Con il ricorso alla didattica a distanza (DAD) nata per contenere i contagi della pandemia, il tema della digitalizzazione della scuola è tornato d’attualità nel dibattito pubblico, ma certamente non è nato con essa. Risale infatti al 2007 il primo Piano Nazionale per la Scuola Digitale, cui è seguito il PNSD – Piano Nazionale Scuola Digitale (senza “per la”) introdotto nel 2015 nel quadro della riforma della Buona Scuola.

La pandemia ha avuto il merito di riportare la questione in agenda, ma ne ha anche spostato i termini. Vista l’emergenza, la DAD ha polarizzato il dibattito tra esperti e decisori politici, contrapponendo chi sosteneva la necessità dell’insegnamento in presenza come condizione indispensabile per contrastare la crescita delle disuguaglianze fra i giovani (ne abbiamo parlato qui) e chi anteponeva la salvaguardia della sanità pubblica. Lo studente, si sarebbe detto un tempo, è andato fuori tema.

Nessuno, azzardiamo, può infatti dirsi contrario alla scuola in presenza. E in pochi possono pensare che nella scuola di domani si possa fare a meno del digitale. Al tempo stesso quasi nessuno potrebbe davvero sostenere che DAD – per come l’abbiamo conosciuta – e scuola digitale siano vagamente parenti. Come abbiamo già scritto – e hanno accertato molte ricerche – in Italia la didattica a distanza è stata una colossale prova di sforzo del sistema scolastico che si è concretizzata nella trasposizione a schermo di contenuti e modelli pensati per l’insegnamento in presenza. Come dire: si è applicata la sintassi italiana usando fonemi latini.

Se vogliamo affrontare il tema riportato in agenda dalla pandemia – la scuola digitale – bisogna dunque andare oltre la DAD e affrontare alcune domande per il futuro che con essa hanno poco a che fare: cosa intendiamo, esattamente, per scuola digitale? Quali le policy e le azioni introdotte già prima della pandemia? Esistono progettualità in corso che ci dicano in concreto cosa significhi “fare scuola digitale” e quali sono gli esiti misurabili?

Sono le domande della serie #OltreLaDad, e benvenuti alla seconda puntata. Partiamo dall’inizio: qualche definizione.

Le differenze tra DAD e DDI

È necessario innanzitutto chiarire la differenza tra didattica a distanza (DAD) e didattica digitale integrata (DDI), secondo quanto dicono i testi legislativi.

La DAD è stata introdotta con il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DPCM) del 4 marzo 2020 e prevede l’erogazione della didattica unicamente online, mentre la scuola è chiusa o singole classi sono in quarantena.

La didattica digitale integrata ha invece una storia più complessa. Prevista già dal PNSD della Buona Scuola come forma didattica che integra l’uso di strumenti digitali a scuola, la DDI è stata poi introdotta dal Piano Scuola 2020-2021, che prevede anche il suo inserimento obbligatorio nei Piani Triennali di Offerta Formativa (PTOF), come modalità complementare alla didattica in presenza che – e qui sta il punto chiave – alterna lezioni sulle piattaforme digitali a insegnamenti e attività in presenza. Con la DDI la scuola dunque rimane aperta e prevede attività sincrone, da fare in parte in presenza e in parte a distanza, e asincrone, che gli studenti svolgono offline a casa. Uno schema che avrebbe dovuto e potuto già trovare applicazione nel secondo anno scolastico dell’era pandemica.

La didattica digitale integrata offre quindi la possibilità di aumentare le risorse multimediali e associarvi metodologie innovative d’insegnamento. Come riportato in “LA SCUOLA ONLIFE. Guida pratica per la Didattica Digitale” 1 in questo tipo di didattica l’uso delle tecnologie “si accompagna ad una teoria dell’apprendimento non più fondata sulla pura trasmissione del sapere, ma sulla partecipazione, l’interattività, sulla rielaborazione critica dei contenuti e l’apprendimento di nuovi metodi e strumenti per studiare e conoscere”.

Certo, nella fase attuale, la DDI è perlopiù indirizzata prevalentemente a bambini e ragazzi in isolamento o in quarantena mentre le loro classi continuano le attività didattiche in presenza. Eppure questa modalità potrebbe offrire opportunità nuove di apprendimento e si colloca in un più ampio processo di digitalizzazione della scuola che attraversa politiche educative e azioni di diversi governi. Vediamo come.

L’evoluzione della digitalizzazione nella scuola

Era infatti il 2007 quando per la prima volta si introdusse un Piano Nazionale per la Scuola Digitale che mirava a promuovere l’innovazione digitale e a trasformare gli ambienti di apprendimento. Le successive azioni (realizzate fino al 2014) diedero concretezza al Piano su tre fronti: 1) l’ampliamento dell’utilizzo di infrastrutture e delle tecnologie digitali; 2) il rafforzamento delle competenze digitali di giovani e insegnanti;  3) l’uso di nuove metodologie didattiche.

Tutto questo fu portato avanti tramite sperimentazioni in scuole selezionate in tutto il territorio nazionale, dunque non con una diffusione capillare, ma piuttosto a spot.

Nel 2015, poi, la Buona Scuola ha introdotto il nuovo PNSD – Piano Nazionale Scuola Digitale, che si configura – come si legge nelle stesso Piano – come “un percorso condiviso di innovazione culturale, organizzativa, sociale e istituzionale che vuole dare nuova energia, nuove connessioni, nuove capacità alla scuola italiana”.

Il digitale, nelle intenzioni del Piano, è uno strumento di connessione e veicolo di cambiamento. Per realizzare questo progetto innovativo, tale documento individua alcune aree, denominate “passaggi”, fondamentali:

  1. strumenti, ovvero il potenziamento degli aspetti strutturali e infrastrutturali di accesso digitale, cioè la banda ultralarga, ma anche la creazione di ambienti per la didattica digitale integrata, profili digitali per studenti e insegnanti, registro elettronico;
  2. competenze e contenuti, cioè lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti;
  3. formazione, cioè il rafforzamento delle competenze digitali per il personale scolastico (docente, amministrativo e dirigente);
  4. accompagnamento della scuola anche attraverso la formazione di animatori digitali in tutte le scuole e la creazione di un Osservatorio per la Scuola Digitale per raccogliere dati su mezzi, pratiche e processi della didattica digitale.

Il PNSD si pone quindi in continuità con le precedenti azioni di potenziamento delle infrastrutture, delle competenze e delle modalità innovative di fare didattica, con la differenza di prevedere anche una serie di azioni “misurabili” per ogni passaggio previsto, unitamente a un monitoraggio costante delle iniziative. Ogni area ha infatti esplicitate delle missioni, ognuna con dei suoi obiettivi e delle azioni pratiche che si possono misurare o valutare tramite alcuni indicatori. Facciamo qualche esempio. Per l’area Strumenti, l’Azione 2, nella missione Accesso, riguarda il “cablaggio interno di tutte le scuole con reti LAN/W-LAN” e il suo indicatore misurabile è la “percentuale di copertura delle rete infrastrutturale rispetto agli spazi scolastici”; per l’area Competenze e Contenuti, nella missione Competenze, l’Azione 15 “Aggiornare il curricolo di tecnologia alla scuola secondaria di primo grado” viene misurata tramite l’indicatore “livelli di apprendimento degli studenti”.

Tuttavia, come sostenuto da Marco Gui, professore associato di Sociologia dei media all’Università degli Studi Milano-Bicocca, nel libro “Il digitale a scuola. Rivoluzione  abbaglio?” del 2019, il Piano in realtà non identifica sempre in modo chiaro e comprensibile gli indicatori per valutare il successo di tali misure, se non per quanto riguarda la diffusione strumentale della tecnologia, che è in effetti il dato più misurabile (velocità e larghezza di banda). Certo, la tecnologia è un fattore abilitante, ma come sempre non è sufficiente di per sé per mettere in campo vera innovazione. E non basta misurare solo lo strumento.

La stessa logica vale per quanto riguarda la formazione dei docenti. Il Piano prevede di ampliare le loro competenze digitali “trasversali”, ma non si sofferma su quali modalità innovative di didattica dovrebbero utilizzare: l’unico riferimento che se ne fa è quando si parla di utilizzare “modelli e metodologie che saranno raccolti e identificati tra quelli maggiormente efficaci nel confronto delle esperienze internazionali”. Sembra quindi che il PNSD abbia come obiettivo il potenziamento delle infrastrutture e delle competenze piuttosto che lo sviluppo di un nuovo approccio alla didattica. E così facendo sembra occuparsi delle condizioni necessarie più che dei veri obiettivi. Ciò che Gui sintetizza affermando che nel Piano emerge una “retorica del digitale come trasformazione non meglio precisata della scuola”. Qualcuno insomma ha preso la mira ma, a quanto pare, la pistola era caricata a salve.

Di cosa parliamo effettivamente?

Non esistono, però, solo i Piani. Se si guarda alle azioni messe in campo, negli ultimi anni i Governi e altri attori hanno realizzato e sostenuto diverse iniziative per promuovere la digitalizzazione della scuola. La mappatura di queste iniziative consente di individuare tre filoni lungo cui l’innovazione digitale si sta effettivamente consolidando: 1) sviluppo delle competenze degli studenti; 2) inclusione, cioè contrasto alla povertà educativa e al digital divide; 3) promozione di nuove forme di didattica.

 Le competenze degli studenti: il Premio Scuola Digitale

Il Premio Scuola Digitale, promosso dalla Direzione generale per i fondi strutturali per l’istruzione, l’edilizia scolastica e la scuola digitale del MIUR, ha l’obiettivo di “promuovere l’eccellenza e il protagonismo delle scuole italiane nell’apprendimento e nell’insegnamento digitale, incentivando l’utilizzo delle tecnologie digitali nel curricolo e favorendo l’interscambio delle esperienze nel settore della didattica digitale”. L’iniziativa premia quindi i progetti di innovazione digitale per scuole del primo e secondo ciclo.

Il premio ha avuto tre differenti edizioni. La prima (anno scolastico 2018-2019) è stata vinta dall’I.I.S. “Rita Levi-Montalcini” di Acqui Terme con il progetto Blind Helper Toolkit, che consisteva nella realizzazione di una serie di ausili tecnologici per non vedenti. La seconda edizione (anno scolastico 2019-2020) ha premiato separatamente le scuole del primo e del secondo ciclo: hanno vinto l’Istituto comprensivo “Oton Zupancic” di Gorizia con lo sviluppo del videogioco Il mago del clima, e l’IIS Camillo Olivetti di Ivrea con il progetto “PERLA” (Programmable Exercises for Rehabilitation of Legs and Arms), un ausilio automatizzato per sedie a rotelle che consente di mobilizzare le articolazioni delle persone che hanno difficoltà motorie. L’ultima edizione (anno scolastico 2020-2021) ha previsto tre premi, coinvolgendo anche i Centri provinciali per l’istruzione degli adulti. I vincitori sono stati: il Primo Istituto Comprensivo “De Amicis – Milizia” di Oria, con l’app per la realtà aumentata Idee in movimento – Il futuro è nelle nostre mani; L’IIS Fortunio Liceti di Rapallo, con il progetto Virtuale incontra reale, un tour virtuale della scuola fatto in realtà aumentata in occasione dell’open day; il CPIA di Lecce, con Creatività e inclusione in carcere, un laboratorio di creazione di visiere anti-Covid19 fatte con la stampa 3D.

Nel complesso, questi progetti hanno permesso agli studenti di sviluppare una pluralità di competenze digitali e non: dalla scrittura di storyboard coding, dal montaggio di componenti fino alla programmazione e gestione autonoma delle attività previste dai progetti.

Digitalizzazione e povertà educativa

La digitalizzazione può essere anche uno strumento per il contrasto alla povertà educativa. A riguardo, nel corso del tempo sono stati sviluppati numerosi progetti spesso sostenuti da fondazioni e imprese sociali che hanno mirato a colmare il digital divide.

Tra questi, in un nostro articolo abbiamo parlato di TOP (Tutoring Online Program), progetto sostenuto dalla Fondazione Cariplo in collaborazione con l’Università Bocconi, l’Università Bicocca, CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) e la rete delle Università lombarde. Gli obiettivi di TOP sono contrastare il learning loss, cioè il divario di competenze e conoscenze che si sviluppa durante un lungo periodo di assenza da scuola, e incrementare la strumentazione digitale per ragazze e ragazzi attraverso il coinvolgimento di studenti universitari come tutor individuali.

Molte sono poi le iniziative finanziate dall’Impresa Sociale Con i Bambini. Un esempio è S.C.AT.T.I., progetto che coinvolge 27 partner tra enti locali, scuole e organizzazioni del terzo settore in 4 quartieri in altrettante grandi città del Paese: Giambellino a Milano, Ponte di Nona a Roma, Scalea e Praia a Mare in provincia di Cosenza e Zen a Palermo. Il progetto intende contrastare la dispersione scolastica e la povertà educativa attraverso azioni di partecipazione giovanile e dell’intera comunità educante, promuovendo la tutela di bambini e ragazzi e l’utilizzo consapevole delle tecnologie digitali.

Digitalizzazione e innovazione: il Movimento delle Avanguardie Educative

Fare scuola digitale, infine, significa anche sperimentare forme innovative di didattica che integrino il digitale come strumento per la formazione. Proprio con l’intento di investigare, supportare e diffondere nuovi modelli organizzativi e didattici della scuola, nel 2014 è stato fondato il Movimento delle Avanguardie Educative, frutto di un’azione congiunta di INDIRE – l’Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa – e 22 scuole fondatrici. La rete si è poi ampliata e oggi comprende più di 1300 tra scuole capofila e istituti che hanno adottato il modello.

Il Movimento guarda alle Information and Communication Technologies e ai linguaggi digitali considerandoli opportunità per cambiare gli ambienti di apprendimento. Come riportato nel Manifesto programmatico per l’Innovazione sottoscritto dalle scuole del Movimento, “l’utilizzo ragionato delle risorse e degli strumenti digitali potenzia, arricchisce e integra l’attività didattica, “muove” la classe, motiva e coinvolge gli studenti, stimola la partecipazione e l’apprendimento attivo”. In questo senso, le tecnologie digitali “permettono il nascere di nuove metodologie cooperative di scrittura, lettura e osservazione dei fenomeni; consentono la rappresentazione dei concetti avvalendosi di ambienti di simulazione, di giochi educativi, di applicazioni e software disciplinari”.

Il Movimento è stato inserito come buona pratica nella Conferenza internazionale EMINENT 2017 di European Schoolnet, la rete europea dei Ministeri dell’Istruzione.

E ora quali prospettive?

Tiriamo le somme. Il cammino verso la digitalizzazione della scuola è in atto ormai da molti anni e la pandemia ha contribuito ad accelerarlo. Questo è vero non tanto per il ricorso massiccio alla DAD, che probabilmente rimarrà un’esperienza strettamente connessa all’emergenza, quanto piuttosto per l’avvio della DDI e il suo inserimento nei PTOF. Fino ad oggi interpretata come misura perlopiù emergenziale – tanto da essere inserita nel Piano scuola 2020-21 a pandemia già esplosa – nel medio periodo la DDI potrebbe contribuire a promuovere un ulteriore passo in avanti nella digitalizzazione della scuola.

Questo processo, auspicabilmente, dovrebbe promuovere le competenze digitali di chi la scuola la vive ogni giorno (insegnanti, studenti e famiglie), favorire l’innovazione della didattica e promuovere l’inclusione sociale contrastando il digital divide. L’impressione è che fin qui le policy centrali e periferiche abbiano comprensibilmente privilegiato i fattori abilitanti – tecnologie e competenze – senza affrontare il cuore del problema: come tradurre questi fattori in una didattica digitale innovativa.

D’altra parte, l’innovazione va avanti, dal basso e in ordine sparso, come dimostra il Movimento delle Avanguardie Educative. È una sperimentazione spontanea, che vi racconteremo nei prossimi articoli di #OltreLaDad e che va offerta ai policy makers perché si allarghi e si rafforzi, e diventi base per ulteriori applicazioni. Non c’è infatti vera innovazione se i processi sono soltanto top-down.

È anche per questo che nelle prossime puntate di questa serie indagheremo sul campo quali siano gli esiti delle misure finora realizzate e cosa ne pensano le persone che vivono la scuola tutti i giorni.

 


#OltreLaDad

Partendo dai dati e dalle voci dei protagonisti della scuola, è la serie di Secondo Welfare per capire quale sarà il futuro della didattica digitale oltre l’emergenza pandemica. Scopri tutti gli articoli.

 

Note

  1.  Si tratta di una pubblicazione realizzata all’interno di ECo- S.C.AT.T.I., progetto finanziato dall’impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, nato dalle esigenze specifiche sorte a seguito del lockdown di marzo 2020 da 4 territori in Calabria, Lazio, Lombardia e Sicilia, già attivi in una progettazione comune. Responsabile della Guida e capofila del progetto è E.D.I. Onlus, cooperativa sociale attiva nel campo dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che promuove l’uso delle tecnologie digitali in ambito educativo.