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Che la pandemia da Covid-19 avesse “esacerbato la criticità delle condizioni sociali ed economiche delle famiglie che vivevano in situazioni di disagio pregresse”, come sottolineano Maria Garro e Cinzia Novara, docenti del Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche, dell’Esercizio Fisico e della Formazione dell’Università degli studi di Palermo, era prevedibile. Ma quello che emerge dalla ricerca “Pandemia e povertà nelle periferie italiane: il punto di vista delle famiglie e dei bambini” che l’ateneo siciliano ha condotto insieme alla Fondazione L’Albero della Vita è un affresco molto più a tinte fosche.

Il circolo vizioso della povertà educativa

L’analisi, condotta tra agosto e settembre 2021 su un campione di 551 persone – 277 adulti e 274 minori – beneficiarie del programma nazionale di contrasto alla povertà “Varcare la soglia”, spiega che l’emergenza sanitaria ha messo tanti genitori nelle condizioni di non poter garantire ai propri figli le cure essenziali e il soddisfacimento di bisogni primari e secondari. Come la possibilità di procurare gli strumenti per la didattica a distanza.

La povertà educativa, come riconosciuto da molte analisi (e come ricordato recentemente anche da Chiara Agostini), è imputabile in larga misura alla privazione di opportunità di apprendimento e di socialità nei primi anni d’età spesso dettate dalla povertà economica. E in tal senso le conseguenze sociali generate dall’emergenza sanitaria hanno inciso ulteriormente sulle periferie e sulle famiglie con minori che vi abitano.

La mancanza di socialità e cultura, già prima della pandemia

Ma a questo si aggiunge “un’analisi delle forme di disagio minorile e giovanile causate anche dalla carenza, a volte dall’assenza, di confronti sociali costruttivi idonei all’espressione del sé e alla costruzione identitaria. Tra le cause l’impossibilità di lasciare, anche nel tempo libero, il quartiere di residenza, rischiando di inficiare il normale sviluppo individuale e sociale se non adeguatamente supportati”, sottolineano Garro e Novara.

“Oltre al gioco con gli amici, tra le altre attività legate al tempo libero e a pagamento emerge che la maggioranza dei bambini ha avuto poche esperienze prima che scoppiasse la pandemia”, risulta nella ricerca. «Si è voluto indagare quante volte prima del lockdown i minori sono stati portati al cinema, a teatro, a mostre e a concerti. Il 47% non è mai stato al cinema e il 46% è stato portato meno di 5 volte. Per quanto riguarda il teatro l’84% dei bambini intervistati dichiara di non esserci mai stato e solo il 13% di esserci stato qualche volta (meno di 5). L’87% dichiara di non aver mai visto una mostra e l’11 di averlo fatto ma meno di 5 volte. Assistere a un concerto non è mai capitato all’86% dei minori, al 12% è capitato meno di 5 volte.

“Durante il periodo del lockdown” continua la ricerca “queste attività sono state sospese e uno dei modi per passare il tempo è stato leggere libri. Non tutte le famiglie però hanno potuto dare questa possibilità ai propri figli. Il 42% dei minori ammette infatti di non aver letto alcun libro, il 26% di averne letto solo 1”.

Una crescita emotiva bloccata e l’impatto sulla comunità

La cultura però non genera solo un problema educativo e di istruzione. Lo studio infatti collega direttamente questi dati alla sfera emotiva e quindi alla corretta crescita del minore. “Riguardo le capacità dei bambini e dei ragazzi a esprimere le proprie emozioni i minori affermano, per la maggioranza, di essere poco capaci di farlo”. La metà dei bambini ritiene infatti di essere poco capace a esprimere felicità quando accade qualcosa di bello e il 35% pensa di essere “mediamente capace”.

Lo stesso accade quando si tratta di manifestare soddisfazione per il raggiungimento di obiettivi che ci si è preposti. Il 53% non riesce a gioire appieno dei propri successi e il 42% riesce a farlo in parte. Quando si tratta di esprimere liberamente la propria contentezza e il proprio entusiasmo in occasione di feste e incontri con gli amici il 53% si sente poco capace di farlo e il 39% mediamente capace. Inoltre “il 47% riesce poi a rallegrarsi poco del successo di un amico, il 35% si sente abbastanza capace di farlo. Rispetto al divertirsi con gli amici il 40% dei bambini intervistati afferma di avere poca capacità in questo e il 35% di averne abbastanza”.

Il risultato di questa situazione sono conseguenze pesanti non sono solo nell’ambito del benessere individuale ma anche sul benessere di comunità. In tal senso la ricerca spinge “all’individuazione di interventi a sostegno della genitorialità e delle famiglie al fine di potenziarne la progettualità consapevole tesa al cambiamento”. In che modo? Chiede una riflessione il fatto che il 78% degli intervistati ritiene che nonostante tutto, “sia più utile ricevere sostegno socio-pedagogico a distanza da parte di educatori piuttosto che aiuto materiale”.

Pubblico e privato insieme per migliorare i servizi socio-educativi

“Come Fondazione” sottolinea la direttrice generale Isabella Catapano “a Milano, Genova, Napoli, Perugia, Palermo e Catanzaro ci prendiamo carico non solo del minore, ma di tutto il nucleo famigliare e quindi anche del tessuto sociale che vive questi margini”.

Reputiamo che ogni persona e ogni famiglia sia portatrice di un potenziale di cambiamento forniamo a genitori e figli anche un sostegno socio-educativo e psicologico, oltre a quello materiale”. In particolare l’intervento a supporto dell’empowerment della Fondazione “punta a disinnescare il senso di solitudine che le famiglie in povertà vivono come conseguenza della loro condizione e che durante il periodo di lockdown è stato amplificato”. Un approccio dunque che punta sul miglioramento delle relazioni tra genitori e figli, ma anche tra gli stessi minori, che si è rivelato ancor più utile, come confermato dagli stessi beneficiari in questa ricerca, durante la pandemia”.

In conclusione per Catapano “è imprescindibile che si lavori insieme, pubblico e Privato, per migliorare l’accesso ai servizi socio-educativi per le famiglie a rischio di marginalità sociale, per rafforzare le competenze genitoriali e far emergere le risorse nascoste nelle individualità dei giovani. In questo senso è inoltre fondamentale “promuovere comunità educative, con la scuola al centro, in cui tutti gli attori istituzionali, sociali, culturali ed economici assumano come propria responsabilità i percorsi di crescita e studio dei minori, rimuovendo gli ostacoli che impediscono loro la piena fruizione dei processi formativi. Deve essere chiaro che gli ultimi rimarranno sempre ultimi se i primi sono irraggiungibili”.