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I nuovi dati sulla povertà, pubblicati da Istat lo scorso 15 giugno, mostrano come la condizione di bambini e ragazzi che vivono in Italia continui drammaticamente a peggiorare. Secondo i dati 2021 sono infatti 1,4 milioni i minori in povertà assoluta, incapaci cioè di accedere a beni e servizi considerati necessari per vivere in maniera minimamente dignitosa.

Come sappiamo non è un fenomeno nuovo. Ormai sono più di 10 anni che il tasso di povertà minorile cresce molto più rapidamente rispetto a quello della popolazione complessiva e proprio nell’ultimo anno ha raggiunto il livello più alto. Nel 2021 il tasso di povertà assoluta di chi ha meno di 18 anni è stato infatti pari al 14,2% mentre quello della popolazione nel suo complesso si è attestato al 9,4%. Una distanza di 4,8 punti percentuali, che è cresciuta sia rispetto al 2019 (3,7) che al 2020 (4,1).

Le conseguenze della povertà materiale di bambini e ragazzi, come sappiamo, interessano vari fronti. Fra questi c’è quello della povertà educativa, che limita il diritto dei bambini all’educazione e li priva dell’opportunità di imparare e sviluppare competenze di cui avranno bisogno da adulti (per approfondire si veda qui).

#OltreLaDad
È la serie di Secondo Welfare che, partendo dai dati e dalle voci dei protagonisti della scuola, vuole capire quale sarà il futuro della didattica digitale oltre l’emergenza pandemica. Scopri tutti gli articoli.

Le conseguenze sulla povertà educativa

Come abbiamo più volte sottolineato (si veda ad esempio qui, qui e qui) i bambini che provengono da famiglie svantaggiate hanno: più probabilità di conseguire peggiori risultati a scuola, meno opportunità di partecipare ad attività sociali, culturali e ricreative e, in sostanza, minori possibilità di realizzare pienamente il proprio potenziale.

La pandemia, peraltro, ha contribuito a peggiorare ulteriormente la condizione di bambini e ragazzi ben al di là della dimensione materiale. E la povertà educativa è proprio l’ambito in cui questo è più evidente. L’andamento a singhiozzo delle scuole e di molte attività ricreative, culturali e sportive unitamente a l’ampio ricorso alla Didattica a Distanza (DAD) ha prodotto condizioni che stanno avendo effetti pesantissimi sull’apprendimento, sulla dispersione scolastica e, di conseguenza, sulle disuguaglianze tra minori.

Il tema del digital divide

La DAD in particolare ha posto sotto i riflettori il problema del divario digitale, ovvero del differente accesso che le persone possono avere alle tecnologie (recentemente ne parlavamo anche qui). In proposito, secondo una recente indagine Istat realizzata su un campione di circa 41.000 studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado,  il 50,9% degli intervistati ha riferito di avere avuto problemi di connessione con la rete internet di casa.

Ma se il divario digitale produce disuguaglianze la digitalizzazione della scuola può invece contribuire a ridurle. Da diversi mesi, con la serie #oltrelaDAD, ci stiamo occupando di questo tema e ci è sempre più chiaro che la didattica digitale è in grado di promuove l’inclusione sociale dei giovani sia nel breve sia nel lungo periodo. In che modo?

Nel breve periodo, le pratiche didattiche innovative promuovono il coinvolgimento attivo dei ragazzi e, più facilmente rispetto a quelle meramente trasmissive, supportano lo sviluppo del loro pensiero critico. Una didattica di questo tipo, che prima ancora delle nozioni e dei contenuti pone al centro gli studenti e il loro potenziale e che utilizza mezzi e linguaggi a loro vicini (il digitale appunto), migliora i rendimenti, soprattutto degli studenti meno performanti, e contribuisce quindi alla riduzione degli abbandoni scolastici.

Inoltre, è evidente che il possesso di competenze digitali adeguate garantisce l’accesso a molti servizi (si pensi banalmente al ruolo dello SPID per l’accesso a sempre più servizi) consentendo quindi di godere dei diritti di cittadinanza e permettendo ai giovani, in una prospettiva di lungo periodo, di partecipare con maggior successo al mercato del lavoro.

La scuola come presidio per l’accesso alle tecnologie digitali

In sintesi, le competenze digitali sono oggi centrali e sempre più lo saranno in futuro. Per questa ragione la scuola deve supportarne lo sviluppo.

Può sembrare paradossale, ma è invece sempre più evidente che promuovere il superamento del divario digitale significa andare nella direzione di una maggiore digitalizzazione della scuola. Questo perché la scuola oltre a sostenere gli studenti nell’acquisizione di specifiche competenze, può diventare il luogo in cui l’accesso ai device è garantito anche ai giovani che hanno meno possibilità economiche. Al pari di quanto si fa per i libri di testo (che sono gratuiti per tutti nel caso della scuola dell’obbligo e garantiti agli studenti meno abbienti grazie ai fondi regionali per il diritto allo studio per i cicli successivi) la scuola potrebbe garantire l’accesso ai device (pc e/o tablet) se sono diventano parte integrante del materiale didattico.

Un passo, tra i tanti necessari, che può contribuire a colmare uno dei principali divari che, come abbiamo detto, interessa  i giovani che vivono nel nostro Paese.