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Questo articolo è uscito sul numero 2/2022 di Rivista Solidea, pubblicazione promossa dall’omonima Società di mutuo soccorso e parte del network del nostro Laboratorio.

 

Il lavoro agile è divenuto parte integrante della vita di molti. Secondo il policy brief  “Il lavoro da remoto: le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista dei lavoratori” pubblicato dall’INAPP, nel 2021 i lavoratori che hanno sperimentato lo smart working sono stati 7.262.999, circa il 32,5% del totale. Prima della pandemia erano invece solo l’11% (2.458.210).

Coloro che invece ricorrono al lavoro agile in modo continuativo perché previsto dall’azienda sono una cifra inferiore, ma comunque consistente. Stando all’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, a fine 2021 i lavoratori in smart working erano 1,77 milioni. La stessa fonte è però sicura nel dire che i “lavoratori agili” aumenteranno nel prossimo futuro; l’Osservatorio stima che nei prossimi anni saranno 4,38 milioni i lavoratori che opereranno almeno in parte da remoto, di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700 mila delle PMI, 970 mila nelle micro imprese e 680 mila nella Pubblica Amministrazione.

Dal lavoro agile non si torna indietro, dunque. Lavoratori e aziende hanno iniziato a comprendere quelle che possono essere le opportunità, sia sul piano del work-life balance sia sul piano della produttività. Ovviamente se si tratta di una situazione normale e non dobbiamo fare i conti con una pandemia che ci costringe a lavorare da casa forzatamente.

Questo sta portando sempre più aziende e professioni a fare i conti con la diffusione del lavoro “ibrido”, cioè caratterizzato dalla possibilità (o necessità) di lavorare in parte nella sede dell’impresa e in parte a distanza. Molte organizzazioni stanno anche iniziando a ripensare i propri spazi, a partire proprio dagli uffici. Questo luogo – visto in passato come l’ambiente centrale per l’attività lavorativa – andrà ripensato e riorganizzato nel prossimo futuro. Probabilmente non ci sarà più una scrivania per ogni lavoratore ma, anche in questo caso, la condivisione diventerà la regola.

Cosa accade alla sede di lavoro?

Lo stesso Osservatorio del Politecnico ha intervistato le aziende su questo tema. Oltre la metà delle grandi imprese valuta come necessario intervenire sugli spazi fisici al termine dell’emergenza (51%), differenziandoli (29%), ampliando (12%) o riducendoli (10%); il 38% non prevede riprogettazioni ma cambierà le modalità d’uso. Solo l’11% tornerà a lavorare come prima. Anche un recente monitoraggio di AIDP evidenzia come una impresa su 3 ha già ristrutturato gli spazi per organizzare il lavoro da remoto, mentre il 27% ci sta lavorando.

Il Coronavirus ha causato quindi dei cambiamenti che, probabilmente, si ripercuoteranno anche nel modo in cui vivremo questi ambienti di lavoro nei prossimi anni. Per il 2° Rapporto sul mercato immobiliare 2021 di Nomisma, curato in collaborazione con lo studio di architetti Cushman & Wakefield, il mondo degli uffici è stato un ambito fortemente trasformato dalla pandemia. Proprio Cushman & Wakefield ha condotto un’indagine nel 2021 che ha coinvolto 340 manager di aziende multinazionali per capire come stessero affrontando questo momento, quale fosse il loro approccio verso lo smart working e quali le prospettive future. La prima evidenza emersa dalla ricerca è che il futuro degli uffici non sarà “binario”: non si lavorerà solo in ufficio o solo da casa, ma prevarrà un modello di lavoro “ibrido”.

Gli spazi del lavoro si stanno quindi trasformando. Anche secondo il capo del Dipartimento immobili e appalti della Banca D’Italia, Luigi Donato, la sperimentazione dell’home working su larga scala sta richiedendo una rivisitazione dell’attuale configurazione degli uffici. Nel corso di una relazione presentata in occasione del Real Estate Winter Forum del 2021, Donato ha affermato che sta emergendo una nuova filosofia e una nuova configurazione degli spazi per uffici, con le quali il settore immobiliare sta già facendo i conti. Il mix tra telelavoro e attività in presenza comporta la necessità di garantire spazi di lavoro efficienti, tecnologici e in grado di facilitare la comunicazione e la condivisione.

Gli uffici nell’era del lavoro “ibrido”

Se tradizionalmente i parametri di base erano quelli di una postazione fissa, ma con solo alcune stanze singole per il personale di grado più elevato, ora assistiamo ad un cambiamento rilevante. Data la sempre maggiore flessibilità del lavoro, le aziende saranno portate a disegnare gli spazi non solo in base al numero di persone, ma piuttosto a seconda anche delle funzioni e attività che i dipendenti devono svolgere.

Inoltre, dato che il lavoro ibrido fa perdere le sinergie e gli scambi di esperienza che si possono avere solo con il contatto diretto, l’ufficio dovrà essere impostato in modo tale da essere un ambiente di socializzazione e relazione; dovrà divenire un luogo in cui promuovere l’identità aziendale e il senso di appartenenza. Se il tempo condiviso negli ambienti di lavoro sarà minore, i rapporti diretti tenderanno a rarefarsi: per questo occorre sfruttare al massimo i momenti e le occasioni di contatto, anche informali.

In sostanza per alcuni sarà necessario iniziare a parlare di smart office, cioè un ufficio che possiede determinate caratteristiche strutturali e spaziali, nuovi arredi, ma anche tecnologiche e digitali per sostenere i nuovi processi di lavoro. Questi sono i presupposti dell’Activity Based Working (ABW), approccio delineato nel 2017 da Erik Veldhoen, consulente olandese e direttore della società Veldhoen+ Company.

Secondo questa teoria l’ufficio “smart” dovrebbe poter mettere a disposizione quattro tipologie di spazi differenti a cui ogni lavoratore potrà fare riferimento in base alle sue specifiche necessità. Vi è, innanzitutto, lo spazio per la concentrazione, un’area funzionale allo svolgimento di lavoro individuale e focalizzata e richiede luoghi silenziosi e attenti alla privacy. C’è poi lo spazio per la collaborazione, che offre aree per discussioni di gruppo, presentazioni, videoconferenze, sessioni di brainstorming o riunioni formali. Queste aree collaborative devono essere possibilmente ampie e provviste di materiali che possano facilitare la collaborazione.

Vi sono poi gli spazi per la contemplazione e quelli per la comunicazione. I primi permettono di avere dei momenti di stacco dal lavoro. Pur non essendo un’azione lavorativa in sé, individuare un’area relax per i dipendenti è fondamentale al fine di permettere una “rigenerazione” dei lavoratori. Gli spazi per la comunicazione devono infine prevedere luoghi in cui sia possibile anche un mix di attività di collaborazione e comunicazione svolte di persona o in modo virtuale. La natura “mixata” di questi luoghi prevede un layout degli spazi altrettanto diversificato, con pareti e Open Space, con un isolamento acustico eccellente che consenta incontri “rumorosi”.

Esempi ed esperienze

Alcune aziende hanno iniziato a seguire questo approccio o comunque stanno investendo per ripensare i propri spazi. Tra queste c’è Porsche, che ha ristrutturato alcune sue sedi allo scopo di avere spazi aperti al lavoro comune con i partner e i clienti, in modo da facilitare la creazione di team multiaziendali e multifunzionali. L’obiettivo della casa automobilistica tedesca è quello di eliminare il più possibile i grandi uffici e “spacchettarli” in zone polifunzionali, seguendo la logica dell’Activity Based Working.

Un’impostazione simile è stata seguita anche da Sap, multinazionale di applicazioni software, e Metro, realtà italiana che si occupa di grande distribuzione e servizi alle aziende. In Sap le sedi sono impostate in modo tale da divenire delle vere e proprie aree di incontro e di collaborazione, non solo tra i dipendenti, ma aperte a tutto l’ecosistema che ruota attorno alla società e cioè clienti, partner e fornitori. Proprio perché il lavoro sarà sempre di più un mix tra presenza e smart working, Metro ha invece scelto di non prevedere delle scrivanie personali nella nuova sede; piuttosto è stato lasciato più spazio possibile per le aree comuni: non solo sale meeting, ma anche spazi per la collaborazione e la socialità tra colleghi.

Un altro esempio interessante è poi quello di Casa Siemens, la sede milanese della multinazionale che “ospita” oltre 1.800 dipendenti. Proprio allo scopo di conciliare le esigenze dei lavoratori, Siemens ha scelto di dare spazio ai luoghi di incontro, come aree di co-working, bar, palestra, aree di eventi digitali, e agli spazi di collaborazione con i clienti, come i centri di competenza; inoltre tutta la struttura è circondata da 25 mila metri quadrati di Orti in cui i lavoratori possono coltivare, fare sport e lavorare.

Questi sono solo alcuni esempi, che però mettono in chiaro come le grandi aziende che hanno visto aumentare lo smart working esponenzialmente si stanno mettendo all’opera per ripensare i loro uffici e, più in generale, i loro spazi. Sempre di più sarà infatti importante costruire degli ambienti che siano funzionali con gli obiettivi che l’impresa si propone e, al tempo stesso, con le necessità e i bisogni delle persone coinvolte nell’organizzazione.