6 ' di lettura
Salva pagina in PDF

Lo scorso 20 ottobre, presso il Festival FestiValori, è stata presentata la ricerca “Il Terzo settore nello scenario della pandemia. Tra economia e politica”. Il lavoro, a cura di Sandro Busso, Anna Reggiardo e Rocco Sciarrone, è stato realizzato nell’ambito dell’accordo di collaborazione tra il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino e la Fondazione Finanza Etica.

L’obiettivo della ricerca è la ricostruzione del quadro delle trasformazioni del Terzo Settore innescate dalla pandemia di Covid-19, a partire dalle dimensioni politica ed economica. L’orizzonte della ricerca si inserisce in una riflessione di medio periodo che ha lo scopo di delineare alcune linee di trasformazione con radici più profonde, collocando gli effetti della crisi sanitaria ed economica in un più ampio quadro di trasformazioni occorse negli ultimi trent’anni.

La ricerca ha inoltre tenuto insieme il livello nazionale con quello locale. I contesti provinciali di Biella e Foggia, entrambi caratterizzati da una forte presenza del settore non profit, hanno consentito di esplorare come le linee di trasformazione individuate a livello nazionale si declinano nei processi di grana fine dei territori.

L’analisi si è basata su dati statistici di sintesi sul non profit e sull’impatto pandemico, ampia documentazione a partire dalle altre ricerche realizzate sul tema, ed un insieme ad interviste a testimoni qualificati a livello nazionale e nei contesti locali. Qui di seguito sono illustrati i principali risultati.

La pandemia e lo scenario in trasformazione del Terzo Settore italiano

Facendo riferimento al contesto nazionale, la pandemia si inserisce in un quadro più ampio dove altri motori di cambiamento impattano sul mondo del Terzo Settore, tra questi: la crisi post 2008, la riforma di Terzo Settore e le precedenti normative, il PNRR ed altri interventi economici. Abbiamo distinto, sul piano analitico, questi processi tramite due fili rossi: le riforme e le crisi socio-economiche.

Per quanto riguarda il quadro normativo, alcuni temi sono ricorrenti e in rapporto dialettico nelle interviste. La riforma di Terzo Settore da una parte è investita della capacità di rafforzare la crescita del settore e di innescare trasformazioni non solo pratiche ma anche culturali e simboliche, a partire dal riconoscimento del ruolo del Terzo Settore. D’altra parte, è considerata una presa d’atto di trasformazioni già avvenute. Le due prospettive opposte, divise tra speranza e scetticismo, emergono anche nel valutare la portata “rivoluzionaria” dei nuovi istituti di amministrazione condivisa.

Spostando lo sguardo sul secondo filo rosso, la pandemia, come le altre crisi, è stata investita da retoriche diffuse. In primo luogo, la maggior parte delle persone l’ha considerata come un acceleratore di dinamiche già in atto, più che come un momento di cambio degli equilibri. In secondo luogo, le riflessioni si sono soffermate sulle opportunità e i vincoli che portava con sé. In tal senso sembra che, in tempi di crisi, anche grazie alla sua particolare flessibilità, il Terzo Settore riesca a crescere e vedere ampliati i propri spazi. Non è però scontato che questa opportunità si traduca in capitale politico – vale a dire in capacità di orientamento delle politiche sociali. Per quanto riguarda i vincoli già esistenti ma evidenziati dalla pandemia, si possono segnalare le difficoltà affrontate da tante organizzazioni, per via della discontinuità e temporalità limitata di forme di finanziamento legate a progetti.

Pur non essendo possibile una lettura univoca degli effetti della pandemia, ciò che abbiamo riscontrato è che lo “stress-test” della pandemia ha restituito un Terzo Settore caratterizzato dall’aumento delle disuguaglianze e dell’eterogeneità al suo interno – in continuità con quanto osservato in passato. Non solo per quanto riguarda le note differenze territoriali, specialmente tra le realtà del Mezzogiorno e quelle del Centro e del Nord, ma anche in termini di modalità di finanziamento e accesso alle risorse, aspetto legato spesso alla dimensione organizzativa: le organizzazioni meno strutturate e più piccole hanno sofferto maggiormente.

La pandemia ha innescato, inoltre, processi di forte polarizzazione che hanno inciso sull’identità e le rappresentazioni del Terzo Settore. Se diverse organizzazioni hanno visto finalmente riconosciuta l’importanza del loro ruolo nella governance territoriale proprio grazie alle “luci” della pandemia, contemporaneamente molte si sono sentite nuovamente schiacciate su un ruolo supplettivo, emergenziale, di servizio. Le rappresentazioni del Terzo Settore si sono orientate agli estremi di questi due poli, una semplificazione che non a tutti è gradita: sia nel caso in cui il Terzo Settore sia stato investito dalle critiche di lentezza e incompetenza tipicamente attribuite al pubblico (come nel caso delle criticità per le persone residenti e lavoratrici nelle RSA), sia nel caso in cui si sia intravista la possibilità di un ritorno a una sua immagine eroica e “buonista”, ma dimentica delle difficoltà e delle perdite.

Il caso Biella: un progetto a “più voci” tra stabilità e ricerca di una nuova identità

Il Terzo Settore in provincia di Biella è stato individuato dal mondo imprenditoriale e filantropico come uno dei driver principali della reinvenzione dell’identità biellese. Infatti nel distretto biellese la crisi del settore manufatturiero ha portato con sé l’allontanamento dei giovani, la crescita dell’invecchiamento, un progressivo smantellamento delle vecchie infrastrutture legate all’apparato industriale e un conseguente isolamento territoriale. In questo contesto, Biella ha messo in atto diverse strategie per non perdere la propria identità territoriale ri-orientandosi maggiormente su attività turistiche di prossimità e sulla valorizzazione del territorio in chiave di sostenibilità ambientale e sociale.

Il territorio è caratterizzato da una solida collaborazione tra Terzo Settore, imprese e pubblica amministrazione, che l’impatto della pandemia ha rafforzato. In questo contesto il settore pubblico, sebbene sia inserito in questa stessa rete di attori, non è percepito – e non sembra percepirsi – come il detentore principale del ruolo d’indirizzo politico: è visto – e si vede – come un partner ma non come promotore e regista di iniziative e attività. È quindi piuttosto evidente la composizione di un “settore pubblico allargato”, dove un ruolo forte di indirizzo è rivestito dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella.

Questo “progetto a più voci” si è ulteriormente attivato durante l’emergenza della pandemia, considerando questa situazione come un’opportunità per rafforzare le reti esistenti, favorito in ciò dal ricco bacino di risorse pubbliche e private a disposizione del Terzo Settore biellese, garantite dalla Fondazione CRB e da altri attori filantropici e imprenditoriali. Uno dei risultati di questa collaborazione è stato per esempio l’avvio dell’Osservatorio OsservaBiella (progetto a cui collabora anche il nostro Laboratorio, ndr) che riflette uno storico orientamento del Biellese alla raccolta di informazioni sul territorio tramite indagini e osservatori.

In questo bilancio è significativo evidenziare che la stretta coesione fra gli attori presenti è vissuta con difficoltà da parte degli attori più marginali nella rete, e restituisce l’immagine di un territorio che tende alla chiusura e fatica a cambiare gli equilibri preesistenti, anche in occasione di eventi potenzialmente disorientanti come il momento pandemico o la riforma di Terzo Settore. In conclusione, la forza del Terzo Settore biellese è quella di trovarsi in uno spazio bene attrezzato, sebbene in fase di ricostruzione, proprio di un territorio molto forte nella volontà di mantenere la propria autonomia identitaria.

Il caso Foggia: la volontà di riconoscimento del Terzo Settore in uno scenario conflittuale

Il Terzo Settore foggiano si inserisce in un contesto problematico, per via della presenza delle mafie, del forte fenomeno del caporalato e di numerosi commissariamenti di Comune, nonché di un contesto socio-economico difficile. In questo quadro si è definito un Terzo Settore che si attiva prevalentemente in risposta alle emergenze – a partire da quelle ambientali, come gli incendi, a quelle sociali ed economiche come mafia e caporalato, e naturalmente sanitarie, come la pandemia. Questo Terzo Settore, una volta rientrate le emergenze, rimane attivo perché si sviluppa in un contesto tendenzialmente privo di preesistenti punti di riferimento. Il Terzo Settore inoltre è uno dei pochi attori che riesce a supplire a un mercato del lavoro molto debole, che colpisce in particolare i giovani.

Le istituzioni hanno un ruolo molto fragile, quasi assente. Per questa ragione nei loro confronti si percepisce una forte sfiducia, che non viene temperata dall’insediamento della gestione commissariale di molti comuni: questo viene considerato come un “annichilimento” dei comuni che ne sono interessati, e acuisce la percezione di distanza della cittadinanza dalle istituzioni. Ciò è particolarmente problematico se si considera che il rapporto con il settore pubblico rimane l’unico punto di riferimento, in assenza di altro, sia in termini di indirizzo politico, sia di risorse.

Nella città di Foggia l’assenza di un punto di riferimento nell’attore pubblico e il rapporto conflittuale con i commissari ha comportato un rafforzamento della rete associativa che si è compattata nella volontà di dare risposta alle emergenze. In generale però il Terzo Settore si inserisce in una provincia frammentata, che fatica a fare sistema, e trova alleanze solo con la filantropia (in particolare la Fondazione Monti Uniti di Foggia), l’Università e il sistema scolastico, mentre la politica è vissuta come “antagonista”.

In molti ripongono speranze nelle nuove opportunità di coprogettazione e coprogrammazione prospettate dalla riforma. Ci sono alcune realtà virtuose in questo senso, anche se spesso queste speranze si scontrano con la realtà di un contesto dove manca l’interlocutore con cui costruire una amministrazione condivisa.

L’importanza dell’infrastrutturazione dei territori e i tempi lunghi del cambiamento

La riflessione conclusiva del lavoro si sofferma su un nodo specifico: nessuno scenario, per quanto inedito, implica una profonda ridefinizione del sistema. Per valorizzare le opportunità aperte dalla congiuntura attuale – tra crisi, riforma e nuove risorse – sono necessari un’infrastruttura adeguata e tempi lunghi. Ciò comporta considerare nel quadro delle trasformazioni del Terzo Settore anche le trasformazioni del settore pubblico. In tal senso, la prospettiva situata della ricerca ci ha permesso di ragionare sull’importanza dell’infrastrutturazione dei territori in termini di risorse economiche e immateriali, radicamento territoriale, configurazione delle reti, qualità degli assetti istituzionali. Le geometrie possono essere moltissime: abbiamo visto due casi molto diversi, entrambi caratterizzati da un pubblico “debole” e un Terzo Settore “forte”. I punti di forza e debolezza di entrambi evidenziano tanto l’importanza della costruzione di reti aperte e allargate quanto la necessità di investire in spazi di partecipazione reale e non ritualistica: non è sufficiente una logica di coordinamento fra gli attori, spesso fondata sulla mera spartizione delle risorse, ma logiche di cooperazione che la sola normativa (o la pandemia) non può innescare.

Foto di copertina: Roger Bradshaw, Unsplash.com