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Nella giornata di ieri il Decreto Lavoro è stato definitivamente approvato dal Parlamento. Ora è quindi ufficiale: fino al 31 dicembre 2023 ci sarà l’aumento della soglia di defiscalizzazione dei fringe benefit1 a 3.000 euro, ma solamente per lavoratori e lavoratrici dipendenti con figli a carico. Sarà inoltre possibile utilizzare questa somma anche per il rimborso delle utenze domestiche di acqua, luce e gas.

Non è stata dunque passata l’idea – emersa dopo le audizioni alla Camera – di innalzare la soglia a 1.000 euro per tutti e prevedere un “bonus” di 660 euro per ogni figlio a carico, fino a un massimo di tre figli, come vi avevamo raccontato qui.

Di seguito proponiamo una breve riflessione su come il Governo, alla fine, ha scelto di usare il welfare aziendale, attraverso i fringe, per intervenire a sostegno delle famiglie con figli a carico.

Cambiano ancora le regole sui fringe benefit?

La logica di intervento dell’Esecutivo

Se negli anni passati gli aumenti (sempre fatti in corso d’anno e sempre temporanei) della soglia dei fringe benefit sono stati fatti per ragioni soprattutto economiche (per fronteggiare le conseguenze di pandemia e guerra, in particolare sul fronte energetico), la scelta del Governo Meloni è stata differente. L’esecutivo a scelto infatti di “sfruttare” lo strumento del welfare aziendale per sostenere maggiormente gli ha figli.

Questa decisione ci porta a riflettere su alcuni aspetti. Innanzitutto, per le organizzazioni questa scelta di differenziare il trattamento tra i dipendenti che hanno figli a carico e coloro che non li hanno potrebbe essere controproducente, soprattutto perché per le imprese non è facile giustificare – con lavoratori/trici e sindacati – trattamenti differenti (per approfondire) e al contempo organizzare piani differenziati in tal senso. Anche dal punto di vista organizzativo e della rendicontazione, infatti, questa suddivisione richiederà uno sforzo maggiore da parte delle organizzazioni.

Inoltre, una quota troppo elevata di fringe benefit – come, appunto, è quella di 3.000 euro – rischia di disincentivare la costruzione di piani di welfare più complessi e articolati. Con una soglia così alta, per le aziende è molto più facile dare le stesse premialità attraverso buoni acquisto o carburante, che richiedono uno sforzo minore da un punto di vista organizzativo ed economico (vedi sopra). Queste iniziative non hanno però lo stesso impatto di servizi di natura sociale riguardanti la sanità, la famiglia, la cura e l’assistenza.

C’è quindi il rischio che questi buoni siano utilizzati come una “compensazione” della retribuzione, piuttosto che come utile occasione per accedere a servizi di natura sociale.

Welfare aziendale: il Decreto Lavoro alza la quota dei fringe benefit, ma solo per chi ha figli

Andiamo oltre i fringe benefit?

Aggiungiamo che, se da un lato appare sempre più chiara la necessità di prendere una decisione definitiva sulla soglia dei fringe benefit (anche quest’anno si tratta nei fatti di una misura temporanea, valida fino al 31 dicembre, e presa in corso d’anno) dall’altra è evidentemente ancora più importante non limitare il dibattito inerente il welfare aziendale a questo strumento.

In questo senso, appare certamente cruciale la modifica della normativa del welfare aziendale ma cercando di valorizzarne la finalità sociale che da sempre contraddistingue questo settore. Nel nostro Paese, infatti, la normativa prevede vantaggi fiscali per le organizzazioni che fanno welfare aziendale, ma le misure adottate devono in qualche modo rispondere a bisogni sanitari, di cura e assistenziali, o comunque riguardare il benessere in senso ampio (tempo libero e wellness). Cosa che invece non accade con i fringe benefit (che infatti hanno normalmente un quota limitata a 256 euro).

In merito, come Secondo Welfare, abbiamo più volte avanzato proposte in tal senso. Tra queste le più rilevanti sono quelle di

  • incentivare la fruizione di servizi sociali, sanitari e assistenziali (anche, eventualmente, tramite l’utilizzo dei fringe);
  • introdurre nuove voci alla normativa, come la flessibilità, l’orientamento e l’ascolto dei lavoratori per migliorare l’impatto delle misure;
  • valorizzare la dimensione territoriale, prevedendo sgravi e incentivi per le organizzazioni che fanno rete (tra loro e con il territorio) in modo da incentivare (anche) lo sviluppo territoriale grazie al welfare aziendale.

Per conoscere meglio le nostre proposte vi rimandiamo a questo articolo sulle sfide che il welfare aziendale dovrebbe affrontare da qui alla fine dell’anno.

 

Note

  1. Misure che riguardano una vasta gamma di servizi e soluzioni che le imprese possono destinare ai propri dipendenti, godendo di specifici benefici fiscali. Tra le formule più comuni ci sono: card o voucher acquisto da spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online) e i buoni benzina.