Le professioni definite “di cura”, educative o “del sociale” sono spesso considerate simili, in virtù di un presunto denominatore comune, connesso soprattutto al valore professionale trasversale dell’essere di aiuto agli altri. Si riscontrano in questo senso convinzioni e rappresentazioni errate tra le persone che si accingono a scegliere il proprio percorso di studi in ambito socio-psico-educativo, per esempio che si tratti di professioni esclusivamente femminili, che si basino sul buon senso e sul buon cuore piuttosto che su conoscenze e competenze specifiche, che il lavoro nel campo del sociale sia sempre e comunque molto gratificante.

Queste misconcezioni producono un concreto rischio di generare abbandono, transizione tra più corsi di studio1 o insoddisfazione professionale a medio e lungo termine.

Come membri della comunità accademica ci siamo interrogati, grazie all’occasione offerta dai Piani di Orientamento e Tutorato finanziati dal MUR2, su come dar vita a nuovi percorsi di orientamento differenziale per i corsi di studio che formano professionisti dell’aiuto. L’esperienza ha poi portato ad allargare lo sguardo agli intrecci formativi tra i diversi percorsi di studio.

Focus Assistenti Sociali

Questo articolo è parte degli approfondimenti che Secondo Welfare dedica al lavoro dell’assistente sociale attraverso un focus tematico in cui propone dati, esperienze concrete, problemi, soluzioni innovative e temi emergenti attraverso riflessioni e contributi scritti da assistenti sociali e dalla nostra community. Scopri di più.

Figure professionali e misconcezioni

Credenze errate rispetto alle professioni socio-psico-pedagogiche si rilevano già a partire dalla scuola secondaria di secondo grado. Un’indagine realizzata nel 2021 con 592 studenti di scuole del territorio piemontese intenzionati a iscriversi ai corsi di studio in questione mostra una importante incoerenza tra interessi professionali e professioni scelte.

Le credenze errate permangono però anche al secondo o terzo anno di corso, come ha mostrato una ricerca condotta nei corsi di laurea che formano futuri insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia, educatori ed educatrici, assistenti sociali e psicologi e psicologhe (v. Ricchiardi et al. 2021). Ancor meno note sono le importanti differenze presenti all’interno delle stesse famiglie professionali3.

Numerosi stereotipi e pregiudizi sono spesso trasmessi dai media. Basti pensare, a titolo d’esempio, alle rappresentazioni dell’assistente sociale proposte da film e serie tv, analizzate a livello internazionale da una rete di Università e nel contesto italiano, in particolare, da Allegri (2006). Appare dunque evidente, a più livelli, la necessità di decostruire tali misconcezioni, per poter valorizzare le professioni coinvolte anche attraverso la diffusione delle storie dei professionisti e delle loro testimonianze.

Si tratta, poi, di figure professionali che, nella quotidianità dei servizi, lavorano in team e che – solo sul campo e a formazione conclusa – trovano spazi di reciproca conoscenza e d’individuazione dei confini professionali.

Un primo passo: l’orientamento differenziale

I Piani di Orientamento e Tutorato (POT) sono stati avviati con il Decreto MIUR n. 1047/2017, con il duplice obiettivo di portare gli studenti delle scuole superiori a scegliere con consapevolezza il proprio percorso universitario e di completarlo.

L’Università degli Studi di Torino ha avviato, in questo ambito, un progetto che ha coinvolto i 4 Corsi di Studio che preparano a svolgere le professioni di assistente sociale, educatore o educatrice professionale, insegnante e psicologo o psicologa4.

Il raggiungimento degli obiettivi posti dal Decreto MUR passa attraverso azioni di orientamento e tutorato che i Corsi di Studio coinvolti hanno tradotto, in primis, in una Piattaforma delle professioni socio-psico-pedagogiche. Questo strumento è stato messo a punto e utilizzato nelle scuole secondarie e nei primi anni dell’Università, con lo scopo di permettere ai futuri studenti di analizzare le proprie aspettative rispetto al mondo del lavoro e di metterle a confronto con le condizioni reali di esercizio delle quattro professioni prese in esame.

Il percorso incoraggia dunque confronti e approfondimenti. In sintesi, prevede:

  1. un’analisi delle aspettative e delle rappresentazioni per verificare la propria motivazione (questionario d’ingresso e discussione);
  2. una sessione di autovalutazione («Strumento di autovalutazione per le professioni socio-psico-pedagogiche»);
  3. la fruizione e discussione di oltre 20 interviste a professionisti nei 4 ambiti;
  4. l’analisi della gamma di ambiti di intervento connessi alle 4 professioni;
  5. un approfondimento dei percorsi di studio connessi ai quattro ambiti professionali;
  6. una valutazione finale del percorso effettuato.

C’è inoltre una sezione di approfondimenti sulle grandi figure del passato e del presente in questo ambito e una serie di suggerimenti di lettura, film e video.

Il secondo fronte di lavoro condiviso dei 4 Corsi di Studio: il progetto SWELL

Una seconda implementazione dei POT è il progetto SWELL (Shared Ways of Education and Lifelong Learning), che offre a chi s’iscrive al primo anno dei quattro corsi di studio implicati l’occasione di entrare in contatto con la realtà professionale, incrementando la conoscenza delle multiple sfaccettature del lavoro e dell’organizzazione dei servizi, attraverso contatti costanti con il territorio.

Tali attività possono favorire, contestualmente, l’avvio della decostruzione di alcuni stereotipi sulla realtà dei servizi e lo sviluppo di rilevanti competenze trasversali (soft skills). Gli interventi previsti dal progetto prevedono team misti di futuri educatori, educatrici, insegnanti, assistenti sociali, psicologi e psicologhe che apprendono a lavorare insieme nel rispetto della specificità dei diversi ruoli.

Tali obiettivi sono perseguiti innanzitutto attraverso percorsi di Service Learning, attraverso la creazione di gruppi misti di studenti dei quattro corsi di studio. “Il service-learning è un approccio educativo che integra le attività di servizio con la comunità nel percorso accademico degli/delle studenti, con l’obiettivo di rispondere ai bisogni di un territorio. È quindi una esperienza di apprendimento integrata nel curriculum accademico in cui diventano centrali la riflessione critica sulle pratiche e l’impegno in un progetto collettivo” (Albanesi et al. 2023, 10).

Il primo progetto, attivato con team misti, si chiama “Un Assist verso il successo” e prevede che coppie di studenti universitari (se possibile, di due corsi di laurea differenti) realizzino un percorso di circa 30 ore di affiancamento nei compiti, a distanza, con gruppi di 5-6 ragazzi e ragaze delle scuole secondarie di primo grado caratterizzati da povertà educativa. La formazione e la supervisione comune coniugano aspetti pedagogici, psicologici e sociali, portando a confrontare i diversi punti di vista professionali.

Prossimi ambiti di lavoro

All’interno del progetto SWELL è in fase di progettazione un’altra iniziativa, quella delle cliniche socio-psico-pedagogiche e di mediazione in cui gruppi misti di studenti possano cimentarsi con “casi” (ovvero situazioni complesse) e, attraverso l’approccio del problem-based-learning, individuare interventi condivisi.

Si ritiene che queste sperimentazioni possano favorire l’acquisizione delle capacità di collaborare e di integrare competenze diverse, con l’obiettivo di sostenere l’identificazione professionale e l’adozione di un approccio interdisciplinare e interprofessionale, fondamentale nell’esercizio della professione che studenti e studentesse intendono svolgere.

Tra i primi temi che si tratteranno, con il coinvolgimento delle diverse comunità professionali, vi è la casistica relativa all’ambito della protezione dei minori: gli studenti potranno analizzare la situazione della famiglia/minore dal proprio punto di vista professionale, identificare le risorse a disposizione, co-costruire insieme interventi multidisciplinari e strumenti di monitoraggio e valutazione.

 

 

Riferimenti bibliografici

Note

  1. La dispersione accademica in Italia è attestata dal Rapporto AlmaDiploma (2024): tra gli studenti che hanno deciso di continuare gli studi il 6,8% ha abbandonato l’Università al primo anno, mentre l’9,3%, sebbene iscritto, ha cambiato Ateneo o Cds.
  2. Ministero dell’Università e della Ricerca.
  3. Ad es. tra educatori di nido, quelli che lavorano con minori o adulti in difficoltà; tra psicologi e psicologhe cliniche e del lavoro; tra assistenti sociali che lavorano nel settore disabili, minori, anziani o in ambito giudiziario
  4. Il team di progetto dell’Università di Torino è composto da Diego Di Masi, Paola Ricchiardi, Elena Lumetta, Marilena Dellavalle, Emanuela Torre, Tania Parisi, Ivan Enrici, Federico Zamengo, Elena Scalenghe, Marina Merlino, Marco Clara, Teodora Lattanzi, Alice Di Leva.
Foto di copertina: Tumisu via Pixabay.