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Ben 332 workers buyout, per un totale di oltre 10.000 posti di lavoro, dal 1985 ad oggi. Forte di questi numeri, CFI ha portato l’esperienza delle cooperative italiane di lavoratori-imprenditori in Europa. O, meglio, a Bruxelles, al centro di un convegno promosso da Cecop, la Confederazione europea delle cooperative industriali e di servizi. 

“Ci sembra possa costituire un utile riferimento per la definizione degli interventi pubblici a supporto della crescita e dello sviluppo delle piccole e medie imprese, cooperative e non”, ha detto Mauro Frangi nel corso dell’incontro, in un intervento intitolato ‘Quasi 40 anni di workers buyout: le lezioni imparate dall’Italia’.

Quarant’anni (quasi) di Wbo in italia

Un workers buyout (Wbo) è un’acquisizione o un salvataggio di un’impresa “convenzionale” da parte dei dipendenti, che per farlo si costituiscono in una cooperativa e investono risorse proprie, come l’indennità di disoccupazione e il Tfr. CFI – Cooperazione Finanzia Impresa è la partecipata del Ministero delle Imprese e del made in Italy che, tra i suoi compiti, ha proprio quello di sostenere Wbo in termini di organizzazione, competenze e anche risorse. 

Sia i Wbo sia CFI arrivano in Italia grazie alla cosiddetta Legge Marcora che, secondo Frangi, è un “modello virtuoso, originale, di successo”, “capace di essere, al tempo stesso, una efficace politica attiva del lavoro e uno strumento di politica industriale e di promozione di nuova imprenditorialità”. 

Mi licenzi? E io ti compro. Come funzionano i Workers Buyout

Il provvedimento, che prende il nome dal senatore Giovanni Marcora, è stato approvato nel 1985, mentre CFI è nata l’anno successivo. A Bruxelles, Frangi ha ripercorso la storia sia del provvedimento, sia dell’organizzazione. Il primo è stato, a suo giudizio, “il principale fattore di successo delle esperienze italiane di rigenerazione di imprese in difficoltà ad opera dei lavoratori, riuniti in cooperativa”; la seconda è stata fondata “per iniziativa di AGCI, Confcooperative e Legacoop – proprio per garantirne l’attuazione e assicurare un rapporto continuativo con le cooperative finanziate”. Inoltre, ha ricordato l’attuale presidente, è stato “uno dei primi progetti unitari del movimento cooperativo italiano ed ebbe, da subito, anche l’adesione delle organizzazioni sindacali”.

Un percorso in evoluzione

All’epoca l’Italia diventa così uno dei primi Paesi Ue a sostenere i Wbo. Ma un decennio più tardi, nel 1996, l’apertura da parte della Commissione Europea di una procedura d’infrazione blocca l’operatività della Legge Marcora, perché giudicata non compatibile con le norme europee su concorrenza e aiuti di Stato

Per alcuni anni il sistema si blocca. Poi, come ha spiegato Frangi, “la legge di riforma, varata dal Parlamento italiano nel 2001, recepisce le intese raggiunte con la Commissione Europea e sviluppa ulteriormente le intuizioni originarie di Marcora, costruendo un modello di intervento ancora più evoluto”. I workers buyout tornano ad essere sostenuti da CFI, si diffondono anche in altri Paesi Ue, come abbiamo visto, e anche il contesto europeo diventa sempre più favorevole all’uso di questo strumento. 

Workers Buyout, la sfida è resistere

Non a caso, nel 2013 il Parlamento Europeo ha indicato la legge Marcora come normativa di riferimento per il trasferimento delle aziende in crisi ai propri dipendenti. Poi, nella legislatura che si va concludendo, i Wbo sono stati inseriti nel più ampio quadro dell’economia sociale, che ha ottenuto una crescente attenzione negli ultimi cinque anni. 

Al convegno di Cecop lo ha ricordato Santina Bertulessi, vice capo di gabinetto del Commissario europeo per il lavoro e i diritti sociali Nicholas Schmit. Bertulessi ha sottolineato l’importanza del nuovo Piano d’azione per l’economia sociale 2021 e l’adozione da parte del Consiglio della Raccomandazione sulla promozione di quadri favorevoli all’economia sociale nell’ottobre 2023. Entrambe le iniziative incoraggiano gli Stati membri a proporre misure concrete per facilitare e sostenere i Wbo.

Esperienze al servizio dell’Europa

In un quadro istituzionale come questo, diventa preziosa l’esperienza dei Paesi più forti nei Wbo, come Italia ma anche Francia e Spagna.

Proprio per questo, nel corso dell’evento di Cecop sono stati presentati esempi positivi di pratiche di sostegno dei workers buyout. Meryem Yilmaz dell’Unione Regionale delle Cooperative Auvergne Rhone Alpes in Francia si è concentrata sulla “fase iniziale di pre-trasferimento” e sull’importanza di sensibilizzare i manager che potenzialmente venderanno la loro azienda nei prossimi anni. Paloma Tarazona ha illustrato i servizi di consulenza, formazione per i lavoratori-soci e accesso al capitale che l’Unione Regionale delle Cooperative di Valencia, in Spagna, svolge per facilitare i Wbo. Per l’Italia invece Denis Cagnin di Legacoop Veneto, infine, ha spiegato come la sua organizzazione assiste i lavoratori dalla fase iniziale dei Wbo e poi nella loro crescita, per ridurre i rischi e aumentare la sostenibilità. 

Workers buyout: il sostegno dell’Europa

Il tema è cruciale. Trattandosi di aziende in difficoltà si potrebbe pensare che i numeri di quelle che falliscono siano elevati e, invece, l’esperienza di CFI dice altro. “Se guardiamo alle 93 imprese rigenerate dai lavoratori cui CFI ha garantito supporto e sostegno nel periodo 2011-2023, colpisce in primo luogo la loro elevata percentuale di successo”, ha detto Frangi. “Pur essendo imprese nate da crisi, talvolta molto profonde, solo 20 di esse (il 22%) ha successivamente interrotto l’attività, ha aggiunto.

Un altro punto fondamentale sono i finanziamenti per le cooperative nate con WBO. Servono dei fondi per farle ripartire, ma servono anche per farle crescere, visto che molto spesso si tratta di aziende manifatturiere, che hanno bisogno di investimenti. Il convegno di Cecop ha, quindi, dedicato un altro momento agli strumenti finanziari per i workers buyout, che sono innanzitutto nazionali, ma che stanno diventando anche europei.  

Il direttore finanziario di CFI Andrea Ruberti, per esempio, ha spiegato che la sua organizzazione collabora con la Commissione Europea per incoraggiare l’ingresso di investitori qualificati nelle imprese sociali più piccole per sostenere i Wbo. Tra l’ottobre 2019 e il novembre 2023, CFI ha finanziato 43 workers buyout grazie alla sinergia con Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) e, in particolare, grazie alle risorse economiche della componente Occupazione e innovazione sociale (EaSI) del Fondo sociale europeo Plus (FSE+). “Anche grazie alle garanzie fornite da Easi, negli ultimi 5 anni il valore netto degli interventi [di CFI] è passato da 53 a 67 milioni di euro”, ha dichiarato Ruberti.  

Numeri su cui riflettere

La presenza di CFI a Bruxelles è stata anche l’occasione per dare alcuni numeri, oltre a quelli già citati da Ruberti e Frangi. Se si considera solo il più recente periodo operatività, dal 2011 ad oggi, CFI ha finanziato e sostenuto 93 Wbo, che impiegano 2.942 persone e sviluppano un volume di affari di 502 milioni di euro, con un investimento complessivo di 49.3 milioni di euro.

Sono numeri grandi. O piccoli. A seconda di come li si vuole giudicare.
Sono piccoli in termini assoluti, ma sono grandi se si considera quel che si è fatto con le risorse a disposizione e quel che si potrebbe fare su scale più ampie. 

Cecop, infatti, ha scritto a conclusione della sua conferenza che “esiste un grande potenziale non sfruttato per il WBO in Europa”. E questo vale sia negli stati dove lo strumento è ancora diffuso poco o per niente sia in quelli come l’Italia dove è radicato, ma potrebbe crescere ulteriormente. 

Secondo Frangi, per il nostro Paese, il tema non è tanto la disponibilità di risorse, quanto i termini previsti dalla legge per sostenere nel tempo le imprese salvate coi i Wbo.

In queste aziende, CFI interviene con una partecipazione di minoranza, nella forma di socio finanziatore, non superiore al valore del capitale sociale, delle riserve patrimoniali e del prestito sociale della cooperativa, nel limite massimo pari al doppio del capitale sociale versato dai soci dell’impresa. La partecipazione è temporanea e va dismessa solitamente entro dieci anni. 

“Non ho mai sentito casi di possibili Wbo che, all’avvio, si incagliano perché mancano le risorse. Piuttosto, credo - prosegue  il presidente di CFI - che la normativa attuale sia un po’ confinata dimensionalmente”. Con questa espressione, Frangi intende dire che, a suo parere, l’investimento al massimo doppio rispetto al capitale sociale e il termine ultimo decennale per restituirlo sono dei limiti che pesano sulla diffusione dello strumento.

Resta da capire come superarli, sia a livello nazionale sia a livello europeo.
Per i
quarant’anni della legge Marcora che si avvicinano, potrebbe essere un buon obiettivo a cui puntare. 



Foto di copertina: Maxime Agnelli, Unsplash