe maggiori rispetto a quelle pubbliche (UPB, 2023)”.

Nidi: un servizio chiave per il contrasto alla povertà educativa

Senza contare, conclude Pesaresi, che “una riduzione dei costi rischia di avere un effetto limitato se i posti al nido non ci sono”. Il nostro Paese, infatti, ha storicamente pochi posti negli asili nido e fatica a crearne di nuovi, come confermato dalle grandi difficoltà riscontrate nel raggiungere gli obiettivi del PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in questo ambito.

Anche il miglioramente del congedo parentale ha le sue ombre, due in particolare. La prima è l’aver stanziato fondi solo per il 2024. La seconda è non aver, invece, investito sul congedo per i padri, che è rimasto invariato a 10 giorni, pagati al 100% dello stipendio. Per Saraceno e Rosina è “una scelta che non va nella direzione di riequilibrare le responsabilità di cura tra madri e padri, sia perché il congedo parentale è opzionale, mentre quello di paternità è obbligatorio, sia perché questo è totalmente indennizzato”. 

Fare spazio alla paternità, fra trasformazioni del welfare e modelli di lavoro

Secondo i due professori, “se si vuole che i padri assumano responsabilità di cura per un tempo ragionevole, è più efficace agire sul congedo di paternità. Risulta difficile superare le resistenze dei datori di lavoro che tendono ad interpretare la domanda di congedo parentale come scarso impegno verso l’azienda”. Dal momento che le risorse erano limitate, è il ragionamento dei due esperti, sarebbe stato più efficace usare quelle disponibili in questo modo.

Decontribuzione, per poche

La decontribuzione per le madri lavoratrici è la misura che ha attirato, al tempo stesso, più interesse e critiche. Queste ultime riguardano principalmente i limiti messi al provvedimento.

“Si tratta di un target troppo limitato per poter incidere significativamente sulla natalità del paese”, ha scritto Brini su LaVoce.info insieme a Emanuele Pavolini e Stefani Scherer. I tre esperti hanno spiegato che, analizzando i micro-dati Rfl Istat, risulti come solo “poco più di un terzo delle donne in età riproduttiva (18-45 anni) ha un lavoro dipendente a tempo indeterminato (l’1,28 per cento ha 3 figli)”.

Inoltre, come hanno scritto su inGenere Barbara Leda Kenny e Sabrina Marchetti, “la misura rischia di coprire solo le donne che godono di maggior sicurezza, mentre sappiamo che il lavoro femminile è caratterizzato da una maggiore precarietà. Poche donne, quindi, ma anche privilegiate, non solo perché lavorano a tempo indeterminato ma anche perché, a differenza di quello che si tende a pensare, sono le famiglie ad alto reddito e migliori condizioni di lavoro femminile a fare più figli”.

Sul punto concorda anche Bordignon, secondo il quale “questa misura difetta di universalità non coinvolgendo le lavoratrici autonome e quelle precarie”. Infine, aggiunge il presidente del Forum Associazioni Familiari, prevedere questa norma “solo per il 2024 non cambia la vita delle famiglie e soprattutto non offre “spinte alla natalità” a chi desidererebbe un figlio ma ha timori di ordine economico”.

Quello che manca

La Legge di Bilancio ha attirato alcune critiche anche per i temi che non ha, di fatto, affrontato. Certo, le risorse da investire erano limitate, ma la forte enfasi messa da molti esponenti di Governo sul tema della natalità, a partire dalla Presidente del Consiglio Meloni, aveva alzato notevolmente le aspettative.

Tra le assenze, quella più significativa è legata all’Assegno Unico Universale. Il Governo aveva varato delle modifiche al provvedimento nella precedente Legge di Bilancio e in quella attuale non è stato più toccato. “Ci aspettavamo che venissero messe più risorse sull’assegno unico e che fosse limitato il discrimine dell’Isee che non riteniamo opportuno perché questa non è una misura di lotta alla denatalità ma bensì di carattere pronatalistico”, lamenta Bordignon.

Non solo. A suo giudizio servono anche misure dirette a potenziare i servizi territoriali per la prima infanzia ed il caregiving, per sostenere le spese di cura e accrescimento dei figli, supporto agli anziani e ai fragili, ma anche politiche per il lavoro femminile e giovanile e strategie per la conciliazione”. 

Culle piene solo con misure strutturali

Sul punto hanno scritto parole simili anche Rosina e Saraceno, mettendo l’accento sulla distanza tra risorse stanziate e necessarie. “Per il livello molto basso del numero medio di figli per donna e la struttura per età italiana squilibrata a sfavore delle età riproduttive, un’inversione di tendenza è possibile solo allineando le politiche familiari, di genere e generazionali italiane alle migliori esperienze europee. Anche dopo gli interventi previsti dalla manovra rimaniamo molto lontani da tale obiettivo. Servirebbe quindi un impegno maggiore in termini di risorse destinate, dato che nel tempo la crisi demografica è andata ad aggravarsi”, si legge su Neodemos.

Per affrontare la denatalità italiana, quindi, servirebbe molto di più di quanto deciso dalla Legge di Bilancio.

Secondo la ricercatrice Brini, “l’impostazione volta a sostenere le famiglie e facilitare la conciliazione è positiva” ma se il fine è promuovere la natalità, allora le politiche decise “sono miopi rispetto all’obiettivo dichiarato”. Il rischio, conclude, è che “possano sembrare più orientate verso un’agenda elettorale piuttosto che alla costruzione di una politica pubblica strutturale, universale e di ampio respiro”.

 

 

Foto di copertina: Teresa Howes, Pexels