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È stato pubblicato “Vivere al tempo del vuoto”, il terzo rapporto sulla povertà 2024 curato dall’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse della Caritas Diocesana di Torino. Un titolo che rappresenta il senso comune avvertito e vissuto da coloro che sono sicuramente poveri, dagli appena poveri che stanno scivolando nell’impoverimento e dai quasi poveri, quelli che hanno un reddito da lavoro che però è insufficiente per condurre una vita soddisfacente.

A dirlo è la lettura dei dati rilevati dalle persone che svolgono servizio di volontariato nei Centri di ascolto parrocchiali e non, registrati all’interno di una piattaforma comune che mette tutte le Caritas della diocesi torinese, oltre a quelle del Piemonte e Valle d’Aosta, in collegamento tra loro1. Di seguito si propone un’analisi di queste informazioni, con alcune riflessioni sulla situazione nel territorio torinese.

Cosa ci dicono i dati

Nel 2024 sono state aiutate quasi 50.000 persone, di cui il 30% incontrate per la prima volta con un incremento generale del 28% rispetto al 2023.

A essersi rivolti alle Caritas sono soprattutto gli uomini, in controtendenza rispetto all’anno precedente in cui erano per la maggior parte le donne richiedenti aiuto. Con riferimento al 2023 aumenta il numero delle persone giovani: la fascia di età 25-45 anni cresce del 30% e il 35,7% riguarda quella dai 46 ai 60 anni. Dato assai preoccupante l’aumento di quasi 30% di giovanissimi, sotto i 25 anni. Crescono poi le richieste di aiuto da parte delle famiglie in cui i genitori non sono nati in Italia, ma i loro figli sì, e la povertà si manifesta attraverso gli interventi che le Caritas realizzano per supportare le famiglie, soprattutto attraverso il sostegno scolastico e quello legato alla salute. All’interno dei nuclei familiari si contano circa 6.000 bambini in stato di povertà: la fascia più rappresentata è quella 6-10 anni.

Dalla lettura dei dati si traggono poi le storie delle persone che si trovano a vivere stabilmente in uno stato di povertà a volte addirittura ereditato da genitori e nonni, come a costituire una sorta di “casato” degli assistiti. Altre volte la povertà è conseguente alla mancanza o perdita del lavoro, una condizione che comprende altre dimensioni vitali per il proprio benessere generale: relazioni personali compromesse, insicurezza economica, danneggiamento dell’equilibrio psicofisico, mancato riconoscimento delle risorse personali necessarie per ricostruire un percorso di vita, perdita di orientamento tra i tanti servizi presenti nei territori e conseguente incapacità di accedere alle prestazioni di welfare. È così che le persone perdono la casa, rinunciano a curarsi, riducono all’essenziale gli interventi educativi per i propri figli, limitandosi su tutto e, arrendendosi passivamente all’aiuto esterno, perdendo la volontà di scegliere.

La povertà non è solo materiale, ed è sempre più complessa

Tra i dati attenzionati dal Rapporto c’è anche quello della povertà relazionale: circa il 70% di coloro che hanno chiesto aiuto sono persone che vivono da sole. Attraverso la lettura dei diari scritti dai volontari si ricavano storie di incremento della condizione di solitudine.

Il dato statistico riguarda certamente chi si trova nella condizione vedovile, particolarmente significativa specie nei territori extra cittadini, ma va riferito anche a chi sta affrontando momenti di separazione o abbandono (circa il 15%). Il 27% che descrive celibi e nubili ricalca bene la composizione sociale del territorio, sempre più caratterizzato per la presenza di nuclei monocomponenti. Situazioni che si rivelano maggiormente esposte alla fragilizzazione se in concomitanza con incapienza economica, insufficienza formativa e culturale, disagio di salute, senescenza, percorsi migratori di particolare fatica.

Le richieste che le persone rivolgono alle Caritas stanno intensificandosi anche in merito alla necessità di azioni di accompagnamento e tutela che non si possono limitare a semplici servizi di natura operativa, ma che travalicano nella sfera della relazione interpersonale e del sostegno alle scelte. In tale ambito le possibilità dei servizi pubblici sociali e sanitari risultano essere in calo e quelle del privato sociale scontano la limitazione della minore professionalità e della possibilità di continuità nei percorsi. Ma sarebbe erroneo ritenere che il dato statistico sia in grado di descrivere la questione così come è rilevata dalla rete ecclesiale soprattutto nei centri di ascolto.

Infatti, sembra in decisa ascesa la presenza di condizioni interiori di solitudine anche in soggetti che vivono inseriti in famiglia, gruppi, territori, relazioni sociali. Condizioni che si stanno avvicinando a dimensioni di fatica psicologica e che sono in parte state acuite dal periodo del Covid-19. Si tratta di fenomeno con valenza di forte impercettibilità oggettiva, ma la cui osservazione induce a riflettere sulla necessità di inserire tra i criteri regolatori delle strategie di politica sociale anche elementi di più ampio sguardo che tengano contro del valore di empowerment delle dimensioni tipicamente relazionali. Queste ultime stanno assumendo una posizione di reale snodo centrale al fine di non vanificare gli interventi di altra natura che, in loro mancanza, rischiano di rivelarsi perlomeno insufficienti.

Coloro che offrono un servizio all’interno di centri di ascolto riportano l’esperienza di trovarsi di fronte a persone che presentano un intreccio di problematiche che formano una matassa difficile da sbrogliare tanto da non riuscire, il più delle volte, a trovare il capo del filo. I processi che interessano le persone rimaste indietro sono complessi, difficilmente affrontabili se l’obiettivo che ci si pone è quello di “risolvere” il loro problema. Chi è intrappolato nella precarietà del vivere, colpito dalla fragilità delle situazioni che affronta, vede la propria quotidianità lesa da un insieme di fattori destabilizzanti e questi, uno dopo l’altro, innescano un effetto domino. Questo aspetto è quanto mai evidente al solo scorrere le schede personali inserite nel sistema informativo delle Caritas in cui è evidente come le questioni denunciate si sommino nelle storie individuali.

Da dove nascono le situazioni di disagio

A considerare i numeri risultano principalmente indicati i problemi economici, che rappresentano il 42,1% e quelli legati ad occupazione e lavoro, pari al 25,8%. Seguono il 13,3% i problemi legati alla casa e il 7,1% quelli connessi alla salute, ma questa classificazione non è indicativa di quale criticità sia emergente rispetto ad un’altra perché nella stessa persona o nucleo familiare sono sommabili più situazioni che ne compromettono la stabilità.

Il momento attuale di profonda crisi economica pone, tra gli aspetti più indicativi, la difficoltà di accesso alla casa. Non riguarda solo coloro che hanno raggiunto il massimo livello di marginalizzazione tanto da vivere in strada, oppure quelli che hanno trovato sistemazioni provvisorie nei dormitori o ripari di fortuna. Ampliando l’osservazione nel rapporto 2024 si denuncia il fatto che troppe persone, oggi, non “si possono permettere” un’abitazione. Coloro che vivono lo stato di progressivo impoverimento, e tra questi sono inclusi anche coloro che erano prima facenti parte del ceto medio, trovano assai difficoltoso reperire una dimora adeguata alle esigenze proprie e della famiglia, il cui affitto sia sostenibile con i redditi percepiti e che sia in condizioni accettabili. Da questo punto di vista il bisogno primario dell’abitare risulta fortemente compromesso tanto da considerarlo un diritto negato perché troppo costoso e insostenibile per le famiglie.

L’Osservatorio delle Povertà rileva la crescita della grave emarginazione abitativa per gli adulti. Nonostante l’intenso percorso di armonizzazione e co-programmazione in atto nella Città di Torino e le azioni puntuali sviluppate in altre località della diocesi continua l’incremento della presenza di grave emarginazione adulta e condizione di senza dimora tra coloro che si riferiscono alla rete diocesana (13,7% con crescita del 2% rispetto all’anno precedente), con prevalenza di questioni inerenti all’accoglienza emergenziale notturna e alla presa in carico di situazioni di disagio psichico o legato alle dipendenze da sostanze. Dato che ripropone la domanda circa le cause su cui nasce, germoglia e cresce un fenomeno che interessa ancora in percentuale maggiore persone di origine straniera.

Le persone che hanno bisogno crescono. Bisogna agire.

Dall’analisi dei dati emerge chiaramente che il numero dei poveri nella diocesi torinese aumenta ogni anno un po’ di più: fatto, questo, tristemente in linea con la percentuale di crescita nazionale della povertà assoluta di tutte le fasce di età, tra cui colpisce quella dei bambini. Attraverso la stesura del rapporto annuale l’Osservatorio torinese  restituisce alla cittadinanza e ai decisori politici la fotografia imperfetta e non esaustiva, ma certamente rappresentativa, di donne, uomini e bambini a cui mancano le risorse necessarie per raggiungere e mantenere un livello di vita reputato decente, civile e tollerabile e ricorda che si tratta di dramma sociale comune, non già di pochi e sconosciuti. E su cui è sempre più urgente intervenire insieme, unendo tutte le risorse disponibili sul territorio.

Note

  1. La rete diocesana ecclesiale di ascolto e di aiuto a chi si trova in difficoltà presente nelle parrocchie è assai capillare: oltre a 179 centri di ascolto Caritas, a cui si aggiungono i gruppi della Famiglia Vincenziana.
Foto di copertina: Efrem Efre, Unsplash.com