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L’Italia ha un Piano Nazionale per la Famiglia tutto nuovo. A fine marzo, il Dipartimento per le politiche della famiglia guidato dalla Ministra Eugenia Roccella ha approvato il documento relativo al triennio 2025-2027.

“Il focus è il sostegno alla natalità”, spiega a Percorsi di secondo welfare Assunta Morresi, vicecapo di Gabinetto della Ministra.

Il Piano, si legge sul sito del Dipartimento, propone “un cambio di passo rispetto al precedente”, che era stato redatto nel 2022 nell’ambito del Family Act voluto dall’allora Ministra Elena Bonetti. Il documento è quindi il primo approvato da quando il Governo di Giorgia Meloni è entrato in carica e mette nero su bianco la visione del suo Esecutivo in materia di politiche per la famiglia e la natalità.

L’obiettivo, si legge nell’introduzione del documento, è “un cambio di prospettiva attraverso una visione del welfare familiare di tipo plurale (ovvero multi-attore e multisettoriale) e la promozione del principio di sussidiarietà che permette di mettersi in ascolto dei reali bisogni delle famiglie e di valorizzare le iniziative virtuose già in essere”. 

Tutto questo, però, dovrà avvenire senza cambiamenti legislativi e senza ulteriori stanziamenti economici rispetto a quelli già previsti. Il Piano, infatti, andrà, realizzato “a normativa vigente e a risorse correnti”. Una sfida non semplice. Ma andiamo con ordine.

Che cos’è e a cosa serve il Piano

Il Piano Nazionale per la Famiglia è un documento programmatico che definisce priorità, obiettivi e azioni delle politiche per la famiglia nel nostro Paese. La sua prima versione è stata approvata nel 2012, poi una pausa di dieci anni fino alla seconda versione nel 2022 e a quella attuale, la terza, pubblicata poche settimane fa. 

Il documento è frutto del lavoro dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia. La professoressa Elisabetta Carrà, che insegna sociologia della famiglia all’Università Cattolica di Milano, è membro sia dell’attuale Osservatorio che di quello che ha approvato il precedente Piano. Secondo Carrà il tempo per mettere in pratica quanto previsto nel 2022 è stato poco e le azioni fatte sono state limitate. “La cosa fondamentale per un Piano nazionale è renderlo esecutivo e quello del 2022 è rimasto solo sulla carta. Il Piano nuovo indica con più precisione e in modo organico cosa si deve fare e chi deve farlo. Speriamo che ci sia modo di attuarlo, questa volta e che si dia stabilità agli interventi: è questo soprattutto che può ridare alle famiglie fiducia e non misure di facciata e temporanee”, commenta la docente.

I lavori per il nuovo Piano sono cominciati nel 2023, hanno previsto una valutazione del Piano precedente e hanno portato alla definizione di 14 azioni. Si va dalla creazione della Rete dei comuni amici della famiglia al sostegno ai genitori nei primi mille giorni di vita del figlio fino a diverse iniziative nell’ambito del welfare aziendale. Ma sono previste anche un’indagine sui fattori che orientano la Generazione Z alle scelte familiari, un modello per la rilevazione dei bisogni, strumenti di valutazione degli interventi e uno studio degli effetti delle politiche strutturali sulla natalità e sul benessere delle famiglie.

Azioni previste dal Piano Nazionale per la famiglia. Rielaborazione dell’autore. Fonte: Piano nazionale per la famiglia 2025-2027.

I Centri per la famiglia e il Family welfare manager

L’azione più importante definita dal Piano, come ha avuto modo di sottolineare anche la Ministra Roccella, è l’azione 5, quella che riguarda i Centri per la famiglia. “Il Centro per la famiglia diventa il centro gestionale e operativo di tutti gli interventi finalizzati a promuovere il benessere familiare”, spiega Morresi. Al suo interno opererà il Family welfare manager, una nuova figura che, si legge nel Piano, coordinerà e promuoverà le politiche familiari territoriali “curando in sostanza le connessioni” tra tutti gli attori coinvolti.

“Uno dei problemi principali delle politiche familiari in Italia è la frammentazione, perciò figure come quella del Family welfare manager mi sembrano molto utili per governare l’intersettorialità e superare questa parcellizzazione”, ragiona Carrà. Anche i Centri per la famiglia, secondo la professoressa, potrebbero aiutare in tal senso: “non devono essere un servizio in più che si affianca agli altri, ma devono fungere da snodo e luogo di integrazione di tutti i diversi servizi utili alle famiglie lungo l’intero corso della vita”. 

Sostegno a famiglie e natalità: cosa prevede la Legge di Bilancio

I Centri per la famiglia, che già esistono da anni1, sono diffusi in maniera molto eterogenea sul territorio nazionale, con grandi divari tra regione e regione. Secondo l’ultimo monitoraggio del marzo 2023, sono attualmente 507, di cui 137 nella sola Lombardia mentre in coda ci sono Friuli Venezia-Giulia e Basilicata con 3, Valle d’Aosta e Sicilia 1; il Molise non ne ha nessuno.

“I Centri per la famiglia sono nati a macchia di leopardo e così per molto tempo sono rimasti. A volte, hanno funzioni diverse da zona a zona”, ammette Morresi. “Da un lato, vogliamo rispettare quello che il territorio si è dato, perché siamo molto rispettosi dell’approccio sussidiario. Dall’altro, però, vorremmo anche che alcune funzioni minime venissero garantite da tutti i Centri per la famiglia in tutta Italia”, aggiunge.

Le critiche: compiti poco chiari e una sola idea di famiglia

Non tutti sono convinti delle scelte governative. La CGIL, per esempio, ha segnalato in una nota “profili di assoluta incertezza riguardo ai Centri per la famiglia”. Come anche altri osservatori, il sindacato teme che valorizzare questi spazi finisca per penalizzarne altri: i compiti poco chiari dei Centri per la famiglia, continua la nota, “parrebbero preludere alla cancellazione dei consultori in omaggio, ancora una volta, a una visione familistica che ne attenuerebbe fortemente il ruolo di tutela della salute sessuale e riproduttiva delle persone”.

Anche la professoressa Alessandra Minello si sofferma sulla visione alla base del Piano, che “dichiara di voler superare un approccio assistenzialista, puntando su ‘famiglie centrali per la comunità’”. In un intervento su inGenere, la demografa dell’Università di Padova scrive: “in un Paese in cui la centralità familiare e il cambiamento demografico significano essenzialmente ancora più peso del ruolo di cura sulle spalle delle donne, e in cui alcune famiglie non hanno risorse per contribuire alla comunità, resta un mistero come si possa pensare a un welfare che metta ancora più responsabilità sulle famiglie stesse”.

Dagli Usa all’Italia, come la natalità è diventata il nuovo terreno di scontro politico

La professoressa di Demografia all’Università di Trento Agnese Vitali aggiunge un ulteriore punto. Sottolinea come tutto il Piano sia “incentrato sulla famiglia che già esiste, e che è costituita da una coppia eterosessuale, con già almeno un figlio”. La docente deplora la mancanza di riferimenti e azioni dedicate a chi un figlio lo vorrebbe e a tutti gli altri tipi di famiglie, da quelle monogenitoriali, “che pure sappiamo in crescita”, a quelle omogenitoriali, che pur non essendo giuridicamente riconosciute come ‘famiglie’, esistono anche in Italia. “Dal 2016 sono state istituite circa 21.000 unioni civili e, magari, tra queste persone c’è chi avrebbe un desiderio di genitorialità”, chiosa Vitali.

L’Alleanza per l’Infanzia, infine, si è lamentata di come nel Piano non si parli di alcun “rafforzamento dei nidi come servizi educativi. Su questo punto, Morresi ribatte che “il piano non esaurisce assolutamente le azioni sulla famiglia e sulla natalità” e cita la conferma dell’Assegno unico universale o le misure del Pnrr proprio per gli asili nido come esempi concreti non inclusi nel documento, ma comunque importanti. Peccato, però, che i bandi per nuove strutture finanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza continuino ad incontrare molte difficoltà.

Il ruolo di secondo welfare e Terzo Settore

Nel Piano, inoltre, viene ribadita più volte l’importanza del territorio come ecosistema di attori sociali che cooperano per il benessere familiare”, tra i quali vengono citati anche diversi attori del secondo welfare, come “il mondo del lavoro e dell’impresa e il Terzo Settore”. 

Morresi spiega che nell’attuazione del documento avranno un ruolo importante sia le imprese sia gli enti del mondo sociale. Per quanto riguarda le prime, “puntiamo tantissimo sul loro coinvolgimento nel welfare aziendale per la conciliazione vita-lavoro, uno degli ambiti su cui si può lavorare di più”.

Per quanto riguarda, gli enti del Terzo Settore, invece, ci spiega Marco Griffini, presidente di Associazione Amici dei Bambini e uno dei tre rappresentanti del Forum Terzo Settore all’interno dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, “possiamo intervenire moltissimo a livello locale. Il punto centrale saranno la co-programmazione e la co-progettazione relative ai Centri per la famiglia”.

“Il coinvolgimento del Terzo Settore – ragiona ancora Griffini – è stato buono. Il piano sulla carta c’è, ora va attuato”. E, in tal senso, tempistiche e disponibilità economiche sono due elementi cruciali su cui serve chiarezza.

L’attuazione del Piano, tra tempi e fondi incerti

“L’indicazione della Ministra Roccella per la stesura del Piano è stata quella di capire cosa si può fare subito, con le risorse che già ci sono e con la normativa che già c’è, perché altrimenti il Piano sarebbe stato irrealizzabile”, spiega Morresi.

Le 14 azioni, il cui soggetto attuatore è sempre il Dipartimento per le politiche della famiglia, vengono dettagliate in altrettante schede, ciascuna con un destinatario, risultati attesi e risorse da utilizzare. Per queste ultime, in tredici casi la dicitura è “iso risorse” e cioè fondi già stanziati, in capo al Dipartimento per le politiche della famiglia o ad altri soggetti. Le tempistiche, invece, non sono state indicate, ma verranno definite dal Dipartimento internamente per ciascuna azione.

La quinta azione dedicata ai Centri per la famiglia, per esempio, prevede come risultati attesi due documenti, uno relativo al nuovo assetto di questi servizi e uno al percorso per il loro rafforzamento.

Un’agenda concreta per agire (velocemente) sulla natalità italiana

“Per la fine della legislatura tutto ciò che riguarda i Centri per la famiglia vorremmo che fosse stabilizzato”, spiega ancora Morresi, aggiungendo che il Dipartimento sta aspettando anche l’approvazione del 6° Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, complementare a quello per la famiglia.

I documenti che saranno i risultati della quinta azione indicheranno anche con quali fondi i Centri per la famiglia verranno rilanciati. In passato, erano stati finanziati grazie ai fondi di coesione Ue, nell’ambito del PON Inclusione, ma nell’attuale ciclo di programmazione questa possibilità non è stata prevista. Alcune risorse sono già state stanziate a fine 2024 e provengono dal Fondo nazionale politiche della famiglia (gestito dal Dipartimento stesso): 30 milioni di euro per attività di competenza regionale e degli enti locali. “Li abbiamo destinati a tre voci: alfabetizzazione digitale, diffusione di informazioni sulle dipendenze e invecchiamento attivo”.

Considerato quanto i Centri per la famiglia siano oggi poco diffusi in molte parti d’Italia e quanto il Piano voglia ampliarne le funzioni, sembrano risorse molto limitate, ma in futuro non è escluso che possano aumentare. L’impressione è che la cruciale partita dei fondi sia ancora tutta da giocare, a cominciare dalla prossima Legge di Bilancio.

E la natalità?

In conclusione, rimane una domanda. Se, come viene scritto più volte nel documento, e come ci ha confermato la stessa Morresi, “il focus del Piano è il sostegno alla natalità”, quanto previsto riuscirà a invertire il trend negativo delle nascite in Italia, confermato per l’ennesima volta dagli ultimi dati Istat? Molto dipenderà dalla reale attuazione del documento, ovviamente, ma alcune riflessioni possono essere già fatte.

Morresi parte ricordando che la denatalità “è un problema globale” e che “non esiste un provvedimento che da solo aiuti la natalità”. Per questo, a suo parere, “è importante creare un ecosistema accogliente e amichevole nei confronti delle famiglie,” e questo è quello che vuole fare il Piano appena approvato.

Poche nascite e meno figli per donna: per l’Italia il futuro a bassa fecondità è già qui

Vitali dell’Università di Trento, di contro, osserva che “la spesa sociale per le famiglie in Italia è sempre stata storicamente bassa” e il Piano non fornisce indicazioni certe per cambiare la situazione. Nemmeno Morresi in realtà ne offre. Ricorda però che il Governo ha preso provvedimenti che non rientrano nello stretto perimetro delle politiche familiari, ma che possono comunque migliorare la vita delle famiglie, come il taglio del cuneo fiscale. Inoltre, cita un’analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio secondo la quale “nel 2024 beneficiano maggiormente della manovra (la Legge di bilancio, ndr) le famiglie, in particolare quelle con lavoratori dipendenti tra i componenti, con benefici netti che ammontano complessivamente a 16,4 miliardi, di cui 3,4 per i soli dipendenti pubblici”.

Per Carrà dell’Università Cattolica, “il sostegno alla natalità viene indirettamente da tutte le misure che sono previste del Piano. Queste migliorano il benessere delle famiglie che, quindi, saranno più propense a generare”. Al contrario, secondo Minello dell’Università di Padova, sarebbe stato più efficace investire su congedi e asili. Inoltre, scrive, “il legame tra politiche per la famiglia e incremento della fecondità risulta comunque scarso e la loro efficacia andrebbe misurata rispetto alla capacità di sostenere concretamente le famiglie, promuovendo l’equilibrio tra vita e lavoro, la parità nei ruoli familiari e sociali, piuttosto che limitarsi a valutazioni basate sui tassi di fecondità. Tutti temi sui cui il Piano nazionale sorvola”. 

“Abbiamo tantissima ricerca italiana sulle barriere alla genitorialità”, riprende Vitali. La docente spiega che la mancanza di servizi e la difficile conciliazione sono certamente degli ostacoli, ma quello principale è l’indipendenza economica e abitativa. “Dobbiamo mettere le giovani generazioni in età riproduttiva nelle condizioni di autodeterminarsi e realizzarsi, qualunque siano i loro desideri, compreso quello di fare figli”, conclude.

 

Note

  1. I Centri per la famiglia sono stati sperimentati, a partire dagli anni ’90, in alcune regioni italiane e sono stati destinatari di alcune delle previsioni del Piano nazionale per la famiglia del 2012. Tale documento li configurava come strutture di natura sussidiaria volte all’empowerment delle famiglie, attraverso la partecipazione attiva delle loro reti e delle loro associazioni. In tale documento, il Centro per la famiglia è inteso come luogo fisico integrato con tutte le strutture presenti sul territorio, in modo da realizzare l’intercettazione dei vari bisogni.
Foto di copertina: Dakota Corbin, Unsplash.com