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Sono orgoglioso di poter affermare, senza tema di smentita, che la tematica della non autosufficienza è da annoverare tra i “cavalli di battaglia” degli ormai oltre 35 anni di attività di Assoprevidenza, l’Associazione Italiana per la Previdenza Complementare, centro tecnico nazionale per la previdenza privata di secondo pilastro, vuoi pensionistica vuoi assistenziale.

Rammento come la mission scelta dall’Associazione abbia valenza esclusivamente tecnica, senza nessuna volontà di rappresentanza politica sindacale del Settore. Essa si fonda, peraltro, su di un unico ma fermo assunto “ideologico”: l’essere un’entità “per”, nettamente schierata, quindi, in favore dello sviluppo della previdenza complementare.

Nella nostra visione, i piani pensionistici e assistenziali di secondo pilastro rappresentano una realtà privata necessaria, da giustapporre a un solido sistema pubblico di protezione di base. La qual cosa, nel radicato convincimento dei fondatori, tra cui chi scrive, che la previdenza complementare, intesa in senso omnicomprensivo, sia una componente chiave per lo sviluppo di un moderno sistema di welfare, sostenibile e, quindi, sicuro, nel lungo e lunghissimo periodo, un sistema in grado di rispondere adeguatamente, nel suo complesso, ai bisogni di coperture dei lavoratori e, più in generale, dei cittadini.

Il Focus di Secondo Welfare sulla Long Term Care

Ci stiamo occupano sistematicamente della riforma del sistema della non autosufficienza. Lo facciamo pubblicando ogni settimana articoli e interviste che aiutino a capire meglio le diverse questioni che riguardano la Long Term Care. Sono tutti qui.

La genesi della mission di Assoprevidenza

Alla luce di quanto ho appena accennato, la storica attenzione nei riguardi della tematica della Long Term Care (LTC) fu conseguenza si potrebbe dire automatica, indotta e suffragata da solide motivazioni tecniche. La principale – evidente sin dalla fine degli anni ’80 del secolo passato – era di carattere demografico: la spiccata, felice vocazione della popolazione italiana nei riguardi dell’incremento della capacità di invecchiamento.

Le prospettive di generalizzato, significativo, allungamento della vita ci sembravano un fenomeno (in parallelo a quello, opposto, della denatalità) a cui prestare una specifica attenzione, anche solo muovendo dalla banale osservazione, che gli antichi avevano scolpito nel noto adagio: “Senectus ipsa morbus“, la vecchiaia è di per sé una malattia. Questo, tanto più nel contesto di un irreversibile processo di disgregazione della famiglia tradizionale, la quale, va ricordato, ancora nei primi decenni del secondo dopoguerra, accanto alle entità di natura caritatevole, era il principale luogo di assistenza degli anziani fragili e dei portatori di altre situazioni di disabilità, non dipendenti dalla mera iper-senescenza.

Nei primi anni di attività di Assoprevidenza, la spinta verso una specifica attenzione per il problema delle coperture di LTC risultava rafforzata anche dall’acquisita conoscenza di esperienze di altre nazioni, conseguita con la partecipazione a consessi internazionali e con le collaborazioni intrecciate con realtà tecniche di altri paesi europei. Queste ultime sfociarono, nel 1996, nella costituzione – essendo l’Associazione tra i quattro fondatori – dell’AEIP (Association Européenne des Institutions Paritaires), con sede a Bruxelles.

L’attenzione all’esperienza tedesca

Allora – cioè nei primi anni ’90 del secolo scorso – ci colpì fortemente l’attenzione riservata al problema dalla Repubblica Federale Tedesca, che aveva un “cantiere aperto”, con l’obiettivo di attuarne un’articolata soluzione sistematica: la perfezionò nel 1995, con decorrenza 1° gennaio 1996. Non mancavamo, peraltro, di prestare attenzione anche alle iniziative coltivate da altri partner europei, a cominciare dai transalpini.

Non è questa la sede per realizzare uno specifico focus circa la “soluzione tedesca”, certamente fondamentale, ma, si può rilevare oggi, dopo molti lustri di esperienza, non esente da talune criticità. Avendo fatto cenno a essa, mi permetto, tuttavia, una breve, più generale, digressione di carattere microstorico. Nel neo-proclamato impero guglielmino, gestito con pugno di ferro dal Cancelliere Bismarck, rispettivamente negli anni ‘83, ‘89 e ’94 del XIX secolo, si pervenne all’istituzione delle Assicurazioni Sociali, pubbliche e obbligatorie, contro le malattie, contro la vecchiaia e l’invalidità, contro gli infortuni. Furono le prime in Europa.

Come già detto, a poco più di cento anni di distanza, la neo-riunificata Germania realizzò una copertura di LTC universalistica, ancora una volta modello per il continente. Pur senza dimenticare il fondamentale apporto di pensiero del britannico Lord Beveridge, nel celebre Report del 1942, va riconosciuto alla nazione tedesca il ruolo di capofila, tra i Paesi dell’Unione Europea, nel delineare gli assetti di welfare e nel permeare del relativo concetto, in maniera indelebile, la cultura dell’Unione medesima: è pacifico, infatti, che le coperture di welfare rappresentino una componente essenziale del livello di vita ritenuto indispensabile per i cittadini europei.

Le politiche di Long Term Care nel contesto italiano

Tornando all’Italia e ai tentativi di dare sviluppo alle coperture di LTC attraverso momenti di confronto tecnico, nella verificata assenza di una sensibilità politica che conducesse a un intervento strutturale in materia, secondo un approccio tedesco, ragionammo, quindi, esclusivamente nella sfera privatistica. Il dibattito si focalizzò almeno su circa due ordini di tematiche: una di carattere sistematico, l’altro di carattere operativo/realizzativo.

La prima riguardava la collocazione delle coperture di Long Term Care nell’alveo della previdenza complementare ovvero dell’assistenza complementare. Si badi che la questione non è un bizantinismo teorico. A seconda dell’inquadramento della LTC sussistono, infatti, per i lavoratori subordinati, dei profili giuridici di possibile diversa modulazione dei contenuti realizzativi della provvidenza, da parte delle fonti collettive, e gli oneri per realizzare la copertura di LTC possono attingere ai separati benefici fiscali del comparto della previdenza complementare di carattere pensionistico ovvero a quelli contemplati per l’assistenza complementare.

Può sembrare una posizione pilatesca, ma come Associazione ritenemmo e riteniamo tuttora che le coperture per disabilità siano una sorta di completamento tanto delle provvidenze pensionistico complementari quanto delle assistenziali sanitarie o, se si vuole, una sorta di ponte tra le due (che, sia detto per inciso, reputiamo debbano essere sempre più integrate). In considerazione di questa posizione, il nostro consiglio prettamente operativo alle fonti collettive è sempre stato quello di strutturarle/collocarle, “facendo preliminarmente i conti” circa la peculiare situazione di ogni realtà.

Si tratta di calcolare, quindi, dove vi sia spazio economico, nell’ambito del limite di deducibilità della contribuzione a un fondo pensione o a un fondo assistenziale. Ricordo, con l’occasione, come, sul diverso piano delle coperture sanitarie individuali, accese tramite una polizza vita, il problema non si ponga, attesa l’esistenza di una specifica, sia pur modesta, detraibilità dell’inerente premio e che, da taluni anni, a maggior ragione il problema non sussiste allorquando si attivino, per una comunità, polizze collettive. Per esse, in via eccezionale, l’ordinamento dispone che il premio versato dal datore di lavoro non rientri nella retribuzione del dipendente, tanto sotto il profilo fiscale, quanto previdenziale.

Decisamente più interessante la discussione, che potremmo definire di carattere ontologico, circa le modalità di realizzazione delle coperture di LTC, tra l’opzione di attuarle tramite una polizza di assicurazione, sottoscritta da un fondo pensione o da una cassa di assistenza, ovvero realizzarla in via diretta a opera di un fondo o di una cassa espressamente dedicati, operando in autogestione, cioè, di fatto, sulla base del metodo tecnico della ripartizione.

L’Associazione ha sempre giudicato praticabile l’opzione della gestione diretta, in presenza degli opportuni accorgimenti tecnici, sia per fondi pensione sia per casse sanitarie, avuto riguardo però alla loro attività tipica, cioè corrispondere pensioni complementari ed erogare rimborsi di spese sanitarie. Circa la copertura di LTC, connotata da incognite di estrema complessità, quindi, oggettivamente assai rischiosa, abbiamo ritenuto e riteniamo un dovere tecnico raccomandare estrema prudenza e cautela. All’attualità, è dato di rilevare che nel nostro Paese sussistono variegate esperienze aziendali, di gruppo e di categoria, della prima tipologia, cioè esclusivamente con l’ombrello assicurativo, e una sola esperienza in autogestione. Quest’ultima si è sviluppata nell’ambito del comparto creditizio, opera da quasi 15 anni – da ultimo tramite un’entità di natura fondazionale – e ha dato ottima prova di sé. Le proiezioni attuariali ne indicano anche la piena sostenibilità futura. Il poco tempo trascorso (un quindicennio è “poco”, ovviamente nell’ottica previdenziale, per definizione commisurata al lunghissimo periodo) non consentono di formulare un giudizio compiuto, ma le aspettative, tecnicamente suffragate, sono decisamente positive.

Cogliere le opportunità: il PNRR e il “Patto per un nuovo welfare”

Alla luce di quanto sono andato sin qui scrivendo, l’adesione di Assoprevidenza al Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza e la collaborazione nella formulazione di valide proposte, da cercare di collocare nel processo di realizzazione del PNRR, è risultata quasi doverosa.

Senza qui affrontare nel merito gli specifici profili delle articolate proposte del Patto, talune delle quali, a nostro avviso, anche discutibili/ancora migliorabili, debbo dire che l’obiettivo dell’Associazione è molto semplice e, come tutti gli obiettivi semplici, di ardua realizzazione:

  • pervenire a una rete di coperture di base pubbliche che, innanzitutto, razionalizzi le spese attualmente sostenute, invero non sempre razionalmente (un classico caso di “spendere male”, tipico del nostro Paese), offra effettivo supporto sul territorio alle disabilità e dia sollievo agli interessati e alle famiglie, troppo spesso travolte da burocratismi assurdi e, in tante situazioni, di fatto lasciate senza conforto alcuno;
  • consentire lo sviluppo di un capillare assetto di coperture private, complementari di quelle di base.

Il PNRR è un’occasione irripetibile per colmare il troppo tempo perduto e avviare un processo virtuoso, che colmi una lacuna italiana non più tollerabile.