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Dopo la pandemia, le grandi dimissioni. Negli ultimi mesi, in molti hanno iniziato a parlare di un progressivo incremento dei licenziamenti volontari, soprattutto tra i giovani under 35. Come riportato da vari organi di stampa, come Repubblica e da Il Corriere della Sera, questo comportamento sembra motivato dalla ricerca di migliori opportunità di carriera ma anche di maggiore serenità sul posto di lavoro.

Il fenomeno riguarda soprattutto gli Stati Uniti e il mondo anglosassone, dove è indicato col termine The great resignation, ma anche nel nostro Paese molte aziende hanno iniziato a riflettere su come evitarlo, trattenendo (e attraendo) i migliori talenti in circolazione. Per questo pensare a strategie per migliorare il benessere in azienda e, di conseguenza, incrementare l’attrattività e l’engagement è divenuto prioritario per diverse realtà. E in questo senso il welfare aziendale rappresenta una strada percorsa da molti.

I benefit e i servizi messi a disposizione dell’azienda come forma di integrazione della normale retribuzione sono infatti sempre più apprezzati dai lavoratori. Al contempo, le imprese ritengono inoltre che il welfare sia uno strumento strategico per il clima lavorativo e organizzativo. Ad evidenziarlo ci sono alcune indagini, come il 5° Rapporto Censis-Eudaimon.

Il punto di vista dei lavoratori

L’indagine, curata dal noto istituto di ricerca e promossa dall’operatore di welfare aziendale Eudaimon, ha coinvolto un campione di lavoratori italiani e un gruppo di responsabili delle Risorse Umane (più avanti indicati come HR – Human Resources) di alcune imprese di medie e grandi dimensioni.

I risultati indicano che tra le persone intervistate oltre l’85% chiederebbe alla propria azienda più servizi di welfare e per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Come si può vedere dalla figura 1, la percentuale sale fino a superare il 90% nel caso dei dirigenti.

Inoltre è interessante notare che 3 lavoratori su 4 vorrebbero avere dall’azienda un supporto informativo per affrontare i problemi e le difficoltà legate alla sfera sociale. Si tratta di una tematica importante che Secondo Welfare ha affrontato in questi mesi da diversi punti di vista: dalla dimensione organizzativa di benefit e servizi a quella della flessibilità dei tempi di lavoro, passando anche dal benessere psicologico.

 

Figura 1. Le possibili richieste da fare alle aziende che i lavoratori reputano importanti (val. %).

 

Nell’ambito del welfare aziendale sembra infatti divenire sempre più importante non solo mettere a disposizione dei pacchetti di servizi (più o meno preconfezionati), ma garantire al tempo stesso una serie di azioni come l’analisi dei bisogni, percorsi di informazione e, più in generale, interventi finalizzati a guidare il lavoratore verso quegli interventi in grado di rispondere in maniera più efficace alle sue necessità o a quelle della sua famiglia.

Il punto di vista dell’impresa

Come detto, l’indagine ha interessato anche 64 responsabili HR di altrettante aziende. Dalle loro interviste emerge che il welfare aziendale sarà centrale nel prossimo futuro. In particolare, secondo il 62% degli HR intervistati il welfare sarà prioritario nella gestione dei rapporti con i collaboratori dell’azienda; a questi si aggiunge un ulteriore 33% che lo reputa comunque “molto importante”.

Le prestazioni ritenute più rilevanti per i lavoratori sono quelle riguardante la sfera sociale (cioè il cosiddetto welfare “nobile”). Secondo l’85% dei responsabili HR tra queste ci sono quelle riguardanti la salute, la protezione del rischio di non autosufficienza, la cura dei figli e l’assistenza a un familiare disabile o non autosufficiente. Seguono poi le misure di conciliazione vita-lavoro (75%), quelle per l’istruzione e la formazione dei figli (73%), gli interventi per sostenere il reddito e il potere d’acquisto (61%) e la previdenza complementare (52%).

 

Figura 2. Il punto di vista delle aziende sulle cose di cui ci sarebbe più bisogno per lo sviluppo del welfare aziendale (val. %).

 

Un altro tema importante su cui il rapporto si sofferma è la questione dell’accompagnamento e dell’informazione dei lavoratori. Secondo il 92% degli intervistati, nel momento in cui si avvia un piano di welfare aziendale è essenziale attivare delle azioni per informare tutti rispetto ai servizi a disposizione e alle modalità di utilizzo. Questo tema è stato oggetto anche di un nostro recente approfondimento.

Infine, è stato chiesto ai responsabili delle aziende di indicare in che modo il welfare aziendale potrà continuare a svilupparsi nel prossimo futuro. Per quasi il 94% degli HR servono maggiori benefici fiscali, per l’86% più servizi e prestazioni personalizzate sulla base del profilo e delle esigenze dei lavoratori, come età, genere e composizione familiare, mentre per il 78% un’informazione più puntuale (Figura 2).

Il welfare aziendale e la centralità delle persone

Sia per i lavoratori che per le organizzazioni il welfare aziendale sembra essere diventato quindi un elemento centrale del rapporto di lavoro.

Di fatto sono sempre di più le imprese che stanno iniziando a considerare il benessere complessivo delle persone in azienda come un fattore di motivazione e retention. Un recente articolo de Il Sole 24 Ore mette in luce come – soprattutto a seguito della pandemia – le organizzazioni stiano abbandonando la client centricity a favore della people centricity.

Questo significa cambiare il modo di rapportarsi con i propri collaboratori, i quali divengono i principali stakeholder di riferimento. Il rapporto con il cliente resta (e resterà) sempre l’interesse principale, ma oggi matura una nuova attenzione verso i bisogni e le necessità dei lavoratori e delle lavoratrici. Tanto che il loro benessere (ma anche quello delle loro famiglie) diviene – attraverso il welfare – parte integrante della contrattazione (come dimostrano anche alcuni recenti dati del Ministero del Lavoro).

Per questo oggi è cruciale riflettere riguardo alle misure che l’azienda mette a disposizione e alle strategie che essa utilizza. Oggi più che mai è divenuto, ad esempio, fondamentale avviare una riflessione in merito allo smart working e al salto culturale necessario per avviare un percorso di lavoro scandito “per obiettivi” (ne abbiamo parlato qui e qui).

Può essere inoltre importante pensare all’utilità di sistemi per la valutazione dell’impatto sociale del piano di welfare aziendale, allo scopo di avere un ritorno concreto sugli effetti che questo produce. In merito il nostro Laboratorio ha avviato una riflessione che ha portato alla stesura delle “Linee guida per la valutazione d’impatto di iniziative di welfare aziendale”.

Anche prestare attenzione alle reti che il welfare aziendale può contribuire a creare a livello territoriale, in una logica di “filiera corta”, e alle competenze e professionalità di cui un’azienda può avere bisogno, come i Welfare Manager, ci sembrano passaggi necessari per costruire un processo organizzativo che metta al centro la persona e il suo benessere.