I buoni pasto sono lo strumento di welfare più diffuso tra le imprese italiane. Come vi abbiamo raccontato nei mesi scorsi, in particolare in questi approfondimenti, i buoni pasto sono recentemente tornati al centro del dibattito per via di una nuova norma che potrebbe rivoluzionare il funzionamento del relativo mercato. Il DDL Concorrenza ha infatti introdotto una norma che dal 2026 imporrà un tetto massimo del 5% sulle commissioni che le società emettitrici di buoni pasto possono richiedere a ristoranti, bar e supermercati che li accettano.
Questa novità è importante perché interessa un settore che ha un valore annuo stimabile tra i 4 e i 4,5 miliardi di euro, cresciuto negli anni soprattutto perché questi strumenti sono agevolati fiscalmente dal Legislatore: essi infatti non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente e sono deducibili fino a 4 euro (se cartacei) e a 8 euro (se digitali) al giorno.
A confermarlo il potenziale economico e occupazionale del settore del mercato dei buoni pasto è anche una recente ricerca realizzata da SDA Bocconi per Edenred Italia, che tra le altre cose ha cercato di capire anche cosa succederebbe su la soglia di defiscalizzazione fosse innalzata.
Vediamo insieme questi dati.
Il valore del mercato dei buoni pasto
Lo studio ha voluto, innanzitutto, quantificare il “peso” che il sistema dei buoni pasto ha sul PIL italiano1. Stando alle stime di SDA Bocconi, nel 2023 il mercato dei buoni pasto ha generato un impatto complessivo sul PIL del nostro Paese pari allo 0,75%, di cui lo 0,33% come impatto diretto (legato alle attività delle società emettitrici) e lo 0,42% come impatto indiretto ovvero legato alla filiera di esercizi commerciali e fornitori coinvolti. Si tratta di un trend in aumento, dato che nel 2020 l’impatto sul PIL era dello 0,66%.
Importante è anche il contributo dei buoni pasto alle casse pubbliche. L’IVA generata dai consumi tramite buoni pasto è pari a 419 milioni di euro (nel 2020 erano 295 milioni di euro), mentre le imposte dirette versate dagli esercenti ammontano a circa 45 milioni di euro (nel 2020 erano “solo” 28 milioni di euro). Gli studiosi della Bocconi non forniscono invece dati sulle mancate entrate da parte dello Stato dovute alla presenza di sgravi previsti per i buoni pasto, che sarebbero interessanti da quantificare per avere un quadro costi-benifici più chiaro.
Il mercato dei buoni pasto ha inoltre un impatto rilevante anche in termini occupazionali. Secondo la ricerca il sistema conta circa 220.000 posti di lavoro full-time, di cui 18.000 diretti e oltre 200.000 indiretti. Anche in questo caso si tratta di una tendenza in aumento rispetto agli anni precedenti.
I rischi della monetizzazione dei buoni pasto
La ricerca di SDA Bocconi si è concentrata anche sui potenziali effetti di una monetizzazione dei buoni pasto, un’alternativa da molti considerata più semplice, diretta e vantaggiosa per chi lavora. È infatti un pensiero comune che le risorse che le imprese stanziano attraverso i buoni pasto potrebbero essere più funzionali per i lavoratori e le lavoratrici se diventassero un’integrazione economica della normale retribuzione. I dipendenti avrebbero infatti maggiore libertà di spesa potendo utilizzare le cifre senza vincoli di strumento o luogo di spesa.
I dati indicano però uno scenario diverso. Secondo lo studio, trasformare i buoni in denaro porterebbe però a un impatto negativo sul PIL e sui consumi per circa 4 miliardi di euro, una perdita di 75.000 posti di lavoro e una riduzione dell’IVA incassata pari a 188 milioni di euro. Anche il fatturato degli esercenti secondo i ricercatori della Bocconi subirebbe un calo significativo, stimato in 1,5 miliardi.
Il rischio, dicono gli esperti della Bocconi, è di trasformare un meccanismo circolare che ad oggi incentiva imprese, dipendenti e territori in un semplice trasferimento monetario in busta paga, che difficilmente attiverebbe la stessa rete “virtuosa” di consumi e lavoro. Questo perché, da un lato, i buoni pasto devono per forza di cose essere spesi presso esercenti e commercianti; dall’altro lato, se la stessa cifra venisse erogata dall’azienda al dipendente in forma monetaria non si avrebbe la certezza che queste risorse siano concretamente utilizzate e che, quindi, producano un ritorno per il sistema economico.
Gli effetti di un aumento della soglia di defiscalizzazione dei buoni pasto
Lo studio ha valutato anche gli effetti di un eventuale aumento della soglia di defiscalizzazione dei buoni pasto, ovvero dell’importo massimo giornaliero che può essere assegnato ai buoni mantenendo l’esenzione dalla tassazione. Ad oggi il valore massimo del buono che l’azienda può erogare giornalmente ai suoi collaboratori è di 8 euro per i buoni elettronici e 4 euro per quelli cartacei: al di sopra di queste soglie non è possibile godere dei benefici fiscali previsti dalla normativa.
Secondo la ricerca di SDA Bocconi l’aumento della soglia a 10 euro potrebbe generare effetti positivi su più livelli. In primo luogo potrebbe generare un ritorno pari a 1 miliardo di euro su PIL e consumi; inoltre produrrebbe 300 milioni in più di fatturato per gli esercenti e 25 milioni in più di IVA per lo Stato. Anche in termini occupazionali sarebbero creati 14.000 nuovi posti di lavoro.
La ricerca mostra come i buoni pasto si confermino uno strumento strategico in ottica di welfare aziendale e una leva economica importante per tutto l’indotto che generano. Proprio per questo sarà importante comprendere quali saranno gli effetti della nuova normativa che, come detto sopra, dal 2026 fisserà al 5% il tetto delle commissioni che le società emettitrici possono chiedere agli esercenti che accettano buoni pasto spesi da dipendenti del settore privato2. Secondo ANSEB, l’Associazione Nazionale Società Emettitrici Buoni Pasto, questa novità avrà un impatto molto negativo sul mercato dei buoni pasto, poiché determinerà un minor ricorso da parte delle aziende agli strumenti che rischiano di diventare troppo costosi. Per Fiepet Confesercenti, sigla che rappresenta ristoratori, baristi e altri pubblici esercizi che lavorano coi buoni pasto, invece, sarà una svolta positiva che incentiverà una più ampia accettazione dei buoni pasto da parte degli esercizi commerciali, alimentando un circolo virtuoso in tutta la filiera.
Allo stato attuale appare difficile verificare quale potrà essere lo scenario per il mercato dei buoni pasto a partire dal prossimo anno. Proprio per questo sarebbe utile realizzare studi che permettano di avere stime accurate dei costi e delle ricadute della nuova regolazione delle commissioni. È quindi auspicabile che, anche allo scopo di aiutare il Legislatore, si vadano a realizzare ricerche aggiornate che tengano in considerazione tutti gli aspetti sopra trattati.
Note
- Gli impatti diretti sul PIL e sull’occupazione sono stati calcolati da SDA Bocconi utilizzando le Tavole I/O dell’ISTAT applicate ai ricavi 2023 delle società emettitrici. Le imposte sul reddito societario (i.e., IRES e IRAP) sono state calcolate utilizzando il database AIDA sulla base di quanto versato dalle società emettitrici di buoni pasto. L’IVA è stata stimata utilizzando un’aliquota media del 10% sui ricavi 2023 delle società emettitrici.
- Nel settore Pubblico questo limite del 5% è già previsto.