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I contenuti di questo articolo fanno parte di un lavoro in corso, realizzato nell’ambito del progetto DisPARI, dal titolo “Exploring food poverty among adolescents: a conceptual framework for guiding research, intervention, and policy development” (Palladino M., Cafiero C., Sensi R.). Sono da considerarsi contenuti preliminari e in evoluzione.

L’adolescenza è una fase della vita in cui lo sviluppo è rapido e complesso e l’ambiente circostante gioca un ruolo cruciale. La costruzione dell’identità in questa fase si intreccia con il bisogno di autonomia, appartenenza e riconoscimento (Branje et al. 2021). È anche una fase particolarmente sensibile per il benessere psicologico1, nella quale si fanno esperienze emotive fondamentali poi anche per la vita adulta.

Uno sviluppo equilibrato può essere facilmente compromesso da condizioni materiali difficili, come la mancanza di accesso regolare al cibo che per gli adolescenti non hanno solo conseguenze fisiche, ma anche psicologiche ingenerando un senso di insicurezza e vulnerabilità che può minare profondamente il loro benessere mentale.

Il cibo, infatti, non è solo nutrimento: è relazione, identità, esperienza sociale. Fin dall’infanzia, mangiare non è solo soddisfare un bisogno, ma anche vivere un’esperienza emotiva e condivisa che contribuisce a costruire il senso di sé e degli altri.

I nessi tra benessere psicologico in adolescenza e povertà alimentare

Vivere una condizione di povertà alimentare durante l’adolescenza, una fase così cruciale di cambiamento e crescita, può ostacolare lo sviluppo fisico ed emotivo, compromettere il benessere complessivo e ridurre le prospettive future degli individui (per approfondire si veda Caracozza 2024). In questo contesto, esplorare meglio come la povertà alimentare incida sul benessere psico-emotivo degli adolescenti diventa essenziale.

Come abbiamo già avuto modo di evidenziare, la povertà alimentare non si traduce necessariamente solo nel consumare meno cibo, ma anche nel doversi accontentare di cibo di scarsa qualità e nel non avere certezza rispetto alla continuità del proprio accesso al cibo. Per noi, povertà alimentare è qualsiasi limitazione alla possibilità di scelta rispetto a cosa, come, quando e con chi mangiare che ha conseguenze su molte dimensioni del benessere: fisica, psicologica e di relazioni (Palladino et al. 2025). Guardare al cibo solo dal punto di vista nutrizionale sarebbe molto riduttivo e sarebbe un errore grave trascurare il fatto che il cibo assume da sempre anche un forte significato emotivo e sociale. Per gli adolescenti, questi aspetti sono ancora più rilevanti che per gli adulti in quanto contribuiscono alla costruzione dell’identità e al senso di appartenenza alla società. Quando la libertà di accesso al cibo è limitata, vengono compromesse anche le esperienze relazionali, simboliche ed emozionali ad essa legate, con potenziali ripercussioni negative sul benessere psicologico.

Nell’ambito del progetto DisPARI, che tra i suoi obiettivi include esplicitamente lo sviluppo di un questionario volto a misurare l’entità del disagio emotivo legato alla povertà alimentare negli adolescenti, ci siamo interrogati anche su quali parole usare per descrivere questa sofferenza: si tratta di disagio, di malessere, o di qualcosa di più serio come un disturbo psicologico? La dottoressa Cecilia Iannaco2, psicoterapeuta, ci ha aiutato a fare chiarezza:

“Malessere per me si contrappone al benessere. Disagio e malessere vengono in genere usati come sinonimi in letteratura, anche nella letteratura psicologica, non si fa una precisa differenza, e tutte e due direi che sono in contrasto con disturbo. Quindi, disturbo va inteso come patologia più o meno strutturata, mentre malessere e disagio sono il risultato di situazioni avverse di condizioni ambientali, eventi negativi della vita, rappresentano una sofferenza che è connessa a una difficoltà della vita, però che si considera momentanea, transitoria. Ecco, in questo senso sono sinonimi. Cioè, quando si parla di malessere o disagio direi che non si intende una patologia strutturata, a differenza del disturbo”.

Per disagio o malessere alimentare, quindi, ci riferiamo agli stati emotivi e psicologici legati a situazioni di difficoltà, quali la mancanza di cibo, la fatica dei genitori a far quadrare i conti, la rinuncia a momenti di condivisione come il cibo con gli amici, ecc. Si tratta di un malessere che rischia di toccare autostima, motivazione, senso di appartenenza, e che può riflettersi nella vita sociale e scolastica di un adolescente.

Il nostro obiettivo nel mettere a punto uno strumento di misurazione non è quindi quello di contribuire a diagnosticare disturbi psicologici, ma di mettere correttamente in evidenza vissuti che generano malessere, che sono parte integrante della povertà alimentare, ma che oggi rischiano di restare invisibili.

La dimensione emotiva come parte rilevante dell’esperienza vissuta

Che si tratti di situazioni di effettiva mancanza di cibo o di limitazioni alle esperienze di vita ad esso legate, diversi studi hanno dimostrato che negli adolescenti non è solo il corpo, ma anche la mente a risentirne. La letteratura mostra come l’insicurezza alimentare colpisca in misura crescente le fasce più giovani della popolazione, producendo effetti a breve e lungo termine, sul piano fisico, cognitivo ed emotivo (Myers 2021; Harmon 2023). Negli Stati Uniti, Gundersen e Ziliak (2018) hanno sottolineato come l’insicurezza alimentare sia associata ad ansia, problemi cognitivi e comportamenti aggressivi nei più giovani.

Inoltre, la povertà alimentare può incidere profondamente sulla qualità delle relazioni familiari: i figli di madri che non riescono a garantire un’adeguata sicurezza alimentare mostrano più frequentemente segnali di disagio emotivo, e nei casi più gravi questo può tradursi in depressione o pensieri suicidari (Whitaker et al. 2006; Alaimo et al. 2002; McIntyre et al. 2013). Esperienze dirette di adolescenti tra i 7 e i 14 anni rivelano emozioni intense come paura, frustrazione e irritabilità legate all’insicurezza alimentare (Leung et al. 2020). Inoltre, la preoccupazione costante per il cibo può ridurre la capacità di concentrazione e influire negativamente sul rendimento scolastico (Masa e Chowa 2021).

Altrettanto importanti sono le implicazioni della povertà alimentare per il confronto con gli altri. Spesso i giovani tendono a valutare la propria condizione rapportandola a quella dei coetanei, e sentirsi “diversi” per ciò che ci si può permettere, può arrivare a minare l’autostima e influenzare negativamente le scelte alimentari quotidiane (Edwards e Taub 2017; Velardo et al. 2024; Jeffrey et al. 2022).  Altri studi evidenziano come, in contesti dove il cibo scarseggia, i giovani vivano sentimenti di vergogna, isolamento sociale e stress, che si riflettono negativamente sia sullo stato nutrizionale sia sull’umore e sul benessere generale (Asfahani et al. 2019).

Quando i giovani non possono esercitare la loro agency – che noi definiamo esplicitamente come libertà di scelta su cosa, come, quando e con chi mangiare –, si modificano sia il modo di sentirsi parte di un gruppo sia le strategie messe in atto per evitare giudizi o esclusione (Brown et al. 2024). Non potersi permettere di uscire a mangiare con gli amici può ridurre le occasioni di socialità per gli adolescenti, con effetti importanti sul loro benessere psicologico e sullo stato emotivo, generando emozioni altalenanti (Orben et al. 2020; Almeida et al. 2022, Palladino et al. 2024).

Cibo, socialità, emozioni nella voce degli adolescenti in Italia

Per progettare interventi efficaci e realmente “a misura” degli adolescenti, è essenziale comprendere a quali dimensioni della loro vita si estende l’esperienza della povertà alimentare e con quale intensità essa incide. Questo livello di comprensione può emergere molto attraverso l’ascolto diretto delle loro voci (come evidenziato anche da alcuni degli studi già citati) che è quanto abbiamo fatto nel 2022 con ActionAid e che abbiamo continuato a fare con il progetto DisPARI, tuttora in corso.

In quest’ultimo caso, l’obiettivo è duplice: da un lato raccogliere le testimonianze dei vissuti degli adolescenti per aiutarci a descrivere l’esperienza della povertà alimentare; dall’altro, utilizzare il racconto delle loro esperienze per elaborare domande da inserire in un questionario con cui raccogliere dati sufficienti ad informare uno strumento di misurazione della presenza e dell’entità del malessere associato a una condizione di povertà alimentare.

In entrambi i progetti è stato usato un approccio qualitativo che ha permesso di ascoltare racconti in cui sono evidenti non solo gli aspetti materiali, ma anche le emozioni, i desideri, le strategie di adattamento e le forme di “resistenza” messe in atto dai ragazzi per superare la chiara difficoltà emotiva che vivono. Le esperienze raccontate dagli adolescenti offrono uno sguardo autentico e ricco di significato su realtà che spesso sfuggono alle indagini tradizionali, dove si definisce la povertà alimentare solo in termini di cibo consumato e/o dello stato nutrizionale e che pertanto non riescono a cogliere l’intera portata del problema. Ascoltare i ragazzi ci permette di comprendere meglio la complessità della loro esperienza di povertà alimentare e, speriamo, di fornire elementi utili a chi ha la responsabilità di progettare, mettere in atto e valutare gli interventi volti ad affrontare il problema.

Un elemento comune a quasi tutte le testimonianze raccolte è la consapevolezza che ragazzi tra i 14 e i 17 anni di età hanno della situazione alimentare della propria famiglia, associata a uno spiccato senso di responsabilità. Gli adolescenti intervistati sanno distinguere bene se il cibo a casa manca per mancanza di tempo per fare la spesa o per concrete difficoltà economiche, il che rivela il grado di attenzione che essi prestano alle dinamiche familiari. La profonda comprensione dei sacrifici fatti degli adulti li porta ad assumere comportamenti di supporto, segnali di una maturità raggiunta precocemente. Un altro aspetto che emerge è il ruolo del cibo nella vita sociale dei ragazzi; nei loro racconti è presente la consapevolezza di quanto pesi per loro l’impossibilità o comunque una forte limitazione alla possibilità di vivere pienamente esperienze con i coetanei. La comprensione si associa, talvolta, alla rassegnazione verso una situazione familiare per la quale non riescono a immaginare possibili vie di uscita, almeno in questa fase della loro vita. Magari in futuro potranno fare qualcosa, ci dicono, ma questo futuro dovremmo essere noi “adulti” a doverlo garantire.

Esigenze oltre i bisogni e libertà di scelta: una duplice lente interpretativa

Una riflessione sulla distinzione fondamentale tra il bisogno materiale di nutrirsi e la dimensione relazionale e simbolica che il cibo può assumere l’avevamo già proposta nel rapporto di ricerca di ActionAid (2022), richiamando il contributo dell’economista Andrea Ventura. In quella occasione avevamo notato come, ispirandosi alla teorizzazione dello psichiatra Massimo Fagioli sulla distinzione tra esigenze e bisogni, (Fagioli 2017) Ventura affermi che: “sul piano delle esigenze, ciò che conta non è la massimizzazione dell’utilità derivante dal possesso di beni materiali, ma la massima realizzazione del potenziale di sviluppo di ciascuno offerta dalle relazioni sociali” (Ventura 2012, p. 219). È per questo che parlare del cibo in termini puramente fisiologici legati al solo bisogno materiale legato alla nutrizione sarebbe estremamente riduttivo.

La socialità legata al cibo è una componente immateriale essenziale di tutto ciò che incide direttamente sulla possibilità di soddisfazione delle esigenze delle persone (ActionAid 2022). Applicando la teoria di Fagioli, basata sulla distinzione fra bisogni e esigenze, all’interpretazione dei temi emersi nella nostra ricerca, riteniamo possano evidenziarsi, con maggiore chiarezza di quanto sia mai stato fatto finora, le dimensioni psicologiche della povertà alimentare legate alla sfera emotiva e relazionale, permettendo così di integrarle pienamente nella definizione del problema.

A complementare, arricchendola, la prospettiva da cui guardiamo al problema della povertà alimentare, si rivela altrettanto prezioso il riferimento al capability approach (approccio basato sulle capacità) elaborato dall’economista Amartya Sen nei suoi studi sulle scelte sociali e sulla povertà (che, peraltro, hanno spesso affrontato anche il problema della “fame”) (Sen 1985 e 1999) 3. Questo approccio sottolinea che il benessere non si misura solo in risorse o consumi, ma nella libertà di vivere una vita ritenuta significativa. Mangiare bene, studiare, partecipare alla vita sociale non sono solo diritti formali, ma concrete libertà da garantire a tutti. Il controllo sulle risorse e i livelli di consumo, semmai, sono strumenti attraverso cui le persone realizzano o meno le proprie capacità di agire.

In tale prospettiva, la povertà alimentare va vista perciò come una condizione che può limitare le capacità degli adolescenti di sviluppare il proprio potenziale, incidendo negativamente sul loro benessere mentale ed emotivo e sulla loro piena partecipazione alla vita sociale. Si tratta, cioè di qualcosa che, compromettendo la loro capacità di agire la libertà nella scelta di cosa, come, quando e con chi mangiare, determina forme di disuguaglianza che vanno oltre quelle relative al reddito e al puro benessere materiale, sollevando interrogativi fondamentali in termini di giustizia sociale.

Questa duplice prospettiva permette di migliorare notevolmente l’interpretazione sia dei risultati degli studi sulla povertà/insicurezza alimentare già presenti in letteratura, sia dei dati da noi raccolti sul campo, offrendo strumenti più efficaci per orientare politiche di intervento meglio informate e più mirate e consapevoli nel combattere la povertà alimentare in adolescenza.

Concettualizzare l’esperienza di povertà alimentare negli adolescenti: tra accesso al cibo e possibilità di scelta

La sintesi di tutto ciò che precede è che l’esperienza della povertà alimentare non può essere compresa pienamente se vista attraverso una lente fondata su categorie esclusivamente economiche. I vissuti espressi dai ragazzi, spesso intrecciati a dimensioni relazionali, identitarie ed emotive, suggeriscono la necessità di superare i quadri interpretativi tradizionali centrati sul fabbisogno materiale, per aprirsi a una lettura dell’esperienza di vita in quanto costruzione di identità soggettiva e sociale4.

L’esperienza della povertà alimentare, quando attraversata dallo sguardo e dalla voce di chi la vive, diventa allora occasione per ripensare le categorie con cui definiamo il benessere, le politiche e le pratiche educative e sociali. Per questo motivo, è assolutamente necessario immaginare un nuovo quadro concettuale che renda parte del benessere umano aspetti fondamentali come la dignità, l’autonomia, la libertà di scelta e un accesso equo alle risorse disponibili.

Con riferimento alla concettualizzazione della povertà alimentare degli adolescenti, il quadro teorico deve tenere conto non solo dei bisogni materiali, ma anche dei significati simbolici, sociali ed emotivi che l’alimentazione comporta. Nel 2022 abbiamo avviato questo percorso (ActionAid 2022; Palladino et al. 2024) e oggi, con il progetto DisPARI, intendiamo consolidarlo e ampliarlo, inserendo l’esperienza della povertà alimentare, vissuta dagli adolescenti negli aspetti appena citati, in un quadro analitico più ampio che ne comprenda cause e conseguenze.

L’obiettivo ultimo è esplicitare meglio il legame che esiste tra le cause che portano alla difficoltà di accesso al cibo, ciò che provano i ragazzi che si trovano a vivere queste situazioni, e gli effetti negativi che ne derivano. Riteniamo questo essere l’unico modo per arrivare a costruire strumenti utili all’urgente necessità di ripensare profondamente le politiche e le azioni di intervento.

 

Riferimenti bibliografici

Note

  1. Sull’importanza del diritto delle nuove generazioni al benessere mentale, si veda l’interessante saggio a cura di Chiara Agostini (2024), che rielabora l’idea stessa di benessere cui dovrebbero aspirare i sistemi di welfare. Riferimenti utili sul benessere mentale in adolescenza si possono trovare anche nella collana Bios-Psyché dell’editore L’Asino d’Oro.
  2. La dott.ssa Iannaco è stata coinvolta dall’autrice nelle fasi iniziali del progetto in qualità di professionista esperta, anche con una specifica esperienza nel lavoro con adolescenti. Il suo contributo si è rivelato particolarmente prezioso, offrendo, tra l’altro, indicazioni significative per la definizione finale delle linee guida utilizzate per la conduzione delle interviste sul campo.
  3. L’ importanza del capability approach in questo ambito di ricerca è già stato trattato da Roberto Sensi in Action Aid, (2023). Si veda anche Palladino et al. (2025).
  4. Il metodo della ricerca qualitativa nell’ambito delle scienze umane e sociali è fondamentale in tal senso perché con esso non ci si limita a descrivere la condizione degli individui oggetto di indagine come uno stato di cose, ma si configura come un dispositivo di ascolto e di co-costruzione di significati ottenuta dall’interazione tra la figura del ricercatore e quella dell’individuo oggetto di indagine che diventa a sua volta soggetto che contribuisce all’ampliamento di conoscenza.