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Fu il Trattato di Maastricht (1992) a creare ufficialmente l’Unione Economica e Monetaria. In quel Trattato dovevano figurare anche ambiziosi obiettivi di politica sociale. Per l’opposizione del Regno Unito, quasi tutti questi obiettivi furono tuttavia relegati in un semplice Protocollo. Da allora la costruzione di una “Europa Sociale” è diventata il Santo Graal di tutte le forze “progressiste”, soprattutto in Francia e nell’Europa del Sud.

Alcuni passi in avanti sono stati effettivamente compiuti. Il bilancio UE ha riservato risorse crescenti per combattere povertà e disoccupazione. Molte riforme nazionali nel campo delle pari opportunità, dei congedi parentali, della sicurezza sui luoghi di lavoro, delle tutele per i precari sono state decise a Bruxelles. In molti paesi membri la UE ha favorito l’introduzione degli schemi di reddito minimo garantito. La “dote lavoro” della Regione Lombardia è in parte finanziata proprio dalla UE.

Si può fare di più? Certamente. Ma non tutti sono d’accordo. Secondo il principio di sussidiarietà, la politica sociale spetta ai governi nazionali. Molti esperti ritengono poi che l’intervento sociale dell’Unione non avrebbe alcun valore aggiunto. Il primo nodo da sciogliere sulla strada di “più Europa Sociale” è perciò quello di giustificare la sua desiderabilità: perché serve?

L’idea che debba esserci un “un corollario sociale” all’unificazione monetaria non è nuova. Già negli anni ’90, l’obiettivo di riforma dei mercati del lavoro veniva giustificato proprio in base all’imminente avvio dell’unione monetaria. La Strategia europea per l’occupazione lanciata nel 1997 sottolineava l’esigenza di flessibilità dal punto di vista dell’offerta (flexicurity), da perseguire a livello nazionale sotto coordinamento UE. Il decennio di crisi indica tuttavia che alla flessibilità occorre oggi aggiungere anche l’obiettivo della "stabilità". Il quale richiede l’azione collettiva: dispositivi assicurativi condivisi. La “resilienza” (robustezza, capacità di adattamento, efficacia) dei welfare state nazionali deve diventare una questione di interesse comune in un’Unione Monetaria.

Tutte le unioni monetarie sono implicitamente "unioni assicurative", basate sulla centralizzazione dei rischi bancari e in buona parte anche del rischio disoccupazione. L’UEM sta gradualmente istituendo una Unione bancaria. Ma ha anche bisogno – oggi più che mai – di stabilizzatori fiscali basati su logiche assicurative. La Commissione propone un fondo a sostegno degli investimenti pubblici quando, a causa di una crisi, i governi essi devono far fronte alla riduzione del gettito e a maggiori spese correnti. Ma il passo chiave è la riassicurazione degli schemi nazionali a protezione della disoccupazione. La condivisione del rischio disoccupazione aumenterebbe la capacità di recupero a seguito di shock asimmetrici. In secondo luogo, i sistemi assicurativi nazionali creano esternalità; un paese che si assicura adeguatamente aiuta anche i suoi vicini. È dunque nell’interesse dell’Eurozona promuovere e gestire questo tipo di esternalità virtuose. Stante la diversità dei punti di partenza, la UE dovrebbe però da subito promuovere e sostenere la convergenza verso i seguenti obiettivi: sussidi di disoccupazione sufficientemente generosi; tassi di copertura sufficientemente ampi; riduzione delle segmentazioni assicurative nazionali, soprattutto quelle a sfavore dei contratti precari; attivazione efficace delle persone disoccupate; riserve di bilancio in modo che gli stabilizzatori automatici possano fare il loro lavoro in tempi difficili.
 

Oltre che richiedere forme di condivisione dei rischi, le unioni monetarie necessitano di mercati integrati e competitivi per beni e servizi, basati sulla mobilità transfrontaliera del lavoro. Da ciò deriva la necessità di un secondo “corollario sociale” UE, relativo al funzionamento del mercato unico. Fra i suoi ingredienti dovrebbero esserci regole intelligenti per il distacco dei lavoratori da un paese all’altro, la fissazione di standard minimi per i regimi salariali nazionali, trasparenti, prevedibili e universali nella copertura. Tale corollario serve non solo per l’euro-zona, ma per l’intera UE.

Il rafforzamento della dimensione sociale dell’integrazione serve dunque come “complemento” necessario dell’integrazione economico-monetaria. Ma ci sono altre ragioni – non meno importanti – che giustificano la desiderabilità di più Europa Sociale. Il Trattato di Lisbona (2009) ha delineato nel suo preambolo le aspirazioni normative fondamentali del progetto europeo, fra le quali spiccano la giustizia e la protezione sociali, nonché la coesione sociale e la solidarietà fra paesi membri (si veda il box sottostante). Si tratta di fini “in se”, che in qualche modo dovrebbero vincolare le scelte di politica economica e monetaria.

Il rispetto effettivo di queste aspirazioni svolge inoltre un cruciale ruolo politico. Nessuna collettività territoriale può sopravvivere e prosperare senza il sostegno diffuso delle persone soggette alla sua giurisdizione. Consenso e legittimità non dipendono solo dall’efficacia delle politiche ma anche dalla loro equità. I cittadini devono percepire che le autorità responsabili delle decisioni collettive rappresentino in qualche modo l’interesse collettivo, prendendosi cura di tutti i settori/strati della popolazione, per quanto deboli e periferici. Se non diventa esplicitamente e tangibilmente più sociale (che poi è il modo di essere più vicina agli elettori), la UE rischia davvero di non superare la morsa del sovranismo e del nuovo populismo.
 


Gli obiettivi sociali dell’Unione Europea. Articolo 2 del Trattato dell’Unione Europea

  • L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente.
  • Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico.
  • L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore.
  • Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri.
  • Essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo.

 

Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 11 febbraio 2019, ed è stato qui riprodotto previo consenso dell’autore.