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Ogni giorno quasi 3 milioni di organizzazioni dell’economia sociale in Europa offrono soluzioni concrete ed innovative alle grandi sfide che siamo chiamati ad affrontare. Creano e mantengono lavori di qualità, contribuiscono all’inclusione sociale, promuovono la partecipazione attiva dei cittadini giocando un ruolo imprescindibile nei sistemi Europei di welfare e rigenerano spazi abbandonati. Se l’Europa può dirsi “campione del mondo” in termini di qualità della vita, lo deve a questo valore ancor poco compreso dagli economisti e un po’ “scomodo” per coloro che devono – o si sentono in dovere – di definire politiche pubbliche che inevitabilmente creano vincitori e vinti (posto che le risorse non sono mai state infinite). Ora però si affaccia all’orizzonte qualcosa di nuovo. La Commissione Europea ha infatti appena presentato il suo Piano d’Azione per l’Economia Sociale, oltre dieci anni dopo l’ultima misura organica in materia. Vale la pena quindi sottolineare alcune caratteristiche di questo nuovo Piano, che speriamo offrano l’occasione per proseguire il ripensamento di ciò che è l’economia sociale e soprattutto cosa può essere o diventare. Senza dubbio il nuovo documento offre molti spunti.

Il potere trasformativo dell’economia sociale

In primo luogo, secondo il nuovo Piano di Azione l’economia sociale è certamente un incredibile generatore di impiego e di inclusione, ma non si tratta solo di questo. Il Piano infatti punta a “rafforzare l’innovazione sociale, supportare lo sviluppo dell’economia sociale e accelerare il suo potere trasformativo”. Non poca cosa se si presta la dovuta attenzione: il punto non è l’economia sociale in sé, ma il suo potere trasformativo e la sua capacità di introdurre elementi di innovazione che producono un chiaro e diretto contributo (dal basso), alla soluzione di problemi e sfide sociali. Proviamo a riformulare il pensiero di fondo, in prima persona: “voglio che l’economia sociale svolga un ruolo principale nel dare forma ai cambiamenti socio-economici di cui abbiamo bisogno”. Insomma, un ingaggio per una parte da attore protagonista, quasi una candidatura agli Oscar e non da comparsa.

Il legame col Pilastro Europeo dei Diritti Sociali

In secondo luogo, un altro aspetto molto importante riguarda la collocazione dell’Action Plan all’interno delle innumerevoli misure che la Commissione Europea promuove. Questo Piano era stato annunciato in un precedente documento, relativo alla implementazione del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali (al cui “rilancio” Secondo Welfare sta dedicando la serie Europa Sociale, ndr). E nel testo ora adottato il punto è chiaramente ribadito: “l’economia sociale è in grado di dare forma ai principi contenuti nel Pilastro Europeo dei Diritti Sociali e assicurare il successo del relativo Piano di Azione del 2021 e degli obiettivi fissati per il 2030”. Questo inquadramento è molto importante, perché ribadisce un tema fondamentale: l’economia sociale non è una nicchia, qualcosa di sfizioso che ogni sistema dovrebbe avere come elemento decorativo, ma è qualcosa che ha a che fare con l’urgenza del ripensamento delle politiche, sociali e non. Si introduce infatti l’idea che la pluralità di istituzioni economiche che perseguono un interesse generale rappresentino un alleato speciale nell’implementazione delle politiche pubbliche, in particolare quelle sociali e industriali. Si è voluto riconoscere una direzione, chiara e non soggetta a interpretazioni di sorta: l’economia sociale è il soggetto che permette di trasformare i costi delle politiche sociali in investimento, attraverso la restituzione di un modello di protezione sociale più forte e moderno, oltre che capace di innovazione.

Condizioni di sviluppo possibili

In terzo luogo, a differenza della Social Business Initiative del 2011, l’Action Plan non contiene misure dirette di policy, proposte in una logica top-down e definite a priori, ma fissa a livello generale alcune linee di azione che la Commissione Europea intende intraprendere nei prossimi due anni: una raccomandazione del Consiglio che getta le basi per lo sviluppo di condizioni di contesto (framework conditions) utili alla crescita dell’economia sociale, una serie di azioni che faciliteranno l’emersione di una più solida cultura relativa all’imprenditorialità sociale, anche in un’ottica di una più facile comprensione da parte del mondo dell’economia sociale delle possibilità che l’Europa le mette a disposizione (EU Social Economy Gateway), e ovviamente, l’adozione di nuovi strumenti finanziari che facilitino la mobilitazione di ulteriori capitali privati a sostegno dell’economia sociale, con il connesso sviluppo di pratiche di misurazione e gestione dell’impatto sociale.

Dare gambe all’ambizione necessaria

Infine, tra le azioni annunciate, e a chiusura della nostra riflessione, vale la pena sottolineare come la Commissione Europea lancerà già nel 2022, o forse anche prima, quella che definisce “transition pathway” per l’ecosistema industriale dell’economia di prossimità e sociale. Una delle tante iniziative? Proprio no. Questo infatti dice molto di come il cambiamento che l’Action Plan per l’economia sociale sembra introdurre è già per certi versi in atto e pronto a dispiegare le vele. Ci ripetiamo, perché il messaggio è fondamentale e rappresenta una opportunità da non lasciar passare: l’economia sociale non è più appena un settore tra gli altri, solitamente marginale o con funzione suppletiva rispetto a fallimenti altrui, bensì è uno dei selezionatissimi ecosistemi industriali su cui l’Europa punta nell’ottica di una nuova generazione di politiche, chiamatele sociali o industriali, poco importa, che darà gambe alla ambizione necessaria per vivere tempi di transizioni e trasformazione.


Questo articolo è stato pubblicato su Corriere Buone Notizie del 14 dicembre 2021 ed è qui riprodotto previo consenso degli autori.