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Il dibattito sulla settimana corta, lo scorso febbraio, per alcuni giorni ha riempito pagine di giornali e siti internet, anche in Italia. Lo ha fatto sulla spinta dei risultati di un esperimento svoltosi in Regno Unito e riassunto in uno studio che presentava in maniera molto efficace i benefici di una settimana lavorativa da quattro giorni.

Sia prima sia dopo quel picco di attenzione, diverse aziende italiane hanno annunciato iniziative che si inserivano nel più ampio tema della riduzione dell’orario di lavoro che, come abbiamo visto, può assumere forme diverse.

Una delle prime e delle più grandi aziende ad intraprendere questa strada è stata Intesa Sanpaolo. L’istituto bancario, da gennaio ha introdotto “la settimana corta di 4 giorni da 9 ore lavorative a parità di retribuzione” e, venerdì scorso, ha annunciato di aver trovato un accordo coi sindacati sulla nuova organizzazione del lavoro”, inizialmente lanciata senza un’intesa tra le parti sociali.

Il vero tema dietro alla settimana corta

Insomma, in meno di 6 mesi, la scelta di Intesa Sanpaolo sembra essere diventato una grande occasione per declinare “a livello di contrattazione aziendale” il dibattito sulla riduzione dell’orario di lavoro, come auspicava proprio sulle nostre pagine Francesco Seghezzi di Fondazione Adapt.

Per questo, il caso merita un approfondimento, anche perché stiamo parlando di un cambio di organizzazione che riguarda quello che si definisce il primo datore di lavoro privato in Italia”. 

Nuova organizzazione, vecchia normativa

Intesa Sanpaolo ha deciso di cambiare l’orario di una parte dei suoi 74.000 dipendenti italiani per “far fronte ai cambiamenti in atto del settore bancario e finanziario proponendo soluzioni e strumenti, nell’ambito del quadro normativo, all’avanguardia in materia di organizzazione del lavoro”.

L’obiettivo, spiega sempre l’azienda, è andare “incontro alle esigenze di conciliare gli equilibri di vita professionale e lavorativa delle proprie persone e dimostra attenzione al loro benessere”. I cambiamenti, infatti, non riguardano solo la cosiddetta settimana corta, ma anche lo smart working.

La nuova organizzazione, dopo l’accordo coi sindacati, prevede la possibilità di:

  • aumentare su base volontaria il lavoro flessibile da casa fino a 120 giorni all’anno, con un’indennità di buono pasto di 4,5 euro al giorno;
  • lavorare 4 giorni a settimana aumentando a 9 le ore giornaliere su base volontaria (il cosiddetto 4×9), a parità di retribuzione, senza obbligo di giorno fisso, con quindi una riduzione di orario settimanale da 37,5 a 36 ore totali.

“La possibilità di lavorare quattro giorni per più ore è prevista dal contratto dei bancari già da vent’anni”, ha spiegato Roberto Malano, sindacalista di Intesa Sanpaolo per la FISAC-CGIL, in un’intervista di metà aprile.

“Non è una cosa nuova: era pensata per allungare gli orari di apertura delle filiali o per degli eventi particolari, come le ferie. Di fatto” ha continuato “nessuna azienda l’aveva davvero utilizzata. Il cambiamento portato da Intesa Sanpaolo è stato utilizzare la norma a livello individuale. Non è l’azienda che chiede la settimana corta, ma il lavoratore che dice di volerla fare. Cambia proprio il concetto”.

Il nodo delle filiali

I dipendenti che vogliono usufruire della settimana corta, infatti, spiega l’azienda possono “individualmente accedere a queste modalità” ma solo se ciò è compatibile “con le esigenze tecniche, organizzative e produttive aziendali”. E quindi, di fatto, il lavoratore deve vedere ogni sua richiesta di settimana corta approvata dal proprio responsabile, lasciando a quest’ultimo una grande discrezionalità.

La sede di Intesa Sanpaolo a Milano - Foto: Intesa Sanpaolo
La sede di Intesa Sanpaolo a Milano – Foto: Intesa Sanpaolo

Inoltre, per i dipendenti delle piccole filiali che ne avranno la possibilità, il giorno di lavoro in meno dovrà coincidere col giorno di chiusura della filiale, ricompreso tra martedì, mercoledì e giovedì.

La questione filiali è centrale.
Ed era stata uno dei motivi per cui i sindacati avevano interrotto la trattativa lo scorso anno.

La nuova organizzazione, infatti, riguardava sostanzialmente solo le sedi centrali e non le filiali della banca, che sono circa 3.500. Ora il nuovo accordo prevede che la settimana corta sia possibile anche in 40 filiali di grandi dimensioni e, dal prossimo novembre, per una prima sperimentazione, in “oltre 250 filiali di piccole dimensioni”.

“Abbiamo definito un percorso che dovrà portare al pieno coinvolgimento di tutte le lavoratrici e i lavoratori del gruppo”, ha dichiarato al Sole 24 Ore Malano di CGIL dopo l’annuncio dell’intesa.

“Quello di oggi è un accordo importante che consente di superare i contratti individuali, ribadendo quindi che gli accordi collettivi sono il modo migliore per gestire i grandi cambiamenti della banca in un contesto in continua evoluzione”, ha aggiunto, come riporta il Corriere della seraPaolo Citterio, coordinatore Fabi1 di Intesa Sanpaolo,

Flessibilità e produttività

Sia l’annuncio del nuovo modello organizzativo di Intesa Sanpaolo sia l’accordo ora raggiunto coi sindacati hanno destato un certo interesse da parte dei media. “L’attenzione su queste sperimentazioni è alta perché la pandemia ha lasciato una forte sensibilità per quanto riguarda la flessibilità del lavoro”, commenta Umberto Frigelli, direttore del Centro Ricerche di AIDP, l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale.

Come questa flessibilità poi viene declinata è tutto da vedere.
Dipende sia dalle persone sia dal lavoro che svolgono.

“Il 4×9 può essere un buon strumento, ma non si adatta a tutte le diverse esigenze, personali e familiari”, ha commentato ancora Malano di FISAC-CGIL. “Percepiamo un interesse alto per questa opzione, ma non da parte di tutti i lavoratori”, ha aggiunto parlando con Secondo Welfare lo scorso aprile.

Riduzione dell’orario di lavoro: è vantaggiosa per tutti?

Frigelli di AIDP, invece, si concentra sulle differenze tra settori.

Per il lavoro impiegatizio, a suo giudizio, per lavorare meno ore o meno giorni è fondamentale “codificare l’impostazione della giornata”, “gestire le riunioni in modo diverso”, “avere spazi adatti, per esempio dove non si viene disturbati”. Più in generale, si tratta “utilizzare al meglio il tempo”, ma anche “tenere sotto controllo gli elementi di stress, che possono portare al burnout”.

Il discorso cambia quando si parla di imprese in cui si fa produzione. “In questo caso” continua Frigelli “le pause diventano più brevi e aumentano le turnazioni e anche l’utilizzo di macchine e tecnologia”. In entrambi i casi, conclude l’esperto di AIDP, “il principale motivo per cui si fanno queste iniziative è migliorare il work life balance. La spinta è quella, ma non bisogna dimenticare che questi modelli organizzativi devono essere sostenibili in termini di produttività”.

Insomma, le aziende devono andare bene per poter far lavorare meno o diversamente i loro lavoratori. E, in tal senso, il caso di Intesa Sanpaolo si conferma interessante.

Il nuovo contratto

Nel primo trimestre 2023, infatti, i primi cinque gruppi bancari italiani hanno fatto registrare “conti record”, secondo l’analisi condotta dal Comitato scientifico della Fondazione Fiba sui bilanci di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm, Mps e Bper. “Il risultato netto dell’aggregato arriva a 4,8 miliardi di euro (nel primo trimestre 2022 era di 1,6 miliardi), prefigurando per il 2023 un risultato di esercizio superiore a quello conseguito nel 2022”, spiega la FIRST-CISL sul suo sito.

Carlo Messina Amministratore delegato di Intesa Sanpaolo - Foto: Intesa Sanpaolo
Carlo Messina, Amministratore delegato di Intesa Sanpaolo – Foto: Intesa Sanpaolo

“La produttività del lavoro – si continua a leggere – tocca nuovi massimi, con il margine primario per dipendente che cresce di oltre il 29%, arrivando sopra i 60.000 euro (era pari a 47.000 per 1Q22 e a 42.000 per 1Q21), e il risultato di gestione per dipendente aumenta del 35,7%. La produttività aumenta sensibilmente anche prendendo in esame l’incremento cumulato in un arco temporale più ampio nel prodotto bancario pro capite, passato da 15,6 milioni di fine 2020 ai 17,3 milioni al 31 marzo 2023 con un incremento di oltre il 10%”.

Il valore prodotto va redistribuito a tutti gli stakeholder, non solo agli azionisti attraverso dividendi e buyback. Alle lavoratrici ed ai lavoratori del settore, innanzitutto”, ha dichiarato commentando i dati il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani.

I sindacati battono su questo punto perché si trovano nel mezzo delle trattative per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei bancari. Riduzione dell’orario e organizzazione, soprattutto in chiave smart working, saranno sul piatto dei negoziati, che dovrebbero entrare nel vivo dalla fine di giugno.

L’accordo raggiunto ora con Intesa Sanpaolo potrebbe, quindi, essere di buon auspicio per l’intero comparto. D’altro canto, però, è importante precisare che la banca parteciperà alle trattative con modalità inedite e, per certi versi, inaspettate.

Come spiega Adapt nel suo bollettino, infatti, ha fatto molto scalpore la notizia della revoca, lo scorso 27 febbraio, del mandato conferito da Intesa Sanpaolo ad ABI per la negoziazione del CCNL di settore. Tuttavia, come specificato in un comunicato da un portavoce della Banca, si tratta di una revoca limitata alla sola negoziazione del rinnovo del contratto collettivo; Intesa Sanpaolo, infatti, resta a tutti gli effetti un associato all’ABI e la affiancherà, d’accordo con l’Associazione, “nel confronto con le organizzazioni sindacali nazionali a livello di settore, in una fase di particolare importanza come quella attuale”.

I primi dati sulla settimana corta

Cosa questo significherà, nel concreto, è difficile prevederlo. Ma saranno anche gli esiti del rinnovo a far capire se il caso di Intesa Sanpaolo rimarrà isolato oppure potrà diventare un esempio da seguire nel campo della settimana corta.

Settimana corta di quattro giorni, le prime sperimentazioni in Italia

Intanto l’azienda ha pubblicato i primi dati sulla nuova organizzazione del lavoro. “Dal 1° gennaio quando le nuove misure sono state avviate, hanno aderito al nuovo lavoro flessibile 40.000 persone pari a circa il 70% di chi poteva essere abilitato prima dell’accordo odierno – strutture di governance e filiali – e alla settimana corta circa 17.000 persone, pari al 60% del personale full time delle strutture di governance e di 12 grandi filiali (dati al 30 aprile 2023)”, si legge nel comunicato del 26 maggio.

Quello relativo alla settimana corta è un dato interessante e, a prima vista, molto elevato, ma ancora troppo parziale per capire effettivamente quanto stia cambiando il modo di lavorare di Intesa Sanpaolo.

Le 17.000 persone citate, infatti, hanno fatto richiesta di fare la settimana corta e sono state abilitate a farla, ma non è detto che abbiano già sfruttato la possibilità e lavorato almeno una volta 9 ore per 4 giorni. Quante settimane corte i dipendenti di Intesa Sanpaolo hanno realmente svolto, infatti, è un dato che l’azienda non ha ancora reso pubblico.

 

Note

  1. Federazione autonoma bancari italiani, altra organizzazione sindacale attiva nel comparto bancario
Foto di copertina: L'interno della sede di Intesa Sanpaolo a Torino - Foto: Intesa Sanpaolo