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Nella sanità pubblica italiana è in corso un’accelerazione di processi di privatizzazione che da tempo stanno minando i principi costitutivi del Servizio sanitario nazionale (SSN), mettendone a repentaglio attività e tenuta. Nato dai conflitti degli anni Sessanta e Settanta, il SSN ha segnato il momento di maggiore qualificazione democratica del welfare italiano ed è stato improntato da universalità di copertura, equità di accesso e uguaglianza di trattamento, globalità dell’intervento sanitario, uniformità territoriale, partecipazione democratica, finanziamento tramite la fiscalità generale progressiva.

A partire dagli ultimi due decenni del secolo scorso si è registrata un’inversione di rotta nella cornice di nuove politiche di stampo neoliberale, dirette ad allargare gli spazi del mercato in ambiti tradizionalmente regolati dallo Stato, a ridimensionare i servizi di welfare, a introdurre l’outsourcing dei servizi pubblici e logiche competitive anche in ambito sociale. In molte realtà occidentali, dopo un rilevante aumento della spesa sociale in rapporto al PIL, le preoccupazioni sulle risorse economiche necessarie a sostenere il modello di espansione del welfare state hanno condotto a un ridimensionamento o a una ricalibratura di quest’ultimo. I cambiamenti introdotti hanno riguardato soprattutto la definizione di limiti alla domanda di servizi pubblici e l’introduzione di soggetti privati in queste attività.

Su questo sfondo, in un articolo recentemente scritto con Marco Geddes da Filicaia per il fascicolo 3/2023 di Politiche Sociali/Social Policies – il cui focus è interamente dedicato al tema “Salute e sanità al centro del cambiamento” – abbiamo preso  in esame le modifiche subentrate nella sanità pubblica italiana e la crescita delle aree di presenza del privato. 

La sanità nella crisi del welfare: dinamiche storiche e contesto odierno

A partire dagli anni Ottanta del Novecento, le politiche sanitarie hanno risentito di orientamenti caratterizzati da una liberalizzazione dei mercati, dalla privatizzazione di servizi pubblici e di welfare, da una forte espansione della finanza. Si passò in quegli anni dall’obiettivo di assicurare a fasce sempre più ampie di popolazione l’accesso ai servizi sanitari a quello del controllo dell’eccesso dei consumi sociali e della spesa sanitaria: si imposero così in molti Paesi rigide politiche di bilancio, nonché misure di controllo dell’offerta dei servizi e del costo delle prestazioni.

Attività come le cure sanitarie e l’assistenza ai più fragili tesero ad assumere la forma di “merci” (come tali, comprate sul mercato da coloro con capacità di spesa), anziché di diritti garantiti dallo Stato sociale. Queste dinamiche si manifestarono nella maggior parte dei Paesi sotto forma di ristagno o riduzione della spesa sanitaria pubblica, aumento dei contributi richiesti ai cittadini per la copertura dei costi dei servizi (ticket), crescita della spesa sanitaria sostenuta direttamente dai cittadini (out of pocket) per l’acquisto di servizi sanitari privati, perdita di capacità di programmazione dei servizi socio-sanitari.

In Italia il processo di privatizzazione ha assunto specifiche caratteristiche che hanno ricalcato la traiettoria osservata a livello internazionale. La stessa attuazione delle nuove politiche sanitarie pubbliche ispirate all’istituzione del SSN (Legge n. 833/1978) incontrò sin dall’inizio grandi difficoltà. A incidere negativamente sulla realizzazione della riforma sanitaria del 1978 furono l’imporsi di modelli selettivi contrari alle istanze universalistiche, un mutato assetto politico e di governo (per lo più espressione di coalizioni di pentapartito, incapaci di rinnovamento, con una crescente frammentazione della rappresentanza politica), il nuovo contesto di contenimento della spesa pubblica, l’introduzione di forme di compartecipazione degli utenti ai costi delle prestazioni sanitarie (ticket).

Investire nel Servizio Sanitario conviene a tutti

Nel corso di pochi anni si verificò così un mutamento rispetto al decennio precedente: a un impianto integrato alla salute subentrarono modelli di mercato; alla centralità dell’azione politica in ambito sanitario subentrò una individualizzazione delle risposte fornite; all’attenzione ai determinanti sociali e ambientali della salute subentrò un paradigma incentrato sull’approccio individuale alla malattia;  il tutto accompagnato, sul piano organizzativo, da una svolta manageriale.

In particolare, fu nella congiuntura della crisi economica del 1992 che il ministro della sanità Francesco De Lorenzo mise mano alla revisione della riforma del 1978, dando luogo a una prima fase del “neoliberismo all’italiana”1. La tesi sostenuta nel nostro saggio è che le disposizioni contenute nel D.lgs. n. 502 del 30 dicembre 1992 (la cosiddetta “riforma bis” o “riforma della riforma”) celavano l’introduzione di un netto cambiamento nei principi, nella struttura e nel funzionamento del SSN.

Con questo decreto si procedette in tre direzioni: aziendalizzazione, regionalizzazione del servizio, privatizzazione del sistema. Più motivazioni vennero addotte per giustificare l’adozione della “riforma della riforma” sanitaria. Reagire a quelle che erano presentate come le principali disfunzioni del modello di gestione locale della sanità degli anni Ottanta, segnato da fenomeni di corruzione, clientelismo, deresponsabilizzazione finanziaria, guidati da meccanismi di spartizione delle risorse e degli incarichi tra i partiti. E, soprattutto, contenere la spesa, pur riconoscendo che le risorse destinate alla sanità – misurate, ad esempio, in termini di percentuale di PIL – erano ancora inferiori rispetto a quelle riservate allo stesso scopo dagli altri paesi cosiddetti industrializzati.

L’impatto delle crisi economiche sulla sanità italiana

Con i mutamenti introdotti da questo provvedimento si aprì di fatto la strada alla separazione fra “committenti” e “produttori” dei servizi sanitari, secondo il modello del purchaser-provider split introdotto nel servizio sanitario britannico in quegli stessi anni dalle politiche di Margaret Thatcher. Proprio questa trasformazione consentì̀ l’emergere di attività private finanziate dalla spesa pubblica e favorì l’introduzione delle regole del mercato nella produzione dei servizi. La discontinuità tra la legge del 1978 e il decreto del 1992 appare dunque netta: si allineò l’assetto sanitario ai principi dominanti del New Public Management (NPM), si andò nella direzione di una riduzione della spesa pubblica, si introdussero regole di mercato nel comparto della produzione dei servizi sanitari. Così facendo, si operò a favore del passaggio da un sistema pubblico integrato, nel quale l’offerta di strutture private era residuale, a uno orientato a un modello misto, pubblico-privato, regolato da rapporti contrattuali.

Le successive riforme sanitarie della fine del Novecento (il D.lgs. n. 517/1993 e il D.lgs. n. 229/1999, ministre della Sanità Maria Pia Garavaglia e Rosy Bindi) portarono a loro volta a una correzione di questo nuovo impianto, rifacendosi ad alcuni dei principi della legge n. 833 e mantenendo fermo il principio dell’universalismo, nonostante le notevoli pressioni provenienti dalle forze politiche di opposizione, come da Confindustria. Tuttavia, i cambiamenti subentrati e soprattutto le successive politiche adottate negli anni Duemila hanno consolidato un progressivo processo di potenziamento del privato in sanità, con l’estensione delle logiche di profitto e aziendali anche nelle strutture pubbliche, e l’aggravamento delle disuguaglianze di salute e delle disparità territoriali.

Le politiche di austerità adottate in conseguenza della crisi economica del 2008 hanno fatto propria l’agenda di ridimensionamento della spesa pubblica, con forti tagli proprio al SSN. Quella italiana è stata una erosione carsica del SSN, intrecciatasi con le dinamiche della crisi e dispiegatasi, da un punto di vista delle decisioni di spesa, con le scelte operate negli anni successivi. Oltre a gravare sulle restrittive politiche per il personale sanitario (e sulle sue condizioni di lavoro), il ridimensionamento delle risorse pubbliche si è palesato in termini di riduzione dell’offerta, divario nella qualità e quantità dei servizi forniti dalle Regioni, difficoltà di accesso fisico ed economico alle cure (quando non rinuncia a esse), spostamento della domanda verso il mercato privato. Il processo di privatizzazione in corso può marciare velocemente nell’ultimo decennio grazie al definanziamento del SSN, ma anche tramite un dirottamento di risorse pubbliche verso la sanità privata.

Il SSN tra risorse scarse e bisogni crescenti: un problema di equità e sostenibilità

Per comprendere alcuni aspetti del processo di privatizzazione in corso, conseguente al progressivo definanziamento della sanità pubblica, è opportuno distinguere le aree di presenza del privato dal lato del finanziamento e da quello dell’erogazione. Nello specifico, il finanziamento privato di servizi e prestazioni concerne: il pagamento diretto della prestazione (out of pocket); le assicurazioni private e le forme mutualistiche; il welfare aziendale. A sua volta, l’erogazione di prestazioni sanitarie da parte del privato concerne l’erogazione di prestazioni in proprio da parte del privato; l’erogazione di prestazioni del privato per il SSN (privato convenzionato); l’attività privata all’interno della struttura pubblica (la libera professione intramoenia); lo svolgimento da parte del privato di attività all’interno della struttura pubblica (le esternalizzazioni).

Tali processi di estensione delle attività private sono problematici sia in termini di  efficienza che di efficacia. La natura dei servizi privati è di ottenere profitti anziché di garantire i diritti fondamentali delle persone, nell’interesse della collettività. Ad esempio, la  prevenzione è trascurata dalle iniziative private proprio perché ridurrebbe la domanda di servizi sanitari, anche se essa ha un ruolo chiave per la tutela della salute. Inoltre, l’azione privata si rivolge innanzitutto a “consumatori” con elevata capacità di spesa, offrendo servizi differenziati; il principio di uguaglianza viene quindi ignorato in un contesto di sanità privata.

Per il diritto alla salute e il rilancio del Servizio sanitario nazionale

Negli ultimi decenni si è andata rafforzando la convinzione che la salute sia un bene soggetto – almeno in parte – ai criteri di mercato e che in una società “libera” pubblico e privato debbano collocarsi sullo stesso piano e agire secondo logiche competitive. Una convinzione, questa, tradotta in più narrazioni, ma ben lontana dalla definizione costituzionale del diritto alla salute. Secondo, infatti, quanto disposto dalla Costituzione, la Repubblica «tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» (art. 32). Rendere esigibile il diritto alla salute, come diritto sociale e di libertà, diritto umano fondamentale, significa allora garantirne l’universalità e l’effettività tramite lo strumento a ciò preposto: il Servizio Sanitario Nazionale.

Cosa pensano gli italiani del nostro sistema sanitario

La nostra tesi è quindi che occorra rilegittimare l’idea della sanità pubblica e la priorità del diritto alla salute «sopra tutto», con un rilancio e potenziamento del servizio sanitario pubblico, universalmente garantito, senza alcuna discriminazione di accesso, finanziato attraverso la fiscalità generale progressiva, volto a intervenire sui fattori che incidono sulla salute individuale e collettiva.

In un orizzonte di questo tipo lo spazio per iniziative sanitarie private e non profit può trovarsi in attività integrative, che arricchiscano anziché sostituirsi ai servizi pubblici nel quadro di una regia e programmazione pubblica delle politiche per la salute. Il presupposto è che le politiche di welfare siano caratterizzate da «diritti e servizi sociali che si convertono in doveri dello Stato e in obblighi di soggetti economici privati» finalizzati alla garanzia dei diritti fondamentali e delle condizioni per il loro esercizio (Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Roma-Bari, Laterza, 2014, 74). Viceversa, la rinuncia all’uso di un servizio sanitario pubblico avrebbe conseguenze irreversibili, compreso l’aggravamento delle odierne diseguaglianze.

I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social Policies

Il presente articolo sintetizza alcuni degli esiti del lavoro scritto da Marco Geddes da Filicaia e Chiara Giorgi pubblicato sul numero 3/2022 di

Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: M. Geddes da Filicaia e C. Giorgi

, in «Politiche Sociali/Social Policies», 3/2023, pp. 425-444.

Note

  1. M. Geddes da Filicaia, “Il neoliberismo e le politiche della salute”, in Italianieuropei, 4, 2019.
Foto di copertina: Pixabay tramite Pexels