Nel 2017 è stata approvata la legge n. 47, Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, c.d. Legge Zampa, che ha visto nascere per la prima volta in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale la figura del tutore volontario, una persona che, debitamente formata e selezionata, mette a disposizione il suo tempo e le sue competenze venendo nominato tutore di un minore straniero non accompagnato (da qui in poi MSNA) in totale gratuità, come previsto dal Codice civile (art. 379).

Il tutore è colui che diviene rappresentante legale del minore, ne amministra i beni e, soprattutto, è colui che deve avere “cura della persona del minore” (art. 357 Cod. civ.). Il compito di selezionare e formare i tutori volontari è stato attribuito dalla legge ai Garanti regionali per l’infanzia e l’adolescenza. Il Garante piemontese, sostanzialmente privo di budget (Turino, Long 2019), per adempiere a questi suoi nuovi compiti ha dato vita nel 2017 a una Convenzione tra la Regione Piemonte, l’Università degli Studi di Torino, l’Università del Piemonte Orientale, l’ANCI Piemonte, la Regione Valle d’Aosta, la Fondazione Compagnia di San Paolo, la Fondazione CRT e la Fondazione CRC di Cuneo. In Piemonte il primo corso di formazione, che ha accolto aspiranti tutori residenti anche in Valle d’Aosta, si è svolto nell’autunno 2017, da aprile 2018 il Tribunale per i minorenni di Torino ha effettuato le prime nomine di tutori volontari e a settembre dello stesso anno è stato avviato il percorso di supporto ai tutori.

Fin dalle prime esperienze di tutela si è reso infatti evidente che era necessario costituire un sistema di supporto per aiutare i tutori ad adempiere al meglio ad un ruolo che ha rappresentato una novità su molteplici fronti: per i tutori, che hanno ricoperto per primi sul territorio tale veste, affrontando spesso l’incarico con interrogativi e dubbi, ma anche per i professionisti dei servizi sociali e delle comunità che per la prima volta si sono trovati ad interagire con una persona spesso estranea al mondo dell’accoglienza che aveva il compito di garantire il rispetto dell’interesse del minore portando proprie competenze nonché un’interpretazione di quell’interesse che può non essere coincidente con la valutazione dei servizi socio-assistenziali. Garantire spazi di confronto e di maggior apprendimento delle diverse realtà in cui il tutore si trova ad agire è risultato di fondamentale importanza.

I gruppi di accompagnamento per i tutori volontari

I gruppi di accompagnamento per tutori volontari (da noi ribattezzati in sigla GAT) aperti ai tutori piemontesi e valdostani, nascono per accogliere e accompagnare coloro che hanno prestato giuramento per svolgere tale ruolo, mobilitare un pensiero riflessivo di gruppo e favorirne l’inserimento nella rete territoriale dei servizi alla persona. Sono volti a considerare e discutere sia gli aspetti pratici e giuridici delle tutele, condividendo strategie e criticità, sia quelli relazionali e psico-culturali inerenti al rapporto con il tutelato, dando spazio al processo di gruppo in un’ottica di partecipazione circolare e interattiva che prevede anche di modellarsi sul presente e farsi carico di necessità emergenti in itinere legate ad esempio agli aspetti giuridici in mutamento, ai fatti di cronaca internazionale (come ad esempio i più recenti episodi di terrorismo) oltre che su questioni strategico-relazionali.

Il gruppo, come strumento di lavoro, ha un forte valore in quanto consente di imparare dagli altri facendo fluire al suo interno informazioni, strategie, esperienze, bisogni, conoscenza, esempi, risparmiando tempo. Il gruppo di accompagnamento è un dispositivo semi-aperto, condotto con un approccio integrato che prevede una discussione dei casi in tutela, delle riflessioni sulle dinamiche istituzionali e relazionali e un’esposizione teorica a cura del conduttore, che mira a stimolare il pensiero intorno alla complessità dei processi migratori e del sistema dell’accoglienza, sostenere la motivazione e la condivisione degli aspetti fondativi del gruppo secondo la regola della sospensione del giudizio. I gruppi di accompagnamento nascono dalle concrete e diversificate esperienze di tutela, ampliandosi sia sul versante psico-culturale sia su quello giuridico, per attivare le risorse del gruppo attraverso la discussione tematica degli argomenti in programma.

I temi trattati sono stati diversi; tra questi ci sono stati: il rapporto con i servizi e gli attori sociali coinvolti, i concetti di trauma e resilienza, l’esperienza della tratta e quindi la questione dello sfruttamento sessuale, l’adolescenza come rito di passaggio, il tema della sessualità, le dinamiche familiari in relazione al progetto migratorio, il tema delle appartenenze religiose.

I gruppi di mutuo aiuto

I gruppi di mutuo aiuto sono gruppi stabili di tutori che si incontrano su base mensile. Ciò consente la creazione di un senso di appartenenza al gruppo, nonché una forte condivisione emozionale, non filtrata né frenata dalla presenza di persone che non si conoscono, e un confronto sociale con gli altri membri del gruppo

L’obiettivo finale di questo percorso è quello di consentire la sopravvivenza di questi gruppi anche al di fuori dei luoghi garantiti grazie alla citata Convenzione, anche attraverso processi di “gemmazione” e ingrandimento (Calcaterra, 2013), trasformandosi auspicabilmente in gruppi di auto-mutuo-aiuto. L’aumento delle richieste di partecipazione ha coinciso con l’esplosione dell’emergenza sanitaria: il terzo gruppo è stato infatti avviato a marzo 2020 e dal mese di ottobre nuovi partecipanti sono stati inclusi nei gruppi esistenti.

I temi emersi sono in concreto analoghi a quelli affrontati nel percorso dei GAT. Le modalità operative con cui sono stati condotti questi gruppi sono però differenti: sono gli stessi partecipanti a riflettere in prima persona sulle loro azioni, aiutandosi tra di loro in un clima di assoluta riservatezza e non giudizio (Calcaterra, 2013). La prerogativa del mutuo aiuto è infatti che “il gruppo racchiuda in sé le potenzialità di promuovere dinamiche di aiuto reciproco tra i suoi membri” (Steinberg, 2002).

Lo spazio neutro dei gruppi di mutuo aiuto permette, inoltre, di rilevare eventuali piccoli “mal funzionamenti” della relazione tra tutore-minore-servizi e, tramite la condivisione di buone prassi ed esempi positivi, rende possibile attivare una riflessione che innanzitutto aiuti a riconoscere ed individuare il problema e che poi, auspicabilmente, porti ad un’azione volta a superarlo.

Narrare la tutela

I gruppi di accompagnamento e di mutuo aiuto costituiscono spazi di narrazione: i primi, guidati attraverso precise e puntuali analisi e approfondimenti di matrice psicosociale che approdano in testimonianze dirette, i secondi che si sviluppano, si espandono e si arricchiscono nella condivisione di esperienze personali, timori, sensazioni e risorse condivisibili.

L’esperienza piemontese sta dimostrando che avere uno spazio dedicato ai tutori volontari di MSNA dove affidare periodicamente le proprie esperienze e i propri vissuti è necessario per fare circolare buone prassi, sentirsi meno in balia di vissuti di solitudine, frustrazione e scoraggiamento come tutori – una figura relativamente nuova che riveste un ruolo di grande responsabilità, ricordiamolo – per condividere in gruppo criticità e le strategie per superarle attraverso l’ascolto di esperienze tra pari.

L’aggregarsi e il condividere le “pratiche ritenute più idonee”, nonché l’aiutarsi reciprocamente, avendo come finalità principale proprio l’apprendimento, tramite l’ascolto di esperienze altrui, per il superamento di problemi comuni, rende il gruppo dei tutori volontari una vera e propria “comunità di pratiche”, così come intesa da Wenger. Tale identificazione del gruppo dei tutori è rilevante in quanto essere comunità di pratiche significa “alimentare processi di apprendimento permanenti”, strutturarsi in “veri e propri terreni fertili per lo sviluppo di apprendimenti situati, che non possono prescindere dall’influenza esercitata dal contesto organizzativo in cui si svolgono e che contribuiscono a disegnare” (Alastra et al, 2012). Il disporre di spazi propri e neutrali volti a stimolare riflessioni, scambi e apprendimento, come abbiamo visto, può facilitare l’esercizio della tutela volontaria, da un lato facendo sentire “meno soli” i tutori, dall’altro aiutando a meglio individuare comportamenti o agiti non coerenti o non adatti con il ruolo.

Secondaria, ma non meno importante, è la funzione di monitoraggio della tutela volontaria che i gruppi condotti o facilitati possono agevolare. La tutela volontaria, come si è detto, è una relativa novità per la maggior parte delle realtà italiane, in special modo quella piemontese e valdostana: monitorare l’andamento delle esperienze e delle principali criticità rilevate può essere un elemento di ricchezza sia in termini di ricerca sia in termini di esame della realtà. Conoscere cosa significa essere tutore volontario oggi, può aiutare, ad esempio indirizzando la formazione degli aspiranti tutori volontari, a migliorare il sistema per il tutore volontario di domani.

Bibliografia

  • Alastra V., Kaneklin C., Scaratti G. (2012), La formazione situata. Repertori di pratica, FrancoAngeli.
  • Calcaterra V. (2013), Attivare e facilitare i gruppi di auto/mutuo aiuto, Trento, Erickson.
  • Steinberg D. M. (2002), L’auto/mutuo aiuto. Guida per i facilitatori di gruppo, Trento, Erickson.
  • Turino R. e Long J, (2019), Più voce ai minori in Piemonte. L’istituzione e l’esperienza del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, in “Il Piemonte delle Autonomie”, n. 2
  • Wenger E. (2006), Comunità di pratica. Apprendimento, significato, identità, Milano, Raffaello Cortina Editore.

Questo articolo è un estratto dallo scritto Il supporto dopo la nomina dei tutori volontari ni minori stranieri non accompagnati. L’esperienza piemontese”.