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Secondo Welfare cura inchieste per Buone Notizie del Corriere della Sera in cui si approfondiscono i cambiamenti sociali in atto in Italia e le loro conseguenze sul sistema di welfare. Nel numero del 27 settembre 2022 abbiamo parlato dei Workers Buyout. Di seguito, Francesco Gaeta analizza i punti chiave su cui intervenire per poter creare condizioni che agevolino lo sviluppo di queste realtà. Qui, invece, Paolo Riva mette in luce diversi aspetti che riguardano le imprese recuperate grazie al confronto con esperti e operatori.

In un autunno che si annuncia freddo per la Produzione industriale e gelato per molte aziende alle prese con bollette energetiche insostenibili, c’è una novità che riguarda i Workers Buyout (Wbo), le imprese “recuperate e comprate” dai lavoratori in forma cooperativa. Al tavolo del Ministero dello Sviluppo che segue le crisi aziendali siedono da qualche mese i rappresentanti di CFI, Cooperazione Finanza Impresa, società pubblica a cui la Legge di bilancio 2021 assegna “l’attività di assistenza e consulenza volte alla costituzione di società cooperative promosse da lavoratori provenienti da aziende in crisi”. Sembra cosa da addetti ai lavori, ma – quale che sia il governo che verrà – in questa fase potrebbe non esserlo.

CFI, fondo che per il 98% è in mano al Ministero dello Sviluppo e che oggi ha un patrimonio netto di 107 milioni di euro, si occupa di cooperative fin dalla legge Marcora, anno 1985. Tra il 1986 e il 2021 ha erogato finanziamenti agevolati o è entrata nel capitale di 560 imprese cooperative di cui 317 (56,6%) nate su iniziativa degli ex dipendenti. Non grandi numeri: i lavoratori che grazie a un WBO hanno salvato il posto sono stati circa 10mila.

Qualche caso ha fatto cronaca – quello della birra Messina per citarne uno – ma è una storia fatta da episodi senza una trama. È mancata una logica di sistema, un metodo per tracciare una via italiana al WBO. Dunque a quali condizioni l’esperienza dei WBO può essere una soluzione praticabile in una fase storica in cui prevedibilmente le crisi aziendali aumenteranno? Le parole chiave sono tre: regia, negoziato, comunità.

Regia

Una regia nazionale significa sistematizzare gli interventi, cioè potenziare il ventaglio di strumenti necessari al salvataggio: microcredito, fondi di garanzia, prestiti subordinati, prestiti di partecipazione. È per questo che può essere importante che al tavolo delle crisi dello Sviluppo sieda chi ha fondi e competenze per sperimentare tra le altre anche questa soluzione.

Negoziato

Il negoziato è quello volto a coinvolgere nei territori l’amministrazione pubblica nelle sue diverse articolazioni, ma anche associazioni di rappresentanza, enti della cooperazione, fondazioni di comunità. È importante che questa rete coinvolga non solo la vecchia proprietà e i lavoratori ma anche i sindacati, non sempre e non tutti storicamente favorevoli a questo genere di soluzioni.

Comunità

Infine la comunità. Nessuna impresa è un’isola rispetto al suo territorio perché produce – lo voglia o no – valore condiviso, ovvero occupazione per chi ci lavora e coesione sociale per chi ci vive intorno. Per questo i casi di Workers Buyout dovrebbero diventare a tendere casi di Community Buyout, aprendosi a forme di azionariato diffuso o utilizzando strumenti pay-by-result, cioè forme di investimento “paziente” e con un ritorno condizionato alle performance aziendali (su tutto longevità aziendale e salvaguardia dell’occupazione) ma a anche a impatti sociali generati. Su quest’ultimo punto i dati dicono bene. Secondo Legacoop, la longevità media dei WBO è superiore a quella delle imprese italiane: 15,2 anni contro 12. Per ogni lavoratore salvato (meglio: che ha salvato se stesso) lo Stato ha investito circa 13.000 euro contro i 40.000 che avrebbe speso in ammortizzatori sociali in caso di licenziamento (dati Confocooperative).

 

Questo articolo è stato pubblicato su Buone Notizie del 27 settembre 2022 ed è qui riprodotto previo consenso dell’autore.