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Continuano gli approfondimenti a cura del gruppo di ricerca di WePlat, progetto che sta studiando le piattaforme di welfare italiane. Dopo gli articoli su processo di mappatura, mancata uberizzazione, designreputazionescalabilità e sfide parliamo del ruolo degli utilizzatori delle piattaforme.

L’approccio alle piattaforme digitali come tecnologie che seguono un itinerario di evoluzione coerente e lineare è stato ampiamente messo in discussione dagli studi sociali sulla scienza e la tecnologia in dialogo con la letteratura sulla comunicazione dei media digitali e gli studi culturali. L’evoluzione delle piattaforme digitali si presenta il più delle volte come un percorso fatto di traiettorie non lineari, di diramazioni, vicoli ciechi, scorciatoie e cambi di direzione. Questo consente di adottare uno sguardo capace di osservarle come il risultato di processi storici e sociali che non si possono intendere se non guardando all’insieme di attori che vi fanno parte superando la divisione dicotomica che contrappone spesso gli inventori da una parte e gli utilizzatori dall’altra.

Le piattaforme digitali come co-costruzione

Secondo questa letteratura le tecnologie – anche quelle della comunicazione – sono il risultato di un processo di co-costruzione in cui gli utenti assumono un ruolo attivo appropriandosi della tecnologia per poi rielaborarne usi e significati in un processo continuo di feedback che passa attraverso le dinamiche tipiche delle piattaforme digitali come, ad esempio, le recensioni, ma anche survey interne sulla qualità del servizio offerto per indagare la soddisfazione degli utenti. Il processo di co-costruzione, in particolare, può essere descritto attraverso due concetti: quello di addomesticamento e quello di appropriazione.

Addomesticamento

L’addomesticamento evidenzia l’idea che gli oggetti della comunicazione, al pari degli animali che vengono addomesticati per essere inseriti in contesti familiari, sono immersi in un processo di addestramento che li rende concretamente introducibili nelle routine della vita quotidiana. Questo presuppone un lavoro simbolico e pratico da parte dell’utente: un lavoro simbolico per cui le persone trasformano e negoziano le conoscenze e i significati inscritti nelle tecnologie, ma allo stesso tempo un lavoro pratico attraverso il quale le tecnologie prendono posto, fino a darle per scontato, all’interno di routine e pratiche quotidiane.

È così che, riportando il concetto alla nostra ricerca, a seguito dello scoppio della pandemia di Covid-19 molte piattaforme di welfare sono state ridisegnate per rispondere alle nuove domande che provenivano dagli utenti che imparavano a sperimentare una quotidianità pandemica attraverso la mediazione digitale. Le piattaforme hanno quindi vissuto una nuova fase di addomesticamento da parte di utenti che, confinati nelle loro case, imparavano a vivere digitalmente modelli lavorativi, sociali e di cura configurando nuove pratiche organizzative della vita sociale.

A seguito di tale spinta, le piattaforme digitali e di welfare hanno fatto proprio l’obiettivo di innovare l’erogazione di alcuni servizi come la spesa a domicilio online, oppure evitare lunghe file agli uffici pubblici, o ancora la necessità di ripensare le pratiche sociali per garantire il distanziamento fisico sia negli studi di medici e professionisti sia davanti agli sportelli degli uffici pubblici. Anche la semplice regola che vige tra gli sviluppatori di piattaforme e servizi online del “sistema in 3 clic”, in base al quale l’utente se non arriva al risultato della sua ricerca in tre semplici passaggi abbandona l’acquisto o la procedura di registrazione, è una risposta alle pratiche di addomesticamento degli utenti che incorporano le tecnologie all’interno di significati che presuppongono immediatezza e velocità.

Appropriazione

Il concetto di appropriazione aggiunge la questione delle asimmetrie di potere al processo di co-costruzione delle tecnologie mettendo in luce le attività innovative che possono provenire da gruppi sociali posizionati fuori dai centri di potere. Quando la tecnologia si diffonde nei contesti d’uso quotidiano, essa viene re-interpretata, adattata e a volte reinventata dagli utenti.

Il concetto di appropriazione si riferisce a questa continua circolazione degli oggetti tecnologici tra produttori e consumatori, rendendo il ruolo degli utenti non meno importante di quello di ingegneri, sviluppatori e imprenditori. In altre parole, si guarda all’uso concreto delle forme di consumo delle tecnologie della comunicazione per evidenziare il ruolo attivo degli utenti nei processi di cambiamento dei media digitali anche attraverso forme di resistenza.Lo smartphone può aiutarci a chiarire meglio i concetti di addomesticamento e quello di appropriazione come due processi che si compenetrano e si sovrappongono.

Mentre l’addomesticamento si evidenzia nel processo che ha trasformato lo smartphone da oggetto tecnologico sconosciuto a estensione del corpo, fino a darne per scontato i suoi usi in molteplici attività quotidiane, l’appropriazione si manifesta nelle asimmetrie di potere che si co-costruiscono nelle relazioni di cura. E quindi come ricorda il famoso motto “There’s an app for that” di Steve Jobs siamo immersi in un processo in cui il welfare e la salute pubblica assorbono le logiche di piattaforma digitale grazie alle quali possiamo trovare un/a baby-sitter o un/a psicoterapeuta comodamente dal divano.

La materialità delle piattaforme digitali

Le piattaforme digitali funzionano all’interno di un’ecologia tecnologica in cui troviamo applicazioni web e mobile che cambiano interfaccia e uso in base al dispositivo utilizzato, il quale impone, a sua volta, determinati vincoli materiali.

La materialità è un’altra questione oggetto di riflessione da parte degli studi sociali sulla scienza e la tecnologia. Adottare una simile prospettiva sottolinea l’importanza di non guardare solo agli aspetti più culturali delle tecnologie, ai significati che gli attori umani costruiscono attorno agli usi della tecnologia, ma impone di pensare anche agli aspetti più materiali che includono quindi anche le caratteristiche tecniche delle infrastrutture digitali che le sostengono.

L’aggiornamento dei device mobili, un cablaggio Internet stabile, i server, la corrente elettrica, la durata della batteria sono solo alcuni esempi in grado di restituire l’idea delle tecnologie come artefatti concreti e materiali, dotati di particolari caratteristiche fisiche e funzioni tecniche, che, oltre ad allargare le barriere fisiche, costringono lo sguardo entro i confini dello schermo, come nel caso della psicoterapia online ad esempio, che impone anche delle riflessioni di carattere epistemologico sul metodo terapeutico da adottare nella pratica online.

Gli utenti e il welfare delle piattaforme

Appropriarsi delle logiche delle piattaforme per erogare servizi di welfare consente alle istituzioni pubbliche di collaborare con soggetti privati per sfruttare al meglio le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Questa ibridazione tra pubblico e privato deriva dal ridimensionamento della spesa sanitaria e sociale e da politiche di welfare dove la parola d’ordine è promuovere un empowerment individuale nella costruzione di stili improntati a una concezione olistica di “ben-essere”.

Per effetto di questa impostazione i servizi territoriali pubblici sono però sovraccarichi e i criteri di accesso molto stringenti limitano le possibilità di fruizione da parte degli utenti che, nelle interviste realizzate nell’ambito del progetto di ricerca Weplat, dichiarano di fare uso delle piattaforme per evitare lunghe code per iscrivere il proprio/a figlio/a al nido o a centri estivi, oppure per evitare la fatica del passaparola per cercare un/a badante, o ancora per la comodità di prenotare visite mediche specialistiche (o accedere a video-consulti) online. Ma allo stesso tempo presupporrebbero utenti alfabetizzati agli usi delle tecnologie della comunicazione, che abbiano, quindi, competenze informazionali, legate alla capacità di cercare, selezionare e processare le informazioni, e competenze strategiche, legate alla capacità di usare le tecnologie della comunicazione più opportune in base agli obiettivi prefissati.

Se, come emerge dalla nostra ricerca, le piattaforme di welfare offrono possibilità d’azione, concedono dei vantaggi, presentano dei divieti e impongono degli obblighi, andando oltre la questione del mero accesso, è necessario interrogarsi su che cosa fanno le persone e cosa sono capaci di fare quando si connettono a Internet, in un processo di piattaformizzazione del welfare che prende forma dall’indebolimento del welfare pubblico. Da questo punto di vista l’emergere e il progressivo strutturarsi del secondo welfare all’interno del quale operano soggetti privati di varia natura come Terzo Settore e imprese sociali può rappresentare una variabile significativa nel sostenere il ruolo attivo esercitato dagli utenti nei processi di co-costruzione delle relazioni tecnologiche e sociali mediate dalle piattaforme.

 

Foto di copertina: Polina Zimmerman, Pexels