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Il prossimo 1° aprile con la conclusione dello stato di emergenza terminerà anche la normativa sperimentale che durante l’emergenza Covid ha consentito alle imprese di ricorrere al lavoro agile attraverso una decisione unilaterale dell’azienda con un regime semplificato per gli invii delle comunicazioni. Al momento è quindi previsto il ritorno alla procedura ordinaria definita dalla Legge 81 del 2017, che prevede il ricorso all’accordo individuale con il lavoratore. 

In realtà il Ministero del Lavoro è pronto a confermare il meccanismo semplificato di comunicazione dello smart working, facendo tesoro dell’esperienza fatta in pandemia: i datori di lavoro potranno quindi ricorrere agli invii massivi, invece di dover scansionare e trasmettere ciascun accordo individuale.

Questo anche perché in generale questa modalità lavorativa sembra essere particolarmente apprezzata, soprattutto dai lavoratori. Non tutte le imprese sembrano però avere le stesse opportunità per introdurre questa innovazione.

Lo smart working è sempre più apprezzato

I dati ci dicono che i lavoratori negli ultimi due anni sembrano aver apprezzato questa modalità lavorativa. 

Secondo il policy brief Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori”, recentemente pubblicato dall’INAPP 1 nel 2021 i lavoratori che hanno sperimentato lo smart working sono stati 7.262.999, circa il 32,5% del totale. Si tratta di numeri notevoli, considerato che prima della pandemia erano solo l’11% (2.458.210).

Stando alle rilevazioni dell’INAPP, il 55% dei lavoratori esprime un giudizio positivo sull’esperienza di lavoro da remoto; inoltre, in previsione del ritorno alla “normalità”, il 46% dei lavoratori vorrebbe continuare a svolgere la propria attività in modalità agile almeno un giorno a settimana. Quasi 1 su 4 per tre o più giorni a settimana (Figura 1).

 

Figura 1. Lo smart working e i lavoratori da remoto secondo l’indagine INAPP

 

Come spesso vi abbiamo raccontato, questo è anche legato al fatto che – in condizioni normali – lo smart working rappresenta un’occasione per il lavoratore di gestire in maniera autonoma il proprio tempo e, di conseguenza, assicurarsi più spazio per la gestione degli impegni personali e familiari. In merito, il 69% degli intervistati ritiene che il lavoro da remoto aiuti la gestione delle necessità familiari, anche legate alla cura e all’assistenza; mentre il 67% si sente più libero nell’organizzazione del lavoro.

Ci sono però anche alcune criticità. Il 64% ritiene che generi isolamento, circa il 60% che non aiuti nei rapporti con i colleghi e oltre il 60% lamenta l’aumento dei costi delle utenze domestiche.

 

Figura 2. Le opinioni dei lavoratori sul lavoro agile

 

Le difficoltà per le piccole e medie imprese

Questi numeri aiutano a capire meglio perché diverse parti sociali sostengano e puntino al rafforzamento dello smart working

Ma un dato che però spesso non si considera quando si parla di lavoro agile è quello relativo alle differenze tra le grandi organizzazioni e le micro, piccole e medie imprese

Come accade anche per il welfare aziendale, le piccole realtà sembrano avere meno opportunità di implementare progetti di smart working. Ad evidenziarlo sono, ad esempio, i dati di Welfare Index PMI 2021 (di cui vi abbiamo parlato qui), in cui si riporta come la larga maggioranza (il 71,5%) delle PMI che hanno sperimentato il lavoro da remoto nel corso dell’emergenza pandemica dichiarano di voler tornare non appena possibile all’organizzazione precedente, con presenza stabile sul luogo di lavoro. Inoltre, secondo l’indagine di Generali, meno di 1 impresa su 4 dichiara di volersi orientare verso un modello ibrido, in cui ci sia un bilanciamento tra lavoro da remoto e presenza fisica in azienda.

Anche i dati dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano riportano che, tra il 2020 e il 2021, le piccole e medie imprese sono state quelle che, a livello percentuale, hanno adottato meno lo smart working. Come si può vedere dalla Figura 3, il 44% delle PMI intervistate dall’Osservatorio non ha introdotto progetti per il lavoro agile, contro il 5% delle grandi organizzazioni con più di 249 addetti e il 16% delle Pubbliche Amministrazioni.

 

Figura 3. Grandi imprese, PMI e Pubbliche Amministrazioni che hanno adottato lo smart working tra il 2020 e il 2021

 

Inoltre, sempre secondo l’indagine dell’Osservatorio, lo smart working verrà mantenuto e formalizzato nell’81% delle grandi imprese, nel 50% delle Pubbliche Amministrazioni ma solo nel 13% delle piccole e medie imprese. Infine, il 51% degli imprenditori a capo di PMI dichiara che il lavoro agile non sarà presente nel prossimo futuro (contro il 3% delle grandi imprese e il 12% delle PA).

In merito Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working, ci ha detto che “anche prima della pandemia lo smart working non era molto diffuso nelle piccole imprese soprattutto per una ragione culturale. Il lavoro agile si basa su un cambiamento di mentalità e di approccio al lavoro, il quale diviene incentrato non tanto sulla presenza fisica ma piuttosto sul raggiungimento degli obiettivi. Questa idea era spesso già diffusa nelle grandi imprese: le piccole invece ancora faticano nel fare questo passaggio. A questo poi si aggiunge il tema della difficoltà nel remotizzare alcuni processi produttivi, specie in alcuni settori come quello manifatturiero, delle attività svolte da alcune organizzazioni“.

Sicuramente la pandemia ha portato a una maggiore sperimentazione per molte PMI“, prosegue Crespi, “in prospettiva sarà però essenziale investire nelle nuove tecnologie, specie a supporto della produzione, che possono sempre di più ridurre il numero di attività che si possono svolgere solo in presenza. Perciò, a contribuire ad un vero e proprio cambio di passo nell’adozione dello smart working nelle PMI, sarà l’adozione delle tecnologie digitali che limiteranno la necessità della presenza fisica in azienda. Questo porterà molte realtà a riflettere seriamente sulle opportunità del lavoro agile“.

Alcune proposte per lo sviluppo dello smart working delle piccole imprese

Le difficoltà delle PMI derivano quindi dalla complessità di svolgere molte attività da remoto e dal mancato salto culturale del management aziendale. Come ci ha anticipato Fiorella Crespi, esistono però alcune opportunità da cogliere nel prossimo futuro per promuovere la diffusione del lavoro agile anche nelle piccole e medie imprese.

Promuovere e garantire i benefit e il welfare anche agli smart working

In primo luogo, per sostenere le PMI in questo percorso, sembra necessario alimentare la conoscenza dei piccoli imprenditori rispetto a questo tema e, più in generale, in merito alle opportunità che benefit e misure integrative alla retribuzione possono garantire.

Come evidenziato da un recente articolo del Bollettino ADAPT, curato da Maria Sole Ferrieri Caputi, il lavoro agile e il welfare aziendale sono infatti legati a doppio filo. Entrambe le misure possono essere strategiche per ottimizzare il clima aziendale, ridurre il turn-over e incrementare la produttività. Ma spesso non sono adeguatamente conosciute dagli imprenditori.

Inoltre, in alcuni casi questo legame non è correttamente valorizzato neanche dal Legislatore. È il caso dei buoni pasto. In merito, nel corso del 2020 una sentenza del Tribunale di Venezia aveva messo in dubbio il diritto dei lavoratori agili di poter usufruire dei buoni pasto.

Come ci ha detto Giulio Siniscalco, direttore commerciale di Edenred Italia, “il buono pasto è uno strumento in grado di supportare le persone e di generare un impatto sul reddito delle famiglie e sull’economia. A tutela dei lavoratori che svolgono le proprie attività in smart working si sono espressi ANSEB, che ha spiegato la necessità di garantire a chi svolge il proprio lavoro in modalità agile un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda e anche il Ministero del Lavoro che ha creato il primo ‘Protocollo Nazionale sul lavoro in modalità agile’ nel settore privato. Tra i vari aspetti definiti ci sono la parità di trattamento e le pari opportunità tra chi svolge il suo lavoro in sede e chi in modalità smart”.

Anche in questo caso permangono però differenze tra piccole e grandi imprese. “Se le grandi organizzazioni”, ha proseguito Giulio Siniscalco, “erano forse più preparate ad adattarsi alle nuove modalità di lavoro, le piccole imprese hanno dovuto in molti casi trasformarsi più rapidamente, dotarsi degli strumenti necessari e mantenere un equilibrio tra i collaboratori. Ad ogni modo, il buono pasto è stato, e continua ad essere, uno tra i benefit più apprezzato dai lavoratori, ma anche dalle imprese, sia di grandi che di medio-piccole dimensioni. Da un lato per la sua flessibilità di utilizzo, in termini di formato, luogo e orario, dall’altro per le agevolazioni fiscali che lo caratterizzano e che permettono alle organizzazioni di promuovere il benessere delle proprie persone, indipendentemente dalle dimensioni aziendali”.

Valorizzare la contrattazione di primo e secondo livello

In secondo luogo, per il periodo post-emergenza sarà essenziale valorizzare la contrattazione collettiva per la regolazione del lavoro agile

Come noto, la Legge 81/2017 non prevede il coinvolgimento della parte sindacale, ma solo un accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente. Esperti e giuristi stanno però sempre più spesso evidenziando come il ricorso alla contrattazione possa essere un elemento decisivo per rafforzare l’istituto del lavoro agile, assicurando al contempo alcune tutele essenziali per i lavoratori (come il diritto alla disconnessione e alla sicurezza).

In questa direzione si è recentemente espresso il Gruppo di lavoro istituito dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando lo scorso 13 aprile 2021, allo scopo di analizzare gli effetti dello svolgimento dell’attività di lavoro in modalità di agile, anche in vista del termine dell’emergenza. 

In particolare, nella relazione conclusiva del Gruppo si sostiene che la contrattazione collettiva appare lo strumento migliore per disciplinare lo smart working. Dal documento si legge “la prospettiva di un ricorso al lavoro agile ben più intenso rispetto al passato impone di considerare la funzione regolativa svolta dalla contrattazione collettiva, anche alla luce della circostanza che i contratti mostrano una propensione a prevedere elementi di criticità non ancora rilevati dalla legge ed hanno dimostrato una buona capacità di bilanciare gli interessi in gioco. Pertanto”, prosegue il testo redatto dagli esperti, “riteniamo opportuno che si valorizzi maggiormente la fonte regolativa contrattuale devolvendole la funzione normativa primaria proprio nelle materie su cui essa, a oggi, si è maggiormente esercitata”.

Su questo fronte fa ben sperare anche la sottoscrizione del “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile” dello scorso 7 dicembre 2021 da parte delle principali sigle sindacali (Cgil, Cisl, Uil, UGL, Confsal, Cisal, USB) e associazioni datoriali (da Confindustria a Confapi, passando per Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, CNA, Confagricoltura, Coldiretti, ABI, ANIA e le maggiori organizzazioni di tanti altri settori industriali e di servizi).

Promuovere la digitalizzazione nelle PMI

Infine sembra cruciale sostenere il percorso di digitalizzazione delle imprese italiane, e soprattutto delle realtà produttive più piccole.

In merito il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), riserva alla digitalizzazione quasi il 30% dei 222 miliardi di euro complessivi. All’interno della Missione 1, la Componente 2 del Piano si focalizza sull’aumento del tasso di digitalizzazione, innovazione tecnologica e internazionalizzazione attraverso una serie di interventi complementari tra loro. 

Più della metà degli investimenti allocati alla Componente 2 è destinato all’incentivazione fiscale del Piano Transizione 4.0 (credito d’imposta per Formazione e Ricerca e sviluppo), nella speranza che tali agevolazioni possano spingere sempre più imprese verso la digitalizzazione aziendale.

Questo potrebbe essere utile per un radicale cambio di mentalità, verso la promozione di nuove formule di organizzazione aziendale e di digitalizzazione dei processi. Lo smart working rientrerebbe a pieno titolo tra gli interventi e le iniziative da promuovere e sostenere.

 

 

Note

  1. L’indagine dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche è stata realizzata attraverso oltre 45mila interviste a lavoratori dai 18 ai 74 anni, svolte tra il periodo di marzo e luglio 2021.