Nel giugno 2022 il Parlamento europeo ha adottato la nuova legislazione sui salari minimi adeguati che si è tradotta in una Direttiva1 adottata dal Consiglio europeo il 4 ottobre 2022. A partire da questa data, gli Stati membri hanno 2 anni, quindi sino all’ottobre 2024, per recepirne i contenuti nel proprio diritto nazionale.

Anche a seguito di questo provvedimento, nel nostro Paese si è iniziato a discutere molto di più di salario minimo. Nelle ultime settimane, dopo un breve periodo nel quale il dibattito sembrava essersi sopito, è tornato ad essere centrale. Questo anche a seguito dell’approvazione del disegno di legge di delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea (ad esempio, la Legge di delegazione europea 2022-2023 per garantire un più rapido adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello europeo), in cui ovviamente rientra anche la direttiva sul salario minimo.

In questo contesto, una parte consistente delle forze di opposizione in Parlamento ha presentato una proposta di legge in 7 punti per la disciplina di un salario minimo legale, il cui importo è stato individuato in 9 euro lordi l’ora. Tra questioni ideologiche e di posizionamento strategico, i vari attori della politica italiana – partiti politici, sindacati e associazioni datoriali – si stanno esprimendo sulla possibilità di introdurre un salario minimo in Italia. In questo articolo vi raccontiamo come e perché.

I contributi di Secondo Welfare sul salario minimo

Che cos’è
Cosa prevede la direttiva UE che lo regola
Come si è evoluto il dibattito italiano sullo strumento

La Direttiva UE sul salario minimo e il contesto italiano

In linea con il Pilastro 6 del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, la Direttiva UE sul salario minimo (n. 2022/2041) punta a garantire ai lavoratori dell’Unione un salario minimo adeguato. Ogni Stato membro dovrà tenere conto delcosto della vita e dei più ampi livelli di retribuzione (dunque, prestando attenzione alle differenziazioni territoriali e salariali specifiche di ogni Stato).

L’art. 25 della Direttiva afferma che ciascuno Stato membro con un tasso di copertura della contrattazione collettiva inferiore all’80% è tenuto ad adottare misure volte a rafforzarla. Questo perché gli Stati membri con un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una più bassa percentuale di lavoratori a basso salario. Pertanto, nel rispetto della contrattazione collettiva e delle parti sociali, la soglia inferiore all’80% – secondo quanto riportato dalla Direttiva – dovrebbe essere interpretata come un indicatore che fa “scattare” l’obbligo di elaborare un Piano d’Azione. Al contrario, se la soglia è superiore all’80%, tale obbligo non sussiste.

Salario minimo: cosa prevede la Direttiva europea?

L’Italia rientra – insieme ad Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia – tra i Paesi che non hanno un salario minimo stabilito per legge. Il nostro Paese non è obbligato ad implementare il salario minimo poiché ha un tasso di copertura della contrattazione collettiva superiore all’80%. Resta però il fatto che 1 lavoratore su 4 guadagna meno del Reddito di Cittadinanza e il fenomeno della povertà lavorativa è in crescita, in un contesto che continua a peggiorare a causa dell’inflazione (XXI Rapporto Annuale INPS, 2022). Quindi l’introduzione di una simile misura è auspicata da più parti, ma numerose sono anche le voci contrarie a questa scelta.

È attorno a questo dualismo – salario minimo si o no – che si è strutturato il dibattito politico sul salario minimo in Italia e che coinvolge partiti politici, sindacati e associazioni datoriali.

La proposta di legge dell’opposizione

 Il 22 marzo 2023, alla commissione Lavoro alla Camera è iniziato l’esame di 5 proposte di legge diverse presentate da deputati delle opposizioni. Le iniziative, in particolare, portano la firma del leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, dell’ex ministro dem del Lavoro Andrea Orlando, dell’ex capogruppo PD alla Camera Debora Serracchiani, del capogruppo PD in commissione Lavoro Mauro Laus e del segretario di Sinistra Italiana e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Nicola Fratoianni.

Lo scorso 4 luglio, inoltre, alla Camera è stata presentata la proposta di legge intitolata “Disposizione per l’istituzione del salario minimo”, risultato di un’iniziativa congiunta di tutti i partiti di opposizione ad eccezione di Italia Viva. L’alleanza per il salario minimo – il c.d. “Patto dell’ascensore” – è composta da PD, Movimento 5 Stelle, Azione, +Europa e Alleanza Verdi e Sinistra. Nel testo della proposta di legge – composta da 7 articoli – si individua la necessità di consentire ai contratti collettivi di aggiornarsi al Trattamento economico minimo, previsto per 9 euro orari, entro l’ottobre 2024 (ovvero, la data ultima di ricevimento della direttiva europeo sul salario minimo) .

I punti della proposta delle opposizioni

Il primo punto della proposta invita a riconoscere, per il/la lavoratore/trice di ogni settore economico, un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentativo, salvo restando i trattamenti di miglior favore.

Continuando, al secondo punto, a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione, si richiede di introdurre una soglia minima inderogabile di 9 euro all’ora, per tutelare i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro (in particolare, quelli in cui è debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali). Il terzo punto estende la giusta retribuzione anche ai lavoratori parasubordinati e autonomi (oltre che ai subordinati) e, nel quarto punto, si invita a istituire una Commissione composta da rappresentanti istituzionali e delle parti sociali – comparativamente più rappresentative – per aggiornare il trattamento economico minimo orario.

Gli ultimi tre punti riguardano, rispettivamente, la piena garanzia dell’effettività del diritto dei lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso; il riconoscimento per legge dell’ultrattività dei contratti di lavoro scaduti o disdettati; l’individuazione di un periodo di tempo per adeguare i contratti alla nuova disciplina, incluso un beneficio economico a sostegno dei datori di lavoro per i quali questa transizione risulti più “onerosa”.

Riguardo i contenuti della proposta, l’opposizione riconosce che “il ruolo dei salari minimi acquisisce un’importanza ancora maggiore nei periodi di recessione economica” e, pertanto, fa riferimento alle criticità del contesto socioeconomico italiano, con l’aumento dei tassi di povertà lavorativa – ad esempio, dei giovani e dei part-timeinvolontari – e l’inflazione. In Paesi come l’Italia, nei quali un salario minimo legale non esiste, e che pure hanno una copertura elevata da parte della contrattazione collettiva, vi è una quota importante di persone che lavorano senza che siano rispettate le condizioni fissate dai contratti collettivi (in Italia circa il 20% del totale dei lavoratori). In questo quadro, il salario minimo è dunque inteso come una tutela aggiuntiva – e non sostitutiva – ai contratti collettivi nazionali2.

 Le posizione dei partiti

 I partiti italiani, alla maggioranza e all’opposizione, hanno espresso posizioni differenti sull’introduzione di un salario minimo. Lo stesso si può dire  per i sindacati e le associazioni datoriali.

Nei programmi elettorali per le elezioni 2022, il Movimento 5 Stelle aveva parlato esplicitamente della necessità di introdurre un salario minimo a 9 euro. Il programma del Partito Democratico diceva di voler applicare il salario minimo previsto dalla Direttiva europea (che, tuttavia, non prescrive l’obbligo) e citava poi “un salario minimo non inferiore a circa 9 euro lordi orari”. Anche Italia Viva e Azione si sono sempre dichiarati favorevoli alla misura. Il Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia nel programma unitario del centrodestra non fanno invece nessun riferimento esplicito al salario minimo. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni nell’aula della Camera per il suo primo Premier question time, tenutosi lo scorso marzo, tuttavia ha bocciato l’istituzione di un salario minimo, spiegando che il Governo sta elaborando altre soluzioni per garantire retribuzioni dignitose ai lavoratori.

Salario minimo: è necessario non cristallizzare il dibattito

L’Esecutivo si è poi detto contrario alla proposta avanzata dall’opposizione e la Premier ha dichiarato di non essere convinta che al salario minimo si possa arrivare per legge, e che il Governo preferisce lavorare per “favorire una contrattazione collettiva sempre più virtuosa, investire sul welfare aziendale, agire su agevolazioni fiscali e contributive, stimolare i rinnovi contrattuali”. Meloni, che dovrebbe rappresentare la visione unitaria del centrodestra, ha evidenzato come la strada giusta sarebbe quella di abbassare le tasse alle imprese (intervenire, dunque, sul c.d. cuneo fiscale). Sempre nel centrodestra, Maurizio Lupi di “Noi Moderati” circa una settimana fa ha concordato con le posizioni della Meloni, per cui “non si tratta di lavorare sul salario ma di aumentare gli stipendi. E questo lo abbiamo fatto riducendo il cuneo fiscale e l’Irap”.

Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana ha commentato le dichiarazioni della Meloni enfatizzando come il centrodestra sia esclusivamente attento agli interessi delle imprese, lasciando indietro gli ultimi. Anche Matteo Richetti, di Azione, ha chiesto all’esecutivo di confrontarsi nel merito, poiché non si tratta di una battaglia ideologica ma di una norma di “buonsenso”. Infine, la Segretaria del PD Elly Schlein ha annunciato la volontà di battersi per un soglia minima garantita, che consenta ai lavoratori di non cadere in situazioni di sfruttamento lavorativo.

Le posizioni delle parti sociali

La questione del salario minimo, dunque, testimonia unitarietà tra i partiti di centrodestra, da un lato, e quelli di centrosinistra, dall’altro. Cosa accade sul fronte delle parti sociali?

Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, adottando una strategia che gli studiosi di politiche pubbliche definirebbero di blame avoidance3, ha affrontato il tema dicendo che “È una direttiva europea introdotta per una serie di motivi come il dumping salariale 4. Si parla di 9 euro lordi, non è un tema che riguarda Confindustria”. “I nostri contratti” ha aggiunto “sono sopra quella cifra. E lo dico perché si continua a narrare in Italia una cosa sbagliata. Si dice che si pagano poco i lavoratori ma non è l’industria italiana. Sebbene la posizione di Confindustria sia tradizionalmente contraria al tema del salario minimo, l’ente parrebbe più moderato rispetto all’inizio del dibattito sul tema (le posizioni iniziali sembravano esclusivamente orientate verso la riduzione del cuneo fiscale) e, probabilmente, aperto al dialogo.

Salario minimo: è necessario non cristallizzare il dibattito

Tra i sindacati, Cgil e Uil si sono mostrati favorevoli. Dalla Cgil, Maurizio Landini chiede, al contempo, una legge sulla rappresentanza5 che cancelli il dumping contrattuale. Posizione condivisa anche da Paolo Bombardieri in Uil. Solo attraverso quest’ultima, secondo i due sindacati, si otterrebbe l’applicazione erga omnes dei contratti delle organizzazioni comparativamente più rappresentative. E, in seguito, si dovrà arrivare ad una legge sulla rappresentanza vera e propria (nel rispetto degli artt. 36 e 39 della Costituzione).

Quest’ultimo è un punto condiviso anche dalla Cisl che, allineata con le altre due sigle sindacali, chiede di darevalore legale ai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative. Tuttavia, la posizione della Cisl diverge sull’introduzione del salario minimo. L’opinione del leader della Cisl Luigi Sbarra è che l’indicazione di una soglia, di un compenso minimo per legge, possa esporre a diversi rischi, tra cui la fuga dall’applicazione dei contratti da parte di alcune aziende, uno schiacciamento verso il basso della dinamica retributiva dei salari medi e un espandersi del lavoro nero e del sommerso.

Tra rischi e opportunità: cosa non tralasciare nel dibattito

Non esiste, in astratto, la superiorità di un modello di salario minimo su un altro. E’ chiaro che ciascun modello dovrà riflettere le specificità nazionali. E, d’altronde, il salario minimo legale non può e non deve essere considerato la principale misura di contrasto al lavoro povero. Quest’ultimo deriva dall’intersezione di più fattori – ad esempio, la composizione del nucleo familiare, la flessibilità e precarietà del lavoro – e non può ricondursi alla sola paga oraria.

Tuttavia, l’adozione di una legge ha il pregio di fornire maggiori garanzie riguardo alla universalità della sua copertura e dell’esigibilità dei trattamenti che dispone. Ad esempio, tende a ridurre i differenziali tra i vari settori e – mediante l’effetto faro (di cui vi avevamo parlato in questo articolo) – può sospingere verso l’alto la dinamica salariale. L’economia tedesca ha mostrato come non ci siano contraccolpi attesi sul tasso di occupazione. Al contrario, alcune agevolazioni contributive volte a ridurre il costo per le imprese (tra cui, appunto, il cuneo fiscale) potrebbero avere conseguenze negative su pensioni e welfare.

Tuttavia, il salario minimo legale tende ad attestarsi su livelli genericamente bassi: per cui, come detto, se non integrato con politiche di welfare e/o di contrattazione non consente di uscire dalla condizione di working poor. E, al contempo, “tecnocratizza” la determinazione salariale nelle sedi tripartite6 che, da un lato, potrebbe consentire un balzo verso l’innovazione (ad esempio, rafforzando il potere contrattuale delle parti sociali in altri ambiti di welfare, come accaduto in Germania e in Spagna) ma, dall’altro lato, potrebbe anche ridurre il loro margine di manovra, consentendo l’implementazione di politiche di austerità (come, ad esempio, in Grecia).

Working poor: le proposte degli esperti per contrastare la povertà lavorativa

Pertanto, tra rischi e opportunità, è il momento per introdurre nel dibattito – sin da subito – alcune tematiche fondamentali per ripensare l’introduzione della misura. Ad esempio, saranno importanti i meccanismi di aggiustamento (c.d indicizzazione) che dovranno aggiornare il salario minimo al costo della vita in maniera semplice (in Francia è automatico). L’obiettivo è evitare di creare un contesto in cui il salario minimo resti fermo al netto di un mercato e di un’economia in espansione, l’inflazione e la stagflazione (ad esempio, com’è accaduto nel 2008 negli Stati Uniti e nel 2015 in Brasile).

Per questo, a partire dal quarto punto della proposta delle opposizioni di nominare una Commissione di dialogo tra istituzioni, sindacati e associazioni datoriali, sarà necessario definire i dettagli del confronto. In effetti, il rischio è che il potere contrattuale sia sbilanciato a favore degli uni o degli altri, causando la stagnazione dei salari (come accaduto negli ultimi trent’anni). Infine, il basso potere contrattuale è anche il risultato di numerose riforme strutturali che negli ultimi decenni hanno contribuito a flessibilizzare il mercato del lavoro. Pertanto, a fronte dell’aumento del lavoro povero, è necessario che il dibattito sul salario minimo rifletta anche sull’irrigidimento dei contratti prevista dal “Decreto lavoro”.

Per approfondire

 

Note

  1. Nel diritto dell’UE, una Direttiva è un atto giuridico che stabilisce un obiettivo che tutti i Paesi dell’UE devono conseguire. Pur essendo vincolante, spetta ai singoli Paesi definire attraverso le disposizioni nazionali come conseguirlo.
  2. Questi contratti, i cosiddetti CCNL, stabiliscono le condizioni di base del rapporto di lavoro, come gli orari, le ferie e anche la retribuzione minima per ogni livello contrattuale, che normalmente varia a seconda del ruolo e dell’esperienza richiesta, e lo fanno per i vari settori lavorativi.
  3. Ovvero, la strategia per evitare la “colpa” di dichiarazioni impopolari e/o disallineate con l’opinione pubblica.
  4. Il dumping salariale – o contrattuale (i c.d. contratti pirata) – si fonda sulla incontrollata proliferazione del contratti collettivi nazionale che, in assenza di una legge sulla rappresentanza, richiama quelle pratiche attraverso cui si tenta di una riduzione del costo di lavoro, ricorrendo a forme contrattuali sempre più economiche e permissive.
  5. La legge intende fornire “copertura legislativa” alla disciplina pattizia definita tra le parti sociali negli ultimi anni, per stabilire i criteri di misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro privati.
  6. Si intendono le occasioni di incontro tra istituzioni, associazioni datoriali e sindacati.
Foto di copertina: Mathieu Stern, Unsplash