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L’articolo che segue è parte di “Andare a fondo della conciliazione”, dispensa che raccoglie approfondimenti tematici per i partecipanti del modulo formativo ““RTC e nuove logiche per innovare i servizi locali: il ruolo delle Alleanze” realizzato da WorkLife Community.

Proprio grazie alla sua capacità di rivedere ed innovare le relazioni tra enti locali e del Terzo Settore, la coprogettazione (che sarà al centro del Sesto Rapporto sul secondo welfare, ndr) rappresenta un’opportunità per favorire un maggiore coinvolgimento di questi ultimi nella formulazione di servizi a supporto delle esigenze di conciliazione vita-lavoro – non solo in qualità di meri produttori, ma anche come corresponsabili del loro sviluppo.

Grazie alla loro diffusione capillare sul territorio e a un contatto più diretto con la domanda, infatti, gli enti del Terzo Settore si configurano come le realtà maggiormente in grado di ricomporre i bisogni delle famiglie e l’offerta di servizi disponibili sul territorio. Se ciò da un lato favorisce una maggiore efficienza nella mappatura territoriale delle continue evoluzioni della domanda e dell’offerta, dall’altro promuove l’adozione di una prospettiva condivisa ed innovativa verso lo sviluppo di nuovi e più efficaci servizi di conciliazione, sempre più al passo e coerenti con le esigenze della cittadinanza.

Per riflettere meglio del tema, vediamo insieme che cos’è la coprogettazione e quali sono i principali passaggi socio-normativi che la riguardano.

Coprogettazione e coprogrammazione: di cosa parliamo

Da tempo considerata la soluzione ai mali della burocrazia (rectius: le gare) dagli addetti ai lavori (auto)considerati più innovativi, il protagonismo della coprogettazione è addirittura esploso da quando è stata recepita nel codice del Terzo Settore divenendo così istituto giuridico e non più solo un “processo” riservato “ai più coraggiosi “.

Assistiamo, in effetti, a un crescendo di iniziative – dai dibatti pubblici ai regolamenti comunali – orientate ad aumentare la consapevolezza del valore trasformativo di questa che, a ragione, può considerarsi tra le innovazioni più interessanti seguite alla rivoluzione del sistema dei servizi sociali locali rappresentata dalla legge 328 del 2000. La coprogettazione, però, non deve essere considerata un semplice esercizio di “innovazione amministrativa”, ma (proprio in scia allo spirito della 328) come uno strumento prezioso per promuovere una convergenza reale intorno ad obiettivi d’interesse generale tra soggetti con caratteristiche e ruoli differenti.

La coprogettazione in pratica: come si possono costruire servizi e interventi

La coprogettazione, peraltro, non può non essere letta congiuntamente alla coprogrammazione. Mentre quest’ultima consiste nell’individuazione dei bisogni da soddisfare e dei conseguenti interventi necessari, delle modalità di realizzazione e delle risorse disponibili (art. 55 Codice Terzo Settore), la coprogettazione riguarda la definizione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni ben definiti, proprio grazie anche alla coprogrammazione.

Va inoltre sottolineato che la forza di questa innovazione sta anche nel fatto che essa non è appannaggio esclusivo dei segmenti di tradizionale interesse dei servizi sociali, già destinatari di una disciplina ad hoc nel vecchio codice degli appalti. Al contrario, entrambi questi strumenti hanno la potenzialità di coinvolgere tutte le amministrazioni pubbliche in tutti i “settori di interesse generale” e non solo quindi quelli tipicamente legati al welfare (sociale o sociosanitario).

Il ruolo del Terzo Settore

Fin qui si è assistito alla diffusione di pratiche collaborative sulla scia delle previsioni dell’art. 55 del Codice del Terzo Settore soprattutto nell’ambito della coprogettazione, meno, molto meno in quello della coprogrammazione – e le motivazioni possono essere molte. Di sicuro, la coprogettazione si presta ad essere usata nell’immediatezza delle “cose da fare insieme” e nella praticità che consente di ottenere rapidamente i risultati e, auspicabilmente, gli esiti positivi della collaborazione. Se invece guardiamo la linea evolutiva dei Piani di Zona nei due decenni passati, la programmazione   sembra essere stata mortificata e ciò, probabilmente, anche per la diminuzione delle risorse economiche a disposizione dei sistemi di welfare (si pensi a titolo di esempio alla sorte del Fondo Nazionale Politiche Sociali che è passato dai 1.884 mln del 2004 ai 344 del 2013) sia sul fronte nazionale che locale e, dunque, lo schiacciamento dei servizi sulle urgenze con un marcato approccio prestazionale..

Anche il Terzo Settore è stato coinvolto nell’ubriacatura competitiva prestazionale, enfatizzando così il proprio ruolo gestionale e, di conseguenza, mostrando un interesse insufficiente a svolgere un proprio ruolo nelle fasi programmatorie. Non senza alcune rimarchevoli eccezioni.

Tutto ciò ha portato ad una diffusa caduta di interesse nei confronti della programmazione, che si è tradotta – in alcuni territori – nella marginalizzazione degli strumenti ad essa correlati. Nonostante ciò, la programmazione resta una fase fondamentale e delicata poiché attraverso di essa, infatti, si è chiamati a fare delle scelte cruciali – come, ad esempio, allocare risorse e decretare che un certo bisogno è più urgente rispetto ad altri (e di conseguenza alcuni interventi sono, per quanto utili, non prioritari). Se da un lato la programmazione comporta senz’altro ascolto, confronto e condivisione; dall’altro comporta anche scelte, non sempre semplici e anzi molto impegnative. Anche per questi motivi, dunque, la coprogrammazione non può essere disgiunta dalla corresponsabiltà.

Il Terzo Settore e le sfide dello sviluppo sociale

Nel processo di programmazione è necessario inserire punti di vista inediti e non riconducibili solo a quelli istituzionali dei servizi, integrando – in primo luogo – le visioni e le priorità dei destinatari dei servizi entro un quadro organizzativo che non risponda esclusivamente a standard e prescrizioni, un sistema permeabile al cambiamento. Questi elementi ci inducono a pensare che, né dal punto di vista dell’Ente Pubblico, né del Terzo Settore, la coprogrammazione possa essere improvvisata o estemporanea, ma che – al contrario – richieda scelte organizzative non scontate, energie e assunzione di prospettive culturali “inedite”.

Del resto, la riforma del Terzo Settore, richiamando il principio di sussidiarietà affermato dall’art. 118 della Costituzione come richiamato dalla brillante sentenza n. 131 della Corte costituzionale 131/2020), ha posto le basi per costruire questa relazione tra pubblico e Enti del Terzo Settore (ETS), configurando il complesso degli ETS come “enti privati che promuovono e realizzano attività di interesse generale” e, dunque, con una finalità analoga a quella della pubblica amministrazione, indipendentemente dal modo di operare che li caratterizza. L’art. 55 del Codice del Terzo Settore, in particolare, ha contribuito in modo decisivo ad una svolta nelle relazioni tra Enti Pubblici e Terzo Settore, dovendosi intendere questi ultimi non più come soggetti contrapposti, bensì come alleati.

L’atteggiamento della Pubblica Amministrazione

Assumendo come sfondo questa visione, la coprogettazione rappresenta per la Pubblica Amministrazione una strada privilegiata per co-creare soluzioni comunitarie orientate ad un interesse generale attraverso un metodo collaborativo e contributivo. Non è infatti lo scambio fra due istituzioni (PA ed ETS) il cuore della collaborazione, ma il beneficio da apportare alla comunità.

La coprogettazione, del resto, sposta il fuoco dal governo alla governance e pone l’accento sulla qualità dei processi deliberativi: una visione delle politiche pubbliche che non si legittima, dunque, sull’esercizio del potere e della gerarchia, ma nel confronto e nella valorizzazione degli apporti di ciascun attore. Ciò è possibile anche perché il Terzo Settore è forte della sua reputazione sociale, della capillarità e di una profonda conoscenza dei territori. Diversamente, la coprogettazione rischia di diventare solamente l’aggregazione di servizi in funzione di un “welfare à la carte”, di cui i cittadini non hanno veramente bisogno.

Ma non possiamo nascondere che la strada della co-progettazione è lunga e spesso poco lineare: sedersi a un tavolo per pianificare un piano operativo in grado di rispondere a un bisogno implica mettersi in gioco, sviluppando una grande capacità di adattamento per trovare la strada che metta tutti insieme. Per questo motivo, all’interno dei tavoli di coprogrammazione è importante effettuare: i) una lettura dei rischi, ii) una lettura dei bisogni, e iii) una definizione degli obiettivi di benessere da perseguire.

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Si aprono, così, due strade possibili.

Con la prima, a seguito della lettura dei rischi e dei bisogni effettuata, l’Ente Pubblico può ritenere (in autonomia) di costruire un sistema di risposte in partnership con il Terzo Settore e, di conseguenza, assumere una determinazione a coprogettare. Nel secondo caso, sempre in seguito della lettura dei rischi e dei bisogni (fatta con la PA o autonomamente), uno o più enti del Terzo Settore presentano all’Ente Pubblico una proposta corredata dalla documentazione ritenuta utile per chiedere l’attivazione di una procedura di coprogettazione in relazione ad un intervento e/o un servizio socio-assistenziale. Una volta presentata la richiesta, l’Ente Pubblico la valuta e, se non infondata e in linea con il proprio interesse, ne dichiara la Pubblica Utilità per poi assumere una determinazione a coprogettare.

Risulta importante sottolineare che “L’individuazione degli enti del Terzo Settore da coinvolgere nel partenariato dovrà avvenire attraverso procedimenti ex art 12 della legge n.241/1990, rispettosi dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento” (d.lgs. 117/2017, art. 55). L’avvio della coprogettazione, infatti, prevede un confronto con i partner sulle proposte ricevute e l’eventuale definizione di una proposta unitaria, la stesura di un progetto dettagliato e del relativo piano finanziario e cronoprogramma, nonché la definizione dell’assetto organizzativo dell’intervento e/o del servizio e del sistema di monitoraggio e valutazione.

Pubbliche Amministrazioni e Terzo Settore tra competizione e collaborazione

Una volta selezionato il progetto definitivo si procede alla stipula dell’accordo di collaborazione o convenzione con il/i soggetto/i selezionato/i (d.lgs 117/2017, art. 56 se si selezionano organizzazioni di volontariato o associazioni di promozione sociale). La convenzione sarà poi soggetta a tre tipi di verifiche: la verifica dei risultati, ossia una verifica di efficacia ed efficienza della progettazione rispetto al perseguimento dei risultati attesi, secondo le metriche definite insieme in fase di coprogettazione; la verifica della rendicontazione o di congruità e coerenza delle spese sostenute dai partner rispetto alle finalità dell’accordo e al progetto presentato; infine, la verifica del progetto, cioè una valutazione complessiva dello stesso, sia in termini di output rispetto ai risultat che di outcomes, ma anche in termini di qualità delle dinamiche processuali.

 Verso un maggiore sostegno ai bisogni

La riforma del Terzo Settore, riconoscendo “il valore pubblico” (e non solo la funzione pubblica) degli ETS, ha ripristinato il primato dei processi di co-creazione rispetto a quelli di “gestione ed esternalizzazione” delle Istituzioni – un riconoscimento che deve potersi tradurre in relazioni e processi coerenti.

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Se assumiamo questa visione come premessa, la coprogettazione diventa per la Pubblica Amministrazione la strada privilegiata per co-creare soluzioni comunitarie orientate ad un interesse generale attraverso un metodo collaborativo e contributivo. Per il Terzo Settore, invece, rappresenta un’opportunità importante per diventare protagonista e corresponsabile anche degli interventi conciliativi del territorio.  Spesso, infatti, grazie alla sua diffusa presenza capillare e al suo contatto diretto con le persone e i servizi del territorio, è in grado di percepire ben prima del settore pubblico le nuove esigenze della sua cittadinanza.

Questo è particolarmente evidente nei casi in cui gli ETS sono coinvolti nella gestione di attività e servizi conciliativi dedicati a minori e persone non autosufficienti: soprattutto quando tali interventi hanno a che vedere con la disabilità sono proprio gli enti del Terzo Settore ad intercettare per primi il “sentire comune” delle persone in carico e delle loro famiglie. In uno scenario simile, il lavoro dei tavoli di co-progettazione non dovrebbe perdere l’importante punto di vista rappresentato dagli ETS, ma valorizzarlo affinché gli output possano uscirne arricchiti anche in termini di innovazione dei linguaggi e non solo di (co)progettazione.

 

Per approfondire

AA.VV. (2022). I rapporti tra gli enti pubblici e Terzo settore alla luce dell’Art. 55 del codice del Terzo settore, Cantiere Terzo Settore, 3 Febbraio 2022

Bongini, A., Di Rago, P. I., Semeraro, S. e Zandrini, U. (2021). La co-programmazione ex art. 55. Connessione e coordinamento con gli istituti programmatori delle autonomie locali, Impresa Sociale Rivista, n. 2/2021, pp.49-56.

Elevati, C. (2021). Co-progettazione e infrastrutturazione sociale: un legame indissolubile, Info-cooperazione.it, 22 settembre 2021.

Venturi, P., e Zandonai, F. (2021). La co-progettazione deve essere la punta più avanzata delle politiche pubbliche “guidate dallo scopo”, Vita.it, 6 dicembre 2021.

 

Foto di copertina: Brands&People, Unsplash.com