Negli ultimi decenni, in Italia e in molti Paesi occidentali, si è assistito a una tendenza marcata verso la denatalità. Come Percorsi di secondo welfare spiega da tempo attraverso la serie Denatalitalia, le ragioni di questa situazione sono molteplici e riguardano varie dimensioni economiche professionali, sociali e/o culturali. Le conseguenze sono evidenti: l’invecchiamento della popolazione, un aumento del rapporto tra anziani e giovani, pressioni crescenti sui sistemi di welfare e pensionistici.
Giulio Sensi ha approfondito il tema in un’inchiesta pubblicata sul Corriere della Sera, frutto della collaborazione tra Secondo Welfare e la sezione Buone Notizie del quotidiano di via Solferino. L’articolo raccoglie le opinioni di Lorenzo Bandera, direttore editoriale di Percorsi di secondo welfare, Stefano Scarpetta, direttore per l’occupazione e gli affari sociali dell’Ocse, e Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica.
Secondo Bandera, i dati relativi al 2024 e diffusi da Istat certificano un nuovo drastico calo: “il tasso di fecondità totale italiano si è abbassato ulteriormente. È arrivato a 1,18 figli per donna“. Una tendenza che riguarda anche gli altri Paesi OCSE, dove negli ultimi sessant’anni i tassi si sono dimezzati. L’Italia però sembra soffrire l’assenza di una strategia strutturale e duratura, a differenza di altri Paesi, come l’Ungheria, che grazie a politiche familiari generose hanno ottenuto risultati positivi almeno nel breve periodo,
Scarpetta evidenzi l’importanza delle politiche pubbliche nel sostenere la natalità. I Paesi che investono in servizi come congedi parentali, asili nido e misure a supporto della genitorialità, riescono a contenere il calo delle nascite. L’esperienza francese, in particolare, mostra come interventi coerenti e continuativi possano contribuire a mantenere livelli di fecondità più elevati.
Rosina, infine, propone una lettura più ampia del fenomeno, che va oltre le scelte personali. La bassa natalità, infatti, riflette anche le difficoltà sistemiche che ostacolano l’autonomia delle nuove generazioni. Secondo il demografo “servono salari adeguati, politiche abitative mirate, parità di genere e inclusione degli immigrati, che possono contribuire anche a riequilibrare la dinamica demografica. Ridurre gli squilibri nel mercato del lavoro può accompagnare una possibile inversione di tendenza”.