Gli interventi contro l’insicurezza alimentare possono seguire approcci diversi, i cui effetti a lungo termine dipendono da come le comunità collaborano e definiscono obiettivi condivisi. Per facilitare la transizione da modelli emergenziali a interventi partecipativi e incentrati sulla comunità, la studiosa Megan Blake ha sviluppato l’approccio della Food Ladder, che letteralmente possiamo tradurre come “scala del cibo”. Si tratta di un modello che promuove sistemi alimentari, mettendo in discussione il sistema dominante basato sull’individualismo e sul profitto.
La Food Ladder si compone di tre “gradini”, che rappresentano diversi livelli di intervento:
- La presa in carico, o catching (primo gradino), fornisce aiuto immediato agli individui in crisi, attraverso assistenza alimentare d’emergenza, supporto per la salute mentale e servizi sociali.
- Il rafforzamento delle capacità e riparazione (secondo gradino) va oltre l’accesso al cibo, riparando i danni fisici, mentali e sociali causati dall’insicurezza alimentare. Mira a rafforzare la resilienza a lungo termine delle persone attraverso iniziative come eventi di social eating e programmi educativi.
- La trasformazione auto-organizzata (terzo gradino) punta a cambiamenti sistemici, favorendo la collaborazione tra diversi attori per sviluppare reti alimentari locali inclusive e sostenibili.
In questa intervista, realizzata nell’ambito del progetto di ricerca DisPARI, esploriamo le implicazioni della Food Ladder insieme a Megan Blake, esperta di sicurezza e giustizia alimentare e docente all’Università di Sheffield. Blake collabora a stretto contatto con organizzazioni e decisori politici per promuovere cambiamenti concreti e divulga il suo lavoro attraverso il blog “GeoFoodie”. Ecco cosa ci ha raccontato.
In che modo l’approccio della Food Ladder può favorire interventi più innovativi contro l’insicurezza alimentare?
Invece di adottare un approccio prescrittivo, la Food Ladder aiuta le comunità a riflettere in modo critico sui presupposti delle proprie azioni. L’approccio si sviluppa su tre dimensioni principali.
La prima è quella del cibo, che mette in discussione la narrativa della “comodità” per orientare la cultura alimentare verso la scelta consapevole, la conoscenza e relazioni positive con il cibo. La seconda è sociale, che si concentra sulla costruzione di reti sociali che promuovano il benessere comunitario attraverso la condivisione di saperi e il sostegno reciproco. La terza dimensione è economica e punta a garantire l’accesso adeguato al cibo, creando al contempo sistemi alimentari locali equi e sostenibili.
Il modello è in continua evoluzione, integrando nuove dimensioni come salute e ambiente.
Molte comunità già adottano i principi della Food Ladder, soprattutto nel passaggio dal primo al secondo gradino. Questo approccio incoraggia una riflessione sistemica sugli interventi, riconoscendo che sia chi è in difficoltà sia chi fornisce supporto necessita di nuove capacità per interagire efficacemente all’interno delle comunità.
Cambiare il linguaggio, parlando non di “povertà” ma di “difficoltà”, aiuta a stimolare conversazioni su visioni collettive dei sistemi alimentari futuri, permettendo di colmare il divario tra chi si occupa della produzione alimentare locale e sostenibile e chi è impegnato nel sostegno alimentare d’emergenza, favorendo comunità più interconnesse e cambiamenti trasformativi.
In che modo la Food Ladder affronta le disuguaglianze sistemiche e le cause strutturali della povertà alimentare?
La Food Ladder è pensata per sostenere valori che favoriscono il pieno sviluppo delle persone. Valori come uguaglianza, inclusione e diversità sono centrali nelle visioni future di molte comunità. Sebbene spesso gli sforzi si concentrino sulle necessità immediate, riflettere su obiettivi a lungo termine aiuta a comprendere i cambiamenti necessari ed evitare di tornare al punto di partenza. Anche se l’ideale non viene pienamente raggiunto, il processo apre nuove possibilità, più giuste dal punto di vista sociale e sensibili alle questioni ambientali. La giustizia sociale è implicita nella Food Ladder, che mira alla trasformazione sistemica ponendo inclusione e gestione del paesaggio alimentare al centro dell’azione.
Il modello riconosce che, anche quando le organizzazioni non hanno risorse o capacità di cambiare, creare connessioni tra diversi interventi può favorire l’apprendimento reciproco e generare opportunità di trasformazione. È essenziale sviluppare interventi che creino reti sociali accessibili a tutti, cosicché tutti possano contribuire a migliorare la propria comunità.
Quanto è flessibile la Food Ladder nei diversi contesti socioeconomici e geografici?
Questo approccio è intrinsecamente flessibile, poiché aiuta le persone a riflettere su come agiscono all’interno delle loro comunità e su come adattare gli interventi alle caratteristiche locali. La Food Ladder può essere facilmente applicata a diversi contesti e ambiti politici, come l’agricoltura o la pianificazione urbana, mantenendo centrale il focus sulla creazione di connessioni tra persone, comunità e servizi.
Chi vive all’interno delle comunità conosce meglio i propri bisogni e può trarre beneficio da esempi e guide che offrano approcci alternativi. Questi esempi possono essere adattati al contesto specifico o ispirare soluzioni completamente nuove. Quando viene dato loro spazio, opportunità e libertà di pensare in modo diverso, le comunità dimostrano una straordinaria creatività nell’esplorare nuove possibilità.
In che modo la Food Ladder affronta le disparità geografiche nell’accesso a risorse e capitale sociale?
È importante distinguere tra risorse, che si esauriscono con l’uso (come il denaro), e beni o asset, che invece non si consumano (come la storia condivisa di una comunità). Anche nelle aree più svantaggiate, spesso descritte solo in termini di mancanze, esistono asset preziosi.
L’organizzazione comunitaria e il senso di orgoglio locale possono essere strumenti per costruire e rafforzare la comunità, valorizzando la storia, l’innovazione e la creatività locali. Le autorità locali hanno un ruolo cruciale nel fornire risorse aggiuntive e nel coordinare gli sforzi comunitari. Anche se il cambiamento non avviene sempre spontaneamente, è fondamentale che le persone riconoscano di avere il permesso di cambiare. Il primo passo è quindi quello di ristabilire connessioni tra le persone e rafforzare la consapevolezza delle risorse che già possiedono.
Quali sono le implicazioni dell’approccio della Food Ladder per i giovani e gli adolescenti?
I giovani sono una parte fondamentale delle comunità. È essenziale coinvolgerli nei processi decisionali e offrire loro opportunità di creare spazi propri, contribuendo così a comunità più forti e inclusive. Il coinvolgimento intergenerazionale favorisce uno scambio positivo e permette di superare divisioni che possono portare a isolamento sociale. I giovani possiedono competenze preziose per affrontare la povertà, mentre gli anziani possono trasmettere saperi legati all’alimentazione che rischiano di andare persi, beneficiando a loro volta del sentirsi utili.
È fondamentale proporre soluzioni inclusive, come attività pre-scolastiche, per eliminare lo stigma associato agli interventi esistenti. Inoltre, i bambini percepiscono immediatamente quando i genitori sono in difficoltà o non riescono a mangiare. Per questo è importante creare programmi che li rendano protagonisti nel contribuire al benessere familiare, ad esempio attraverso corsi di cucina o altre attività educative legate al cibo, che favoriscano l’apprendimento e il divertimento. Infine, è importante fornire ai giovani strumenti concreti che li aiutino a gestire autonomamente il proprio budget alimentare una volta indipendenti. Per gli adolescenti più grandi, è utile proporre attività più articolate, senza dimenticare momenti di gruppo incentrati sulla cucina e la condivisione del cibo, così da promuovere un rapporto positivo e sano con l’alimentazione.