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Lo scorso 14 dicembre a Torino è stata una giornata particolarmente fredda, probabilmente la più fredda dell’autunno fino a quel momento. Chi verso le 20 di quel sabato sera fosse capitato dalle parti di corso Massimo avrebbe assistito a una scena insolita: decine di persone in coda – ognuna con la sua nuvoletta di vapore – davanti alla porta d’accesso di una sede dell’Università di Torino, evidentemente fuori orario.

A poco a poco la fila si è accorciata e le persone hanno trovato posto sulle panche di legno della vecchia aula magna di anatomia. Eravamo tutti lì per assistere a uno spettacolo di teatro.

Il pubblico nell’aula magna di anatomia a Torino, durante la rappresentazione di Ottantaquattro pagine. Fonte: Teatro e Società.

Una lettera

A metà dicembre è andato in scena per la prima volta Ottantaquattro pagine, la più recente opera della compagnia teatrale “Teatro e Società” che – tra le sue molte attività – lavora nella Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino (chiamata dai torinesi semplicemente: le Vallette). Ottantaquattro pagine è uno spettacolo scritto a partire da una lettera lunga 84 pagine, datata 4 maggio 1919 e conservata nell’archivio del Museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso. Il documento raccoglie il pentimento e l’autobiografia di un giovane colpevole di aver ucciso una donna ed è rivolto proprio ai parenti della sua vittima. L’archivio conserva solo la lettera: non si sa se sia effettivamente arrivata ai suoi destinatari o se abbia mai ricevuto risposta.

Su quella lettera si sono basate le attività dei laboratori di Teatro e Società all’interno delle Vallette, che fanno parte del progetto nazionale Per Aspera ad Astra – Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza1. Abbiamo parlato di Ottantaquattro pagine e, più in generale, del fare teatro in carcere con Claudio Montagna, regista e direttore artistico di Teatro e Società. Da sempre Montagna lavora con attori e in contesti particolari perché – racconta – “mi è sempre piaciuto occuparmi del teatro di chi a teatro non ci va. E quindi di una teatralità diffusa, ecco, potremmo dire popolare. O, forse, universale”.

Lo spettacolo è davvero unico e straordinariamente efficace nella sua capacità di comunicare e trasmettere emozioni e vissuti. I vissuti dell’autore della lettera, ma anche quelli delle persone detenute che prendono parte alle attività di Teatro e Società. I partecipanti dei laboratori hanno concorso attivamente alla costruzione dello spettacolo. Praticamente “non c’è una parola di quello che diciamo nello spettacolo che non sia stata scritta, autentica, da questo ragazzo (l’autore della lettera, ndr)”, sottolinea Montagna.

Tra le poche eccezioni vi sono per esempio degli haiku2, composti dai detenuti nell’ambito dei laboratori. Sebbene il testo fosse in buona parte già scritto, inoltre, è stato necessario immaginare la sceneggiatura e la regia per adattarle alle peculiarità di questa compagnia teatrale: “per esempio bisognava trovare il modo di creare un protagonista. Il protagonista è un ragazzo (l’autore della lettera, ndr). Mentre qui abbiamo uomini adulti”. Per aggirare questo ostacolo l’opera si appoggia a diversi formati e media (per esempio componimenti musicali e proiezioni foto e video) ed è composta da molte voci e lettori fuori campo che danno voce all’autore della lettera senza dargli un viso.

Una foto di Porta Palazzo a inizio Novecento proiettata durante lo spettacolo: è fra i luoghi in cui si svolge la biografia dell’autore della lettera. Fonte: Teatro e Società.

Per rendere concreta la storia, però, si è pensato anche a un altro stratagemma: “abbiamo inventato di recuperare questo ragazzo da vecchio, con un profondo senso di colpa irrisolta. Il ragazzo, ora diventato vecchio, viene minacciato da un ragazzino e, nel confronto con questo giovane, ha la possibilità redimersi”.

Un palcoscenico insolito

Probabilmente lo spettacolo è risultato ancora più suggestivo grazie al particolarissimo luogo in cui è stato rappresentato: l’aula magna di autonomia dell’Università degli Studi di Torino. È un palcoscenico evocativo di per sé, ma lo è ancor di più sapendo che si trova nello stesso edificio del Museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso, dal cui archivio proviene la lettera. Questa ampia raccolta contiene decine e decine di “scritture non comuni”, ovvero lettere e autobiografie di persone arrestate, detenute o ricoverate in manicomio. Come racconta il sito web del Museola scienza dell’epoca riteneva che lo studio di questi elaborati assolvesse funzioni diverse: determinare l’autenticità di una testimonianza; rivelare i sintomi di una malattia mentale; stabilire il grado di responsabilità penale di un imputato”.

L’aula magna di questo edificio è diventata il palcoscenico perfetto per rappresentare questa vicenda, eppure l’opera non era stata concepita per questa modalità: solitamente la compagnia Teatro e Società propone i suoi spettacoli all’interno delle Vallette. Il motivo è ben sintetizzato da Montagna: “noi abbiamo sempre concepito il nostro teatro come occasione di incontro tra la città e il carcere”, dunque è importante che la città possa entrare nel carcere per partecipare alle rappresentazioni. Come vedremo oltre, però, per Ottantaquattro pagine questo genere di rappresentazione non è stato possibile (almeno finora).

Tutte le iniziative di teatro in carcere fanno i conti con questa complessità e incertezza, come ci ha raccontato tempo fa il regista e drammaturgo Armando Punzo3. Quando l’abbiamo intervistato per Intrecci ci ha spiegato che il lavoro quotidiano di chi fa teatro in carcere è di fatto una costante negoziazione. Tanto che, quando le 16 compagnie coinvolte in Per Aspera ad Astra si incontrano nella masterclass di alta formazione che si tiene ogni anno, una parte significativa dei confronti e delle formazioni si concentra proprio su aspetti pratici come la gestione del pubblico esterno o i rapporti con l’autorità carceraria. Come racconta nel podcast Punzo: “ognuno deve discutere col direttore, deve avere rapporti col proprio commissario, con i propri attori, con la propria città, col proprio sindaco, le proprie associazioni. (…) E ognuno poi riesce a ottenere quello che riesce a ottenere”.

La prima di Ottantaquattro pagine avrebbe dovuto andare in scena nell’ottobre 2024 alle Vallette ma, con pochissimi giorni di preavviso, le autorità hanno ritenuto che non ci fossero le condizioni di sicurezza per poter aprire le porte del carcere alla città (per quanto a un numero molto limitato di spettatori, preventivamente controllati). “Quando entra pubblico esterno in carcere – racconta Montagna – il comandante deve mobilitare un alto numero di agenti perché garantiscano la sorveglianza”. Pertanto la decisione di far accedere esterni al carcere rientra nella discrezionalità dell’amministrazione, che può decidere di revocarla in qualsiasi momento. La situazione è cambiata solo di recente: per la settimana prossima sono previste 4 rappresentazioni di Ottantaquattro pagine presso le Vallette, tra il 19 e il 22 maggio.

Lavorare insieme

Il 2024 è stato segnato da proteste nelle carceri di tutta Italia. Questi episodi hanno radici oggettive nel sistema carcerario italiano, contraddistinto da problemi cronici di sovraffollamento e da una profonda inadeguatezza delle condizioni di vita all’interno (specialmente nel corso dell’estate).

La realtà torinese è particolarmente complessa: nel suo ultimo sopralluogo (novembre 2024) l’associazione Antigone ha certificato un tasso di sovraffollamento del 137,4%. Secondo i dati del Ministero della Giustizia (aggiornati al 13/05/2025) la Casa Circondariale ha 1.117 posti regolamentari, di cui 30 non disponibili, e ospita in totale 1.412 detenuti. A fronte di 762 agenti di polizia penitenziaria previsti il personale effettivamente presente è pari a 695 unità. “Non so quali possano essere le soluzioni” – riflette Montagna – “ma onestamente credo che si tratti di un problema politico” più ampio, che dovrebbe essere affrontato a livello nazionale una volta per tutte. E su cui anche la società non deve tirarsi indietro: “quando i cittadini vanno in carcere a vedere lo spettacolo piangono e si trasformano in persone assolutorie. Ma poi – prosegue Montagna – quando succede qualcosa sembra che la soluzione sia sempre ‘ti sbatto dentro e butto la chiave’”.

Nell’autunno del 2024 l’amministrazione carceraria ha ritenuto che non ci fossero le condizioni per poter aprire a un pubblico esterno le porte del carcere (per il teatro, ma anche per attività sportive e di altro genere che solitamente si svolgono all’interno). Alla luce di questa situazione la disponibilità del Museo Lombroso a ospitare alcune rappresentazioni a dicembre è parsa davvero provvidenziale. Ma questo ha comportato la necessità di adattare lo spettacolo perché non avrebbero potuto prendervi parte gli attori detenuti per cui e da cui era stato scritto, visto che non avevano il permesso di uscire dal carcere: nella rappresentazione sono stati coinvolti dei volontari ex detenuti o beneficiari di misure alternative alla detenzione.

Claudio Montagna durante uno dei laboratori di Teatro e Società. Fonte: Teatro e Società.

Non è facile immaginare quanto possa essere complicato e frustrante lavorare in un contesto in cui gli imprevisti sono talmente probabili da essere considerati ordinari, e talmente rilevanti da comportare la necessità di riadattare nel giro di pochi giorni uno spettacolo che è stato costruito nell’arco di un anno. O anche l’eventualità che uno spettacolo preparato con impegno e professionalità alla fine non venga mai messo in scena. Per chi è abituato a fare questo lavoro, però, le cose funzionano così: le attività di Teatro e Società non si sono fermate e, pur non avendo ancora messo in scena lo spettacolo dell’annualità precedente, la compagnia ha già iniziato a lavorare a un nuovo spettacolo.

In una situazione così complicata avere una solida rete di relazioni territoriali può davvero fare la differenza: la collaborazione con enti come il Museo Lombroso ha reso possibile la nascita stessa dello spettacolo. D’altra parte Teatro e Società collabora con numerose altre realtà, prima fra tutte la Fondazione Compagnia di San Paolo, che garantisce da decenni un sostegno economico. La compagnia teatrale collabora strettamente anche con il Fondo Musy, un’iniziativa molto nota e apprezzata a Torino, nata a seguito dell’omicidio del politico torinese Alberto Musy. “Per dare una dimensione costruttiva al ricordo dopo la tragica scomparsa di Alberto”, si legge sul sito, il Fondo promuove progetti di vario genere dedicati al reinserimento sociale delle persone detenute. L’attività del Fondo è sostenuta dalle donazioni di cittadini, enti privati e dalla Fondazione Compagnia di San Paolo (che ogni anno raddoppia l’ammontare delle donazioni ricevute). Il Fondo Musy è costituito presso la Fondazione Ufficio Pio4, che garantisce le competenze professionali per l’accompagnamento dei beneficiari.

Imparare un mestiere?

La decennale relazione con la Fondazione Compagnia di San Paolo si è ulteriormente sviluppata quando è nato il progetto Per Aspera ad Astra, attivo in 16 carceri italiane nella promozione di percorsi di formazione professionale nei mestieri del teatro. L’iniziativa, come abbiamo approfondito qui, è promossa dal 2018 da Acri (l’Associazione delle Fondazioni di origine bancaria) e sostenuta da 12 Fondazioni di origine bancaria. Sebbene le attività di Teatro e Società siano iniziate decenni prima che nascesse Per Aspera ad Astra, lo spirito che anima le due iniziative è lo stesso: “condividiamo l’idea che il teatro sia la liberazione attraverso la bellezza. Ma anche la formazione attraverso la bellezza”, sintetizza Montagna.

Per Aspera ad Astra ha una fortissima vocazione alla formazione professionale: l’idea è che attraverso i mestieri del teatro si possano formare i detenuti in modo che acquisiscano competenze che potranno poi spendere una volta liberi. Non solo nel campo della recitazione, ma nella sartoria, nella falegnameria, nella cura del suono e delle luci, ecc. Secondo Montagna l’ingresso della compagnia in Per Aspera ad Astra, per esempio, ha comportato una sistematizzazione dei molti insegnamenti che già erano previsti nei laboratori: “ora i partecipanti hanno coscienza del fatto che seguono delle discipline scolastiche, e alla fine della frequenza c’è un attestato di partecipazione al corso”.

L’impatto dei laboratori di Teatro e Società sul percorso di vita del singolo non può che essere limitato. Anche questo rientra nei vincoli del fare teatro in carcere: le Vallette sono una Casa Circondariale, cioè un istituto in cui sono detenute le persone in attesa di giudizio o quelle condannate a pene inferiori ai 5 anni (o con un residuo di pena inferiore ai 5 anni). “Noi lavoriamo con detenuti di passaggio, che restano qui magari per un anno, due o tre al massimo. Non ci possiamo porre nella prospettiva di insegnare la professione di attore”. L’esperienza di Teatro e Società – e di Per Aspera ad Astra – va però molto oltre le competenze formalmente certificate grazie ai corsi. Per esempio “chi lavora con noi impara a parlare, impara a improvvisare, impara a volte perfino a leggere letture complesse”.

La portata del teatro in carcere è però ancora più grande: “il carcere è una realtà cittadina, ma in fondo, anche solo geograficamente e topograficamente, è a margine (il carcere di Torino è nella periferia nord della città, ndr). E il teatro può essere quel linguaggio che favorisce la comprensione degli uni rispetto agli altri”. Una cosa che Ottantaquattro pagine fa straordinariamente bene.

Note

  1. Abbiamo approfondito l’esperienza nella quarta puntata di Intrecci, a partire dall’esperienza di Volterra.
  2. Brevissimi componimenti poetici di origine giapponese costituiti da 17 sillabe distribuite in 3 versi.
  3. Punzo è fondatore e direttore della Compagnia della Fortezza (nota compagnia attiva da quasi 40 anni nel carcere di Volterra), l’esperienza da cui ha preso avvio il progetto Per Aspera ad Astra anche grazie al lavoro della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra.
  4. Ente strumentale della Fondazione Compagnia di San Paolo.
Foto di copertina: La rappresentazione dello spettacolo “Finestre” nella Casa Circondariale Lorusso e Cotugno di Torino (2023). Fonte: Teatro e Società.