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Sono oltre 2,8 milioni e il Covid ha notevolmente peggiorato la loro situazione. Si tratta degli anziani non autosufficienti, ossia coloro che non sono in grado di svolgere da soli le normali attività quotidiane e hanno bisogno di assistenza. Rappresentano il 5% della popolazione e il loro numero probabilmente raddoppierà entro il 2030. All’ultimo minuto, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) si è ricordato di loro, stanziando più di sette miliardi per il periodo 2022-2026. I primi investimenti si stanno definendo adesso. È molto importante muovere nella direzione giusta, anche per preparare il terreno alla riforma complessiva del settore, attesa da tre decenni e ora promessa dal PNRRper il 2023.

Il nodo cruciale è la domiciliarità. Lo strumento più diffuso è oggi l’Adi. Il nome promette bene (assistenza domiciliare integrata), ma di fatto si tratta di prestazioni medico-infermieristiche erogate per brevi periodi, in un’ottica clinico-ospedaliera. Ci sono poi i Sad: i servizi domiciliari dei Comuni, riservati agli anziani non autosufficienti senza risorse. Qui l’ottica è prevalentemente assistenziale e “residuale”: il welfare pubblico subentra quando la famiglia non ce la fa da sola. I Paesi europei più avanzati s’ispirano invece a una terza logica, di natura multidimensionale. Si parte da una valutazione complessiva delle condizioni dell’anziano che ha bisogni molto eterogenei.

Si individuano così i vari fattori di fragilità in relazione al contesto di vita, il tipo e il grado di disabilità, motoria e/o cognitiva. Poi vengono progettate le risposte, combinando diverse modalità di intervento. Si chiama paradigma della long term care, l’assistenza continuativa di lungo periodo. È stato adottato dalle riforme introdotte in Francia, Germania, Spagna e Austria ed è fortemente raccomandato dalla Ue (che invece ha criticato l’Adi, tanto da non includerla nel novero delle politiche dedicate alla non autosufficienza).

Per spingere il governo ad adottare il paradigma corretto, una quarantina di associazioni attive nel settore (dalla Caritas a Cittadinanzattiva, dall’Ordine degli assistenti sociali alla Società italiana di Gerontologia) hanno siglato lo scorso luglio un Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, facendo proprio un piano dettagliato di proposte redatto da un gruppo di esperti. Una iniziativa simile a quella promossa qualche anno fa dall’Alleanza contro la povertà, riferita alla introduzione di uno schema nazionale di reddito minimo garantito.

Muovendo in controcorrente, il governo sembra ora intenzionato a concentrare i primi investimenti del PNRR proprio sull’Adi, depotenziando i servizi dei Comuni. Sarebbero due sbagli in un colpo solo: l’allineamento con il paradigma europeo richiederebbe semmai di far leva proprio sui servizi locali per cambiare il modello di intervento.

È un peccato che non si tenga conto delle dettagliate proposte del Patto e che non si consultino le associazioni firmatarie proprio sui primi passi del nuovo percorso. L’inclusione nel PNRR della riforma complessiva del settore non autosufficienza è figlia della grande attenzione di Speranza (salute) e Orlando (welfare) verso la società civile, in linea con i principi di metodo che la Ue ha raccomandato ai Paesi membri. Se si vuole realizzare bene la riforma, il cantiere va avviato subito, sin dai primi stanziamenti. Altrimenti si minerebbe alle radici il percorso di cambiamento. Per evitare il doppio sbaglio, occorre infatti superare la separazione fra Asl (Adi) e Comuni (Sad), puntando su uno sviluppo complementare di assistenza domiciliare e residenziale e riorientando tutta la filiera di servizi, in modo da poter rispondere a un insieme al ventaglio dci bisogni degli anziani.

La posta in gioco è rilevante e delicata, non può essere lasciate nelle mani delle burocrazie amministrative. Come dicono i tedeschi, si tratta di Chefsache: una materia che va seguita da un ministro. Anzi, da due: quello della salute e quello del welfare. La futura riforma sarà un successo se porterà entrambi i loro nomi. Questo vorrà dire che si saranno create le necessarie sinergie tra due comparti rilevanti del nostro welfare.


Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 16 ottobre 2021 ed è qui riprodotto previo consenso dell’autore.