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In Francia la figura dell’assistante maternelle è presente dal 2005 con l’obiettivo di fornire un aiuto pratico alle famiglie nella gestione dei figli. Queste figure vengono abilitate dal Consiglio di Dipartimento (Ente della Pubblica Amministrazione) che si occupa della cosiddetta agréé, cioè di dare un’approvazione a seguito di un corso di formazione, accessibile senza possedere diploma né laurea. Nello specifico, quello per assistante maternelle è un percorso organizzato e finanziato dal Sistema pubblico che si divide in due macro aree: un’area psico-sociale e giuridica, e un’area protezione e sicurezza dei bambini. Le 120 ore di formazione da svolgere avvengono durante una prima fase detta “Prima di accogliere il bambino”, della durata di 80 ore, dove sostanzialmente si studia la teoria. La seconda, detta “Dopo aver accolto il bambino”, dura 40 ore e avviene a seguito della presa in carico del bambino. Consiste, dunque, in una fase pratica.

Successivamente le assistante maternelle approvate vengono direttamente assunte dalle famiglie e possono curare fino a un massimo di 10 bambini, svolgendo l’attività presso il proprio domicilio o quello delle famiglie che le assumono. Le loro mansioni vanno dal recuperare i bambini a scuola al pulire casa e il loro salario minimo lordo ammonta a 3,18 euro l’ora a bambino. L’abilitazione del Consiglio di Dipartimento dura 5 anni, rinnovabili, e presso i domicili delle assistante maternelle vengono svolti dei controlli a domicilio per valutare aspetti strutturali e igienico-sanitari.

Le assistante maternelle, che in Francia esistono dal 2021, sono quindi persone a cui non vengono richieste competenze specifiche in merito alla psicologia dell’età evolutiva, a aspetti giuridici legati alla responsabilità genitoriale o indicatori di rischio a tutela dei minori. Sono persone “comuni”, formate parzialmente e trasversalmente circa la gestione e l’accudimento primario e pratico dei bambini, che devono sottostare alle indicazioni dei genitori e, ove richiesto, occuparsi anche della cura della casa presso la quale lavorano.

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Possiamo quindi parlare di una sorta di “tate 2.0”, cioè persone con competenze di base ma autorizzate e formate dalla PA per svolgere tali mansioni. L’idea è che le famiglie con bambini per la gestione degli stessi possano rivolgersi a una persona formata e certificata anziché alla vicina di casa o alla cugina. In tal senso l’intervento Statale, oltre a garantire l’aspetto formativo, ha l’obiettivo di stabilizzare contratti precari, contrastare il lavoro irregolare e fornire garanzie alle famiglie.

Cosa intende fare l’Italia

Nel corso del dibattito che ha portato all’approvazione dell’ultima Legge di Bilancio, si è parlato di questa figura anche in Italia, che tuttavia avrebbe avuto un ruolo maggiormente orientato alla cura dei neonati e delle loro mamme. Il Governo l’aveva proposta col nome di assistente materna, per raggiungere due obiettivi: alleggerire il carico sanitario per quanto riguarda le neo-mamme e compensare la rete parentale nella gestione dei figli.

Secondo la proposta dell’esecutivo, l’assistente materna, per diventare tale, avrebbe dovuto seguire un corso di formazione della durata di 6 o 9 mesi e accompagnare la madre fino ai 6 mesi di età del bambino. Per svolgere la mansione di assistente materna non sarebbe servito alcun titolo universitario, ma non è stato chiarito se a queste persone venisse richiesta una formazione di cultura generale fornita a seguito di un diploma.

Per regolamentare la figura, avrebbero dovuto essere approvate delle linee guida nazionali, per poi lasciare stabilire le modalità operative alle Regioni.

Abbiamo usato il condizionale perché, alla fine, il provvedimento non è stato inserito nella Legge di Bilancio, anche in seguito a critiche e polemiche, soprattutto da parte di professionisti del settore socio-sanitario.

In Italia, infatti, esistono già figure professionali come le ostetriche che, in molte regioni, forniscono un’assistenza post partum a domicilio alle neomadri.

Analisi critica sulla fattibilità

I 6 mesi del bambino sono un momento cruciale del processo di separazione – individuazione e spesso concomitante con l’inserimento all’asilo nido, alla ripresa dell’attività lavorativa della madre, la quale potrebbe essere assalita da una fisiologica crisi nel conciliare il lavoro e la vita personale, che comporta, spesso, forti sensi di colpa.

L’inserimento all’asilo nido, laddove avviene, è un altro importante cambiamento per il nucleo familiare che richiede non solo aiuto pratico ma investimento emotivo. Spesso le mamme sono obbligate a procedere con l’inserimento perché sentono la pressione di tornare a lavoro, seppur non si sentano davvero pronte.

In queste fasi sarebbe altresì importante sostenere la parità di genere, garantendo ai bambini una presenza equa e costante di entrambi i genitori, rinforzando le capacità genitoriali e il senso di responsabilità. Questo permetterebbe anche di ridurre il gap esistente sui posti di lavoro, riducendo la possibilità che la donna venga messa di fronte alla scelta “carriera o figli”. Risulterebbe dunque fondamentale prendersi cura della salute mentale della madre attivando interventi rivolti alla coppia genitoriale e in un’ottica sistemica, all’intera famiglia.

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In questo senso la spinta politica verso l’assistente familiare appare interessante, ma poco sensata dal momento che il supporto che dovrebbe garantire verrebbe meno proprio in un momento cruciale in cui potrebbe realisticamente essere utile.

L’assistente materna, come detto, nella proposta presentata dal Governo, avrebbe dovuto concludere il suo “incarico” al sesto mese di età del bambino.

Un altro elemento di criticità del provvedimento, qualora venisse riproposto, è la completa assenza dei padri. L’assistente materna, infatti, si occuperebbe di essere di supporto solo ed esclusivamente della madre, creando così due macro problemi: rafforzerebbe l’idea che l’unica figura genitoriale di riferimento è la donna, ponendo su di lei forti aspettative in merito alla sua performance; non accoglierebbe i segnali di una depressione paterna che si fa largo sulla scia del “non essere sufficienti, non essere utili” al proprio figlio.

Azioni di sistema per i genitori

Se l’idea alla base dell’inserimento di questa nuova figura è seguire l’esperienza di altri Paesi più attenti alle famiglie, come la Francia o alcuni paesi Nordici come la Svezia, è necessario concentrarsi su una serie di azioni di sistema strategiche per supportare i genitori.

In tal senso, al nostro welfare servirebbero misure e fondi per garantire servizi di educazione e cura diffusi e accessibili, contratti lavorativi flessibili per la gestione della vita professionale e familiare, ma anche il contrasto del gender gap.

Ad oggi all’Italia pare mancare tutto il processo scientifico che porta alla creazione di strategie e nuovi interventi socio-sanitari per sopperire alle mancanze del nostro welfare. Questo perché già esistono percorsi a sostegno della co-genitorialità, già esistono professionisti specializzati nel campo, già esistono Servizi Pubblici che dovrebbero garantire un accompagnamento dei genitori sin dai primi mesi di gravidanza. Sono insomma già presenti tutte le risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi che il Governo intende perseguire istituendo l’assistente materna. Che però spesso non sono attivi e/o messi a sistema.

E i bambini?

Occorre poi riflettere su tutti gli aspetti della proposta che riguardano i bambini.

Il nostro sistema sanitario, che vede una crescente partecipazione dei privati, offre una copertura socio-sanitaria precaria ai nuovi genitori, e quindi anche ai loro neonati. Tutto questo principalmente a causa di un esiguo impegno economico destinato all’assunzione di ostetriche, psicologi, assistenti sociali, ginecologi, pediatri, educatori, puericultori ed esperti della relazione tra genitori e tra genitori con il bambino nel periodo perinatale presso i Consultori Familiari.

L’assistente materna creerebbe non solo una sovrapposizione delle competenze e dei ruoli con figure realmente abilitate e preparate appena citate, ma agevolerebbe un rischioso business. Inoltre chiunque potrebbe svolgere questa attività dopo la formazione, sminuendo le competenze educative che esperti e esperte del tema acquisiscono in anni, continuando ad essere considerate capacità che tutti posso avere e che tutti possono praticare.

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Qualora venisse riconsiderata in futuro, quindi, questa nuova figura dell’assistente materna potrebbe, al massimo, far parte di uno dei dispositivi d’intervento disponibili all’interno di un progetto personalizzato sulla famiglia, valutato da un’equipe multiprofessionale e concordato con il nucleo. Diversamente, il risultato ottenuto rischia di essere un forte impoverimento della qualità di vita dei bambini e una sempre più sfiducia negli esperti. Vi è forte necessità di rinforzare le risorse e competenze dei genitori e garantire alla triade un’assistenza professionale, scientifica e di qualità.

La genitorialità è il campo più prezioso e delicato di una società e richiede necessariamente una comprensione professionale e profonda delle interazioni all’interno del nucleo. Lavorando con le famiglie e conoscendone chiaramente le difficoltà, le fragilità, i bisogni e le complessità, chiediamoci in che modo questa nuova figura andrebbe a rispondere, migliorare, il saper stare serenamente all’interno del proprio nucleo familiare.

La differenza sta, forse, nella volontà di investire economicamente e strategicamente su quanto già abbiamo, valorizzando il villaggio che si prende cura di quel bambino.

 

Foto di copertina: Lina Kivaka, Pexels