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Ogni mese Secondo Welfare cura un’inchiesta per Buone Notizie del Corriere della Sera in cui approfondisce i grandi cambiamenti in atto nel nostro Paese sul fronte del welfare. Il 21 settembre 2021 abbiamo affrontato il ruolo che l’Unione Europea può giocare per contrastare la povertà in Italia. Di seguito Franca Maino ricorda l’importanza di affrontare l’esclusione in un’ottica multidimensionale, mentre qui Paolo Riva fa il punto su risorse e opportunità che vengono da Bruxelles e che possono aiutarci su questo fronte.

Un tempo l’indigenza colpiva soprattutto persone prive di reddito, che vivevano in aree rurali, con bassi livelli di istruzione e senza un’occupazione. Oggi sempre più spesso il fenomeno riguarda anche chi risiede in aree urbane, è istruito e ha un lavoro. Questo perché ormai la povertà è determinata da un insieme di fattori che si sommano con intensità variabile: discriminazioni di genere e provenienza geografica, basso livello di istruzione, difficoltà ad affrontare la transizione digitale, scarsità di alloggi a prezzi accessibili, eventi avversi e improvvisi determinati dai cambiamenti climatici. Inoltre, da alcuni anni anche avere un’occupazione non è più sufficiente per evitare lo scivolamento in situazioni di indigenza. Tra i “nuovi” poveri ci sono infatti tanti lavoratori precari e/o sottopagati – anche laureati – che pur percependo un reddito non riescono a rispondere adeguatamente alle proprie necessità.

Alle nuove sfide di questa povertà multidimensionale, tuttavia, non corrisponde una capacità di presa in carico multidimensionale da parte delle istituzioni pubbliche. Servirebbero politiche integrate e intersettoriali in grado di armonizzare interventi che riguardano la transizione ambientale e digitale, la sfida abitativa, le trasformazioni del mercato del lavoro, la redistribuzione della ricchezza, il recupero alimentare e l’investimento sociale intergenerazionale. Prevalgono invece logiche di intervento per silos, poco coordinate e che faticano ad aggredire in modo integrato le molte facce del fenomeno. Limiti gestionali e asimmetrie informative che ostacolano l’accesso alle misure sono gli effetti più visibili, ma sullo sfondo c’è una visione strabica che determina, quasi sempre, un disegno monodimensionale delle politiche. Sia dentro che fuori dal perimetro pubblico.

Per affrontare la povertà servirebbe la collaborazione fattiva di tutti i livelli di governo, sia orizzontalmente, per competenze, che verticalmente, tra il livello centrale e territori. Lo Stato dovrebbe incentivare la redistribuzione del reddito per ridurre le disuguaglianze sociali e intergenerazionali; a livello locale, andrebbero realizzate infrastrutture sociali accessibili e di alta qualità che possano agire con approccio preventivo e una logica capacitante. I livelli regionali, in questo quadro, potrebbero assumere un ruolo strategico nella tessitura delle reti per il contrasto alla povertà: dialogando sia con il livello nazionale e sovra-nazionale che con quello locale, promuovendo il coinvolgimento di attori non profit – che già operano su molti dei fronti sopra citati – ma anche del sistema produttivo – fondamentale per contrastare, in particolare, il fenomeno dei working poor.

A questo scopo appare tuttavia prioritario un grande investimento valutativo per gettare le basi su cui costruire un vero sistema trasversale e multidimensionale. Servono infatti indicazioni (dati, evidenze, esperienze) per sfruttare al meglio le opportunità che si apriranno con le risorse del PNRR e della programmazione europea del prossimo settennato. Ma anche per favorire un maggior allineamento tra le scelte strategiche locali e la cornice di riferimento, da definire guardando al Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e agli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.

Questo articolo è stato pubblicato su Buone Notizie del Corriere della Sera il 21 settembre 2021 ed è qui riprodotto previo consenso dell’autrice.