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In Italia le lavoratrici e i lavoratori domestici occupano da sempre una funzione centrale nella cura degli anziani. Nonostante ciò, il loro ruolo rimane spesso ai margini del dibattito pubblico. La pandemia ha modificato in profondità il contesto di riferimento: da un lato, l’emergenza sanitaria ha portato a un aumento del fabbisogno di assistenza – soprattutto per gli anziani soli – e, dall’altro, molti lavoratori sono rimasti senza occupazione o hanno dovuto modificare in profondità le proprie prospettive, economiche e di vita.

Per provare a fare ordine nel dibattito e definire una serie di interventi indispensabili per disciplinare un mercato ancora fortemente deregolamentato, il “Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza” ha dedicato una specifica attenzione al tema nella sua recente proposta per la riforma del settore della Long Term Care.

La assistenti familiari in Italia

Il “Patto per un nuovo welfare per la non autosufficienza” nella sua proposta si occupa anche di assistenti familiari (c.d. “badanti”). Nel nostro Paese la maggioranza del mercato privato di cura è sommerso, non dichiarato. Secondo le nostre stime si tratta di almeno il 60% del totale dei rapporti di lavoro, a fronte di 437.663 posizioni registrate all’Inps (ultimo dato disponibile) (per dati aggiornati sul lavoro domestico si veda anche qui, ndr).

Il lavoro irregolare è frutto di una duplice convenienza: del datore di lavoro, cui l’assistente familiare costa meno e non implica complicazioni burocratiche; dell’assistente familiare, che percepisce al netto una paga solitamente maggiore. L’assenza di un contratto porta a innumerevoli problemi1 riguardanti la tutela del lavoratore e dei suoi diritti (orari di lavoro, ferie, malattia, rescissione dei rapporti) ma anche quella degli anziani non autosufficienti (es: garanzia di trasparenza, correttezza e qualità delle mansioni svolte dall’assistente familiare).

La Prestazione Universale come leva per l’emersione

Un importante strumento per far emergere il lavoro non dichiarato consiste in una versione potenziata della Prestazione Universale per la non Autosufficienza: la nuova Indennità di accompagnamento proposta dal “Patto”.

L’introduzione della Prestazione Universale con questa duplice modalità di fruizione (versione base e versione potenziata) offre infatti la facoltà di scegliere tra una somma di denaro spendibile senza la necessità di giustificarne l’utilizzo, e un importo potenziato per ricevere servizi professionali acquisibili anche attraverso l’assunzione regolare di un assistente familiare. Questa seconda opportunità favorisce l’occupazione qualificata, come dimostra l’esperienza tedesca che lascia questa opzione ai cittadini2.

La possibilità di incentivare, grazie a un valore superiore, l’uso della Prestazione Universale per fruire di servizi anziché come somma libera da vincoli, farà emergere in modo incisivo il mercato sommerso della cura, nell’ambito di una rete di sostegni più trasparente e collegata al sistema degli aiuti pubblici, sociali e sociosanitari.

L’agevolazione fiscale per chi non percepisce la Prestazione Universale

Il tema delle agevolazioni fiscali si pone in modo complementare al primo punto. Oggi la disciplina fiscale riconosce due tipi di sgravi per chi ricorre a lavoratori domestici regolarmente assunti; queste possibilità incidono però ancora troppo poco nel mercato privato e informale della cura.

Anche in questo caso l’obiettivo è quello del punto precedente: ridurre l’irregolarità attraverso un maggior sostegno alle famiglie che assumono assistenti familiari per la cura di anziani non autosufficienti, rendendo in certa misura “conveniente” il lavoro dichiarato e riducendone i costi, ossia il differenziale economico e di gestione burocratica col mercato irregolare.

L’agevolazione fiscale è rivolta a chi non riceve la Prestazione Universale per la Non Autosufficienza: ciò evita possibili e incongruenti sovrapposizioni di benefici tra le due misure. La strada è quella di uno sgravio fiscale diverso: potenziato rispetto al regime attuale, più semplice e consistente in un’unica misura (sia essa di deduzione oppure di detrazione).

Favorire l’incontro tra domanda e offerta

Diverse Regioni hanno promosso negli anni servizi di front line dedicati all’incontro tra domanda e offerta di cura, intercettando una discreta quota di richiesta di aiuto da parte delle famiglie3. Tuttavia, si sono susseguiti percorsi e modalità operative differenti, con esiti diversificati. Gli “sportelli badanti” sono i servizi su cui anche il mercato privato ha investito di più. Questi luoghi, che recentemente hanno preso anche la forma di piattaforme digitali, diventano efficaci nel ridurre l’isolamento familiare se non si limitano a fare matching ma se si occupano anche di ciò che viene “prima” e “dopo” gli abbinamenti.

Se, quindi, non facilitano solo l’incontro tra domanda e offerta ma realizzano ex-ante attività d’informazione (molto carente), consulenza, orientamento, e interventi ex-post di monitoraggio sulla qualità dell’assistenza, di tutoraggio sul lavoro svolto dalle badanti, di presidio sulle cure fornite e di risoluzione dei conflitti.

Linee guida nazionali possono orientare l’azione di front line in modo efficace nella logica del “One stop shop”, il luogo unico che offre risposte diverse e le collega tra loro, utilizzando piattaforme ricompositive anche digitali, ma senza abbandonare la dimensione indispensabile del rapporto e dell’interazione in presenza. Processi di accreditamento garantiranno inoltre il funzionamento di questi luoghi in base a precisi standard qualitativi e operativi, con un dimensionamento sull’ambito locale. Da questo punto di vista, potrebbero essere funzionalmente collocati nelle Case della Comunità previste dal PNRR.

Il profilo professionale

Infine, va definito un profilo professionale nazionale di “Assistente familiare”, che definisce l’insieme delle competenze proprie di questa figura e il relativo iter formativo, unico su tutto il territorio nazionale.

Per profilo professionale dell’assistente familiare intendo l’insieme delle competenze utili a svolgere il lavoro di assistenza a una persona non autosufficiente. Nel nostro Paese non esiste un profilo unico sancito a livello nazionale, mentre sono presenti varie normative regionali piuttosto disomogenee tra loro e diversi livelli di inquadramento contrattuale.

Occorre andare verso un omogeneo percorso formativo, evitando il rischio di “ingessare” una figura che deve mantenere elementi di flessibilità nel ruolo e nell’aderenza ai bisogni (poco codificati e spesso mutevoli) delle famiglie come datori di lavoro.

 

Note

  1. S. Pasquinelli e F. Pozzoli, Badanti dopo la pandemia, Quaderno WP3 del progetto “Time to care”, Milano, 2021.
  2. Si veda L. Beltrametti, Voucher sociali a sostegno del lavoro di cura, in S. Pasquinelli e G. Rusmini, Badare non basta, Roma, Ediesse, 2013. Sul caso tedesco si veda anche G. Fosti e E. Notarnicola (a cura di), Il welfare e la Long term care in Europa, Milano, Egea, 2014.
  3. S. Pasquinelli e G. Rusmini, Le assistenti familiari e il lavoro privato di cura, in NNA, L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia, Settimo Rapporto, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2021.