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Recentemente è stato pubblicato il Working Paper 2/2020 della Collana 2WEL, “Verso la Terza Economia: beni comuni, economia sostenibile, nuovi modelli di welfare e imprese di comunità”, scritto da Roberta Caragnano e da Stanislao Di Piazza. Abbiamo chiesto al Sottosegretario Di Piazza di raccontarci meglio i contenuti di questo lavoro e, in particolare, delle prospettive del “Patto per la Terza Economia” varato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. 



Segretario Di Piazza, il working paper di cui è co-autore indaga i fondamenti teorici della Terza Economia e offre un’attenta rassegna della letteratura sul tema dei beni comuni. Nel lavoro si fa riferimento poi al “Patto per la Terza Economia” ovvero al progetto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che ha l’obiettivo di definire linee di indirizzo e gli interventi per la promozione dell’impresa sociale e il rafforzamento dell’economia sociale e solidale. Può raccontarci come è nato il Patto?

Il 30 luglio 2020 la Ministra Nunzia Catalfo ha emanato un decreto creando un comitato di dieci esperti per lo sviluppo dell’economia sociale e solidale. È una decisione in linea con alcune indicazioni provenienti dal livello europeo: lo scorso 28 maggio 2020, infatti, il Comitato di monitoraggio della dichiarazione di Lussemburgo ha enfatizzato l’importanza dell’economia sociale e solidale in relazione alla pandemia. Le indicazioni che arrivano dal Comitato, e che sono al centro di Next Generation UE, guardano ad esempio allo sviluppo ecologico, all’economia circolare, all’agricoltura sostenibile e l’insieme di questi elementi è alla base della Terza Economia.

Questo ci ha permesso di definire un Patto che invita tutte le imprese italiane a unirsi per promuovere la costruzione di una Terza Economia. Il Patto si articola in dieci punti (si veda qui) e l’idea è quella di accomunare le imprese del non profit e del profit socialmente orientate per produrre benessere collettivo.

In questa prospettiva possono essere coinvolte, ad esempio, le imprese benefit, le imprese dell’economia civile, dell’economia di comunione, dell’economia circolare eccetera. Attraverso una serie di analisi statistiche abbiamo stimato che nel nostro Paese queste realtà sono più di 400 mila e con Unioncamere dovremmo ora lavorare per costruire una banca dati che ci permetta di individuarle.  


Chi ha aderito al Patto fino ad ora? E chi può aderire in futuro?

Al momento hanno aderito al patto 20 associazioni e reti di imprese rappresentative delle imprese sociali, imprese cooperative, imprese della economia civile, imprese che promuovono l’economia circolare, imprese per una economia di comunione, imprese familiari, imprese che promuovono la responsabilità sociale d’impresa, società benefit, BCorporation Italiane, l’associazione d’imprenditori cattolici, le banche che promuovono la finanza etica e mutualistica, accanto a delle importanti reti internazionali (per vedere il dettaglio dei firmatari clicca qui).

Le imprese che hanno aderito hanno previsto nei loro bilanci la sostenibilità economica, che si basa ad esempio su tutta una serie di misurazioni relative agli utili dell’impresa attraverso una maggiore regolazione del profitto per il bene comune. Quindi i bilanci di queste imprese, in un’ottica di responsabilità civile d’impresa, prevedono che ci sia un impatto positivo per la collettività.

Il patto comunque è aperto, quindi tutti coloro che ne condividono i principi hanno la possibilità di aderirvi (per aderire al Patto clicca qui). L’obiettivo è il bene comune e utilizzare il profitto per promuovere la centralità della persona: tutte le imprese possono fare una scelta di questo tipo.


Quali sono attualmente le attività messe in campo dal Ministero per sviluppare ulteriormente il Patto e promuovere la diffusione dei principi che lo sostengono?

In ambito Next Generation EU, il Ministero del Lavoro ha  presentato una scheda sulla “finanza di impatto” come strumento in grado di promuovere l’economia sociale individuato dalla Commissione Europea.

Inoltre, in questa fase stiamo predisponendo gli strumenti utili all’attuazione del Patto. Nello specifico stiamo lavorando a un progetto di legge sull’impresa di comunità. L’obiettivo è quello di creare un nuovo strumento imprenditoriale che possa consentire lo sviluppo di questo tipo di imprese. Il disegno di legge è già stato presentato al Senato ed è stato ora assegnato alla I Commissione (Affari Costituzionali, ndr). Questo strumento, che si colloca nel quadro dell’economia sociale e del D.L. 112/2017 sull’impresa sociale, mira a sviluppare una cultura sempre più aperta alla comunità. Attraverso questo intervento legislativo, il nostro obiettivo è quello di creare le condizioni per le quali le organizzazioni private possano, con l’asset del pubblico, gestire i beni comuni. Come evidenziato anche nel Working Paper, i beni comuni sono quei beni fondamentali allo sviluppo della comunità e della persona che lo Stato deve salvaguardare sottraendoli alla logica distruttiva del breve periodo. Questa visione, come ho già detto, è in linea con quello che l’Europa chiede di fare anche attraverso Next Generation EU.

Stiamo poi lavorando all’individuazione di una serie di indicatori, diversi e complementari al PIL, che rendano conto del benessere della collettività e dell’impatto che nel quadro della Terza Economia possono avere le imprese. L’idea è quindi di arricchire la metodologia e il sistema di indicatori già esistente e relativo ad esempio alle metodologie di processo, di impatto, di monetizzazione, di sperimentazione, anche facendo riferimento al BES (benessere equo e sostenibile, ndr).

Nello specifico riteniamo necessaria l’individuazione di ulteriori indicatori che tengano conto del fatto che il benessere non può essere misurato solo rispetto ai beni produttivi ma deve tener conto di altri beni, come ad esempio quelli relazionali o sociali; ovvero tutti quei beni che sono immateriali ma che producono comunque benessere per la comunità.

Qual è il ruolo della politica e dello Stato nel quadro della Terza Economia?

La politica dovrà sempre regolamentare il mercato per tutelare le categorie più deboli. Nel modello della Terza Economia c’è quindi uno Stato che non gestisce direttamente ma che interviene a tutela delle categorie fragili. L’obiettivo finale è quello di individuare e costruire modelli di sviluppo che porteranno a una nuova crescita in grado di guardare al futuro delle prossime generazioni.