È ormai dal 2022 che non si sente parlare di chiusura straordinaria delle scuole. Eppure le conseguenze dei lockdown dovute alla pandemia di Covid-19 sono state significative e risultano ancora oggi ben visibili. Da una parte, gli apprendimenti e la condizione psicologica degli studenti hanno risentito profondamente della didattica a distanza (DAD). Dall’altra, il ricorso alla DAD sembra aver accelerato il processo di digitalizzazione della scuola, ravvivando il dibattito già molto consistente nella letteratura sull’utilizzo del digitale nella didattica e facendolo diventare una questione di rilevanza pubblica.

Un anno e mezzo fa, con la nostra serie di articoli #OltrelaDAD abbiamo voluto approfondire queste questioni, suscitando interesse e dibattito intorno a vari temi come il nuovo ruolo del digitale, l’abbandono scolastico, il disagio giovanile e la povertà educativa. Da quella esperienza è nato Nova Schol@, progetto di ricerca e comunicazione sostenuto da Bolton Hope Foundation che vuole approfondire e raccontare se e come la digitalizzazione possa essere la chiave per innovare un modello di didattica tradizionale in favore di un modo di fare scuola aperto e inclusivo. Lo abbiamo fatto con analisi, interviste, focus group e survey che hanno interessato diverse scuole nell’ultimo anno. Ma nel frattempo il mondo non si è fermato: l’introduzione di intelligenze artificiali di nuova generazione ha alimentato ulteriori discussioni sul tema dei rischi e delle potenzialità delle nuove tecnologie a scuola, generando tanta curiosità quanta preoccupazione.

In questo articolo cerchiamo di districare il tema della digitalizzazione della scuola dal punto di vista del dibattito scientifico, analizzando i punti di forza e le criticità nell’uso del digitale, i cambiamenti avvenuti con il Covid e le prospettive emergenti sul tema. Per farlo, partiamo da un presupposto: le tecnologie digitali (device, software e app di vario genere, ma anche il semplice utilizzo di internet), per loro stessa costituzione, impongono delle logiche di apprendimento diverse rispetto a quelle tradizionalmente utilizzate a scuola.

Il dibattito sull’uso del digitale a scuola: tra rischi e potenzialità

La narrazione che si dà del digitale a scuola vede solitamente due posizioni contrapposte. Da una parte si trovano coloro che considerano la sua introduzione utile e inevitabile, non solo perché l’evoluzione tecnologica richiede continuamente nuove competenze nel mercato del lavoro, ma anche per venire incontro alle generazioni più giovani, considerate “native digitali” e, quindi, “istintivamente” portate all’utilizzo di questi mezzi. Dall’altra parte c’è, invece, chi è molto critico e preoccupato circa l’introduzione di strumenti digitali, almeno per quanto riguarda quelle materie in cui non sono strettamente necessari (ad esempio italiano o matematica), enunciando numerosi rischi, che vanno dalla distrazione e all’isolamento fino all’esclusione degli studenti più marginalizzati. Entrambe le posizioni hanno dei punti condivisibili, ma allo stesso tempo scadono in alcuni luoghi comuni.

Partiamo dal fatto che l’idea di “nativo digitale” non può giustificare l’introduzione acritica delle nuove tecnologie a scuola. Il fatto che una persona sia giovane non significa automaticamente che sappia approcciarsi a un computer o a uno smartphone in maniera consapevole: la digital literacy – o alfabetizzazione digitale – dipende da molti fattori, come il background socioeconomico, la provenienza geografica e il genere (Selwyn 2009; Tawfik et al 2016). Questo aspetto è strettamente collegato al digital divide, cioè il divario di possibilità che si genera tra chi ha un accesso adeguato a internet e chi non ce l’ha (per scarsa conoscenza, condizioni sociali difficili o mancanza di connessione).

Inoltre, anche chi non è particolarmente svantaggiato tende ad accedere a internet e ai device in maniera passiva più che per la promozione della propria conoscenza (Selwyn 2009). È poi vero che i dispositivi digitali distraggono: le notifiche influenzano l’attenzione e il coinvolgimento degli studenti, riducendo la velocità nello svolgere compiti e studiare (Pedro et al 2018). Inoltre, se durante la lezione vengono lasciati all’utilizzo autonomo, possono portare a una raccolta di informazioni errate o inaffidabili, come le fake news.

A fronte di tutti questi rischi, la letteratura comunque concorda sul fatto che l’introduzione di nuove tecnologie nel mondo dell’istruzione – a certe condizioni – può essere molto utile. Il punto centrale nel loro utilizzo virtuoso sta nelle modalità in cui sono  introdotte e utilizzate per fare lezione. Come accennavamo prima, infatti, il digitale impone una modalità di organizzazione dei contenuti e delle relazioni fortemente in attrito con la logica tradizionale della scuola, storicamente vista come luogo di trasmissione frontale del “sapere organizzato” (Gui 2019).

L’uso di strumenti digitali, con la loro flessibilità e la possibilità di essere utilizzati sia in ambienti “formali” (come la scuola) che “informali” (come a casa), rivoluzionano completamente questo aspetto, sfumando i confini di come e quando gli studenti imparano. La possibilità di avere accesso alle informazioni ovunque fa in modo che ragazzi e ragazze possano apprendere in qualsiasi contesto, in modo molto più attivo e autonomo rispetto a prima, modificando così il loro ruolo all’interno della relazione della classe. Allo stesso modo, però, si impone che cambi anche la funzione dell’insegnante, il quale diventa una guida più che la persona che fornisce le informazioni a lezione.

Si parla, dunque, di cambio di paradigma: il mezzo con cui ci rapportiamo modifica come apprendiamo e il tipo di relazione che instauriamo con chi insegna (Reddy et al 2020). Se si riesce a sfruttare efficacemente, trovando dei modi per tenere conto dei rischi di cui abbiamo parlato, i risultati positivi ci sono: in letteratura si parla di un maggior coinvolgimento degli studenti su più fronti, soprattutto quando si utilizzano modalità di apprendimento immersive come la realtà virtuale, ma anche giochi e strumenti che facilitano pratiche collaborative (Schindler et al 2017, Pedro et al 2018). In sintesi, intervenire sulla didattica e sulla nuova relazione che si genera tra studenti e docenti è fondamentale per poter introdurre efficacemente device e software a lezione.

Questo è quanto ci dice la letteratura internazionale sul dibattito avvenuto negli ultimi anni sul tema dell’uso del digitale a scuola. Ma cosa è successo con la pandemia di Covid-19? Ormai sappiamo abbastanza per poter farci un’idea, almeno per quanto successo nel nostro Paese.

L’impatto del Covid sulla scuola italiana

A marzo 2020, la Presidenza del Consiglio dei Ministri dispose la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado e l’erogazione delle lezioni solo attraverso la didattica a distanza. Questa scelta fu confermata da diversi decreti fino alla fine del lockdown della primavera 2020 e riproposta come principale risposta all’evoluzione della pandemia anche nei due successivi anni scolastici. Molti dati e studi confermano che la chiusura delle scuole e il massiccio ricorso alla DAD hanno avuto un grande impatto sul mondo della scuola e su chi la vive, su almeno quattro aspetti: gli apprendimenti degli studenti, la dispersione scolastica, la salute mentale dei ragazzi e delle ragazze, l’evoluzione della didattica.

Gli apprendimenti

Dal punto di vista degli apprendimenti, le prove INVALSI del 2021 evidenziano un calo dei rendimenti scolastici per le scuole secondarie di secondo grado1. Rispetto al 2019 (nel 2020 la prova INVALSI non è stata svolta a causa della chiusura delle scuole), i risultati di italiano e matematica evidenziano maggiori criticità: il 44% e il 51% degli studenti rispettivamente non ha raggiunto risultati adeguati rispetto alle indicazioni nazionali. Le perdite di apprendimento maggiori si registrano soprattutto tra gli allievi provenienti da contesti socio-economico-culturali più sfavorevoli e nelle regioni del Mezzogiorno. D’altra parte, le maggiori difficoltà di accesso alla rete internet e ai device hanno riguardato proprio gli studenti del Sud e quelli di origine straniera (Istat 2022). Nel 2022, questo calo di apprendimenti sembra essersi fermato, ma i divari territoriali hanno continuato ad allargarsi.

La dispersione scolastica

Oltre al calo degli apprendimenti, sembra che la pandemia abbia anche aggravato la dispersione scolastica (Cucco et al 2021), già in aumento negli anni precedenti, contribuendo così a creare “studenti di serie A e di serie B” (Stańkowski 2021). Dopo l’inizio del primo lockdown, infatti, molti insegnanti hanno iniziato a perdere il contatto con alunni e studenti delle loro classi (soprattutto per quanto riguarda la scuola dell’obbligo), senza avere più notizie da parte delle famiglie, anche per le difficoltà di accesso alla rete da parte di alcuni.

La salute mentale

La pandemia ha anche avuto un effetto negativo sulla salute mentale degli studenti. Noia, fatica, demotivazione, ansia e solitudine sono stati i principali stati emotivi provati durante il periodo della DAD (Dazzi & Ingenito 2022). Gli studenti hanno sofferto principalmente per l’ansia e la paura di perdere i propri cari, oltre che la mancanza di autonomia derivante dallo stare a casa e dal non avere un proprio spazio personale: una nuova routine in cui il rapporto con gli amici e la frequentazione di spazi comuni diventavano momenti inusuali e di forte carico emotivo. In questo senso, le lezioni non sono state viste come momenti facilitanti, perché vissute come momenti esclusivamente dedicati all’istruzione, senza alcuna opportunità di favorire il mantenimento e il rafforzamento delle relazioni sociali (Fioretti et al 2020).

La didattica

Se in generale possiamo affermare che la pandemia ha avuto un impatto negativo e traumatico su studenti e studentesse, il ricorso alla DAD ha anche avuto alcuni effetti positivi in termini didattici. Secondo INDIRE (2021), nella scuola secondaria di secondo grado l’84,4% degli insegnanti ha affermato che la pandemia li ha aiutati a migliorare le proprie competenze tecnologiche, consentendo loro di acquisire una preparazione utile a sviluppare nuovi approcci alla didattica. Quello che emerge è dunque che, al netto dei disagi sopra descritti, la pandemia ha dato un nuovo impulso per ripensare alle modalità di insegnamento “tradizionali”, fornendo ai docenti l’opportunità di sperimentare e integrare la didattica con il digitale. L’emergenza ha attivato un processo di ri-articolazione del discorso pubblico sul concetto di didattica “blended”, tanto che ormai non è “più possibile parlare di scuola senza riferirsi a forme ibride di apprendimento, mediate da device e piattaforme, anche per chi rigetta questi approcci” (Taglietti et al 2021).

Cosa aspettarsi dal futuro: le possibilità offerte dalle IA

La pandemia non è l’ultimo step a cui è arrivato il dibattito sull’utilizzo del digitale a scuola. Alla fine del 2022 l’arrivo di ChatGPT, un simulatore di conversazioni con esseri umani basato sull’intelligenza artificiale (IA), ha fatto molto scalpore sia per le sue capacità (fino a quel momento mai osservate per altre forme di IA) sia perché fin da subito è stato accusato di poter essere usato in modo improprio dagli studenti, ad esempio per copiare o non svolgere autonomamente i compiti assegnati.

Anche in questo caso, però, la letteratura scientifica concorda che l’introduzione di IA nel mondo dell’istruzione possa avere diversi risvolti positivi (Zafari et al 2022, Adiguzel et al 2023, Chiu et al 2023). Il più citato è senza dubbio il fatto che le IA, attraverso la profilazione e l’analisi predittiva, possano trovare nuovi modi per personalizzare le modalità di apprendimento – ad esempio, creando esercizi specifici in base alle necessità specifiche di studentesse e studenti. Questo, unito al feedback immediato dato virtualmente, molte volte fa sentire i ragazzi non giudicati da una persona reale, li aiuta ad avere meno ansia e ad acquisire più fiducia in se stessi, migliorando conseguentemente i loro risultati scolastici. Queste dinamiche avrebbero risvolti molto utili per tutti, ma soprattutto per chi ha difficoltà specifiche o si sente demotivato nello studio. Alcune ricerche riportano effetti positivi anche dal punto di vista degli insegnanti, come una maggiore efficienza nel correggere compiti e verifiche.

Dall’altro lato sono stati messi in evidenza anche due principali aspetti negativi riconducibili all’utilizzo delle IA. Il primo è che le intelligenze artificiali mancano completamente dell’aspetto emotivo dato dalla relazione interpersonale, che potrebbe avere conseguenze significativi sulla capacità di rapporto con gli altri. Il secondo è che, ovviamente, raccolgono enormi mole di dati su chi le utilizza. Questo potrebbe causare, da una parte, dei bias discriminatori (che derivano dai creatori stessi del programma, o dall’ignorare gruppi sottostimati o marginalizzati) e, dall’altra, problemi di natura etica su una raccolta massiccia di informazioni sugli utenti che potrebbero essere usate impropriamente.

Sono certamente questioni che andranno affrontate nei prossimi anni, considerato che lo sviluppo tecnologico sta andando nella direzione di utilizzare sempre di più le intelligenze artificiali.

Cosa fare, dunque, per fare buon uso del digitale a scuola

Alla luce di quanto sopra descritto, possiamo affermare che il digitale a scuola sia effettivamente inevitabile, vista anche la pervasività della tecnologia nelle nostre vite che, probabilmente, sarà ancora più evidente nei prossimi anni. Il fatto che sradichi l’impostazione frontale della lezione, imponendo un cambiamento dei ruoli di chi insegna e chi impara, non può però essere affrontato con leggerezza. Proprio per questo, la digitalizzazione della scuola andrebbe affrontata direttamente, con rapidità e con alcuni accorgimenti. Di seguito ne segnaliamo tre che nella nostra attività di ricerca per Nova Schol@ sono emerse con una certa chiarezza.

  1. Preparare adeguatamente il contesto scolastico facendo in modo che i dirigenti e il personale amministrativo abbiano interiorizzato l’utilizzo e le potenzialità delle tecnologie, rendendole un mindset condiviso;
  2. Formare adeguatamente i docenti a un nuovo tipo di didattica più collaborativa e che integri gli strumenti tecnologici, agendo sia sullo scetticismo nei loro confronti che sulla motivazione nell’usarli. Questa formazione, però, deve seguire due criteri: non dev’essere imposta, ma incentivata e trasmessa tra pari con comunità di pratica; e deve essere dato tempo agli insegnanti per poterla metabolizzare;
  3. Supportare e coinvolgere le famiglie e la comunità nel processo di digitalizzazione per evitare che qualcuno resti indietro.

Solo così la scuola potrà andare incontro ai rapidissimi cambiamenti tecnologici a cui stiamo assistendo senza rischiare di non rimanere al passo coi tempi.

 

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito di Nova Schol@. È una ricerca di Percorsi di secondo welfare, sostenuta da Bolton Hope Foundation, che studia l’innovazione digitale della didattica e come questa può favorire l’inclusione sociale. Dentro e fuori la scuola.

 

Per approfondire

 

Note

  1. I dati riportati sono riferiti esclusivamente alle scuole secondarie di secondo grado perché la nostra ricerca ha inteso prendere come casi di studio tre scuole di questa tipologia.
Foto di copertina: Matt Ragland, Unsplash