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Nel film “Las Leonas”, uscito di recente nelle sale, un gruppo di donne straniere disputa un campionato amatoriale di calcio a otto in via Aurelia a Roma. Si tratta di donne di diversa origine: sudamericane, russe, capoverdiane, marocchine, moldave. Lavorano come assistenti familiari e nel poco tempo libero, calciando il pallone, costruiscono relazioni e solidarietà oltre le nazionalità, creandosi così un proprio spazio di libertà e riscatto.

Il film introduce gli spettatori nel microcosmo di queste migranti, donne che con il loro lavoro sostengono con sacrificio le loro famiglie di origine, ma anche quelle italiane che, spesso abbandonate dal welfare pubblico, sono costrette a far fronte da sole ai bisogni di cura, ricorrendo, appunto, alle assistenti domestiche. Quelle che comunemente sono chiamate badanti e colf.

Qui ci vogliamo occupare di questo tema, interrogandoci sul ruolo che Terzo Settore e corpi intermedi hanno nel promuovere migliori condizioni di vita e di lavoro per le lavoratrici (e i lavoratori) del settore domestico, come già fatto a proposito del lavoro in agricoltura.

Lavoro migrante, diritti e welfare

E’ il titolo della nuova serie di Secondo Welfare che vuole approfondire il ruolo di sindacati, associazioni e organizzazioni del Terzo Settore nella promozione di politiche che migliorino le condizioni di lavoro e di vita di lavoratrici e lavoratori stranieri presenti in Italia. Scopri di più.

Qualche dato sul lavoro domestico

Considerato alla stregua del lavoro servile per tutta la prima metà del Novecento, solo nel Secondo Dopoguerra il lavoro domestico inizia ad essere considerato un vero lavoro, come ricorda DOMINA, l’Associazione nazionale delle famiglie datori di lavoro domestico.

I primi diritti (ferie retribuite e indennità di fine rapporto) vengono riconosciuti con la riforma del Codice civile nel 1942, ed ampliati nel 1958 con la prima legge organica sul settore domestico. Nel 1974, grazie alla lotta di un gruppo di donne coraggiose e tenaci, viene firmato il primo Contratto Collettivo Nazionale (CCNL)  per il settore domestico. Il CCNL viene poi modificato nel 1992, nel 2007 e infine nel 2020.

Ad oggi, il lavoro domestico può essere considerato settore trainante nella crescita dell’occupazione femminile e nell’occupazione di migranti, oltre a costituire il pilastro dell’assistenza nel Paese.

È qui utile snocciolare alcuni dati. Quelli più aggiornati ci sono stati forniti in anteprima dall’Osservatorio sul lavoro domestico dell’Associazione DOMINA che pubblicherà il IV Rapporto sul lavoro domestico a gennaio 2023. Nell’anno 2021 i lavoratori domestici contribuenti all’Inps sono stati 961.358, con un incremento rispetto al 2020 pari a +1,9% (+18.273 lavoratori). Il settore domestico è caratterizzato da una forte presenza straniera (70%), soprattutto dell’Est Europa, e da una forte prevalenza della componente femminile (84,9%). Il 53% sono colf, il restante 47% badanti. L’età media è di 49 anni.

Si tratta del settore con la maggiore presenza di “lavoro nero”, con il 52,3% (dato riferito al 2020)Si tratta di un dato straordinariamente più elevato rispetto a tutti gli altri settori del mercato del lavoro (più del doppio del lavoro agricolo, solo per fare un esempio), anche se leggermente in diminuzione rispetto agli anni precedenti. Comprendendo la componente irregolare, si stima che in Italia ci siano ben 2,1 milioni di lavoratrici (e lavoratori) e 2,3 milioni datori di lavoro domestico (sempre dati 2020).

Tra diritto del lavoro e politiche sociali: la situazione italiana

Per Massimo De Luca, Responsabile scientifico dell’Osservatorio sul lavoro Domestico dell’Associazione DOMINA: “è utile evidenziare che la questione del lavoro dignitoso nel settore domestico chiama in causa due ambiti differenti, il diritto del lavoro e le politiche sociali”.

Sotto il profilo del diritto del lavoro, va evidenziato che le lavoratrici e i lavoratori del settore domestico sono escluse/i di fatto da diverse tutele, per esempio l’indennità di malattia è totalmente a carico delle famiglie e non esiste la maternità facoltativa. Mancano inoltre a livello nazionale adeguate politiche di gestione e regolarizzazione dei flussi migratori, e molto carenti sono anche le politiche d’integrazione realizzate a livello locale. Inoltre, sul versante delle politiche sociali a favore delle famiglie, permangono fortissime differenze a livello regionale.

Si va dai casi virtuosi delle province autonome di Bolzano e Trento dove le famiglie ricevono aiuti sufficienti per sostenere l’assunzione di collaboratrici domestiche, ad altre regioni nelle quali famiglie e lavoratrici non ricevono né sostegno né assistenza, e sono abbandonate al fai da te” spiega ancora Massimo De Luca.

Le condizioni di lavoro delle assistenti familiari

Nonostante la ratifica da parte del nostro Paese della Convenzione n.189 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro del 2011 con la quale gli Stati si impegnano ad adottare misure volte ad assicurare in modo efficace la promozione e la protezione dei diritti umani di tutte le lavoratrici e lavoratori domestici, sono ancora molte le criticità che riguardano le condizioni di vita e di lavoro delle persone impiegate in questo settore.

Un primo problema è costituito dalla diffusione del lavoro irregolare. Da questo punto di vista, Stela Chelaru, sindacalista di origine moldava e Referente Servizio Colf e Badanti della Cisl di Ferrara, ci ha spiegato che “in generale la diffusione del lavoro irregolare dipende dalle difficoltà economiche delle famiglie che non sono sostenute adeguatamente, ad esempio per l’assistenza ai non autosufficienti”. Tuttavia, sottolinea Chelaru, “la pandemia ha paradossalmente avuto una ricaduta positiva sull’emersione del lavoro domestico. Infatti, molte famiglie nel 2020 sono state spinte a regolarizzare le assistenti domestiche, altrimenti impossibilitate a recarsi al lavoro. Così in quelle settimane abbiamo assistito molte famiglie rispetto alle procedure di avvio dei contratti”.

Anche la Sanatoria del 2020 ha contribuito alla crescita del lavoro regolare nel settore domestico. Come evidenziano da diversi osservatori, lo strumento della sanatoria presenta però diverse criticità: dai tempi di attesa particolarmente lunghi all’uso improprio. In particolare, limitando la procedura di emersione solo ad alcuni settori economici (tra cui quello domestico), sembrerebbe che molti lavoratori di altri settori abbiano usato la Sanatoria come “porta di accesso” al mercato del lavoro regolare. I dati anomali su genere ed età dei migranti regolarizzati, in qualità di assistenti domestici, sembra confermare questa ipotesi.

Ci sono poi diversi fattori che incidono sulle condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici (e dei lavoratori) del settore domestico.

La malattia in particolare è un rischio molto importante per queste lavoratrici: difficilmente le assistenti domestiche mantengono il lavoro in caso di problemi di salute importanti o invalidanti, quando impiegate irregolarmente 24 ore su 24 presso le abitazioni degli assistiti, possono ritrovarsi nell’arco di un giorno senza casa” ci racconta Roberto Marchetti, tra i fondatori di Nadiya, una associazione che riunisce ed accoglie nella città di Ferrara le donne straniere che prevalentemente svolgono lavoro da badante, e che presta attenzione ai loro problemi.

Inoltre, come ricorda ancora Massimo De Luca di DOMINA, “anche nel settore domestico sono presenti forme di caporalato e racket: lo raccontiamo nel IV Rapporto con un contributo del Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro, con riferimento all’indagine svolta nel potentino che ha mostrato l’esistenza di una rete criminale a regia moldava che gestiva un ingente traffico di donne dell’est Europa versanti in stato di bisogno, reclutate nel Paese di origine, private dei loro passaporti e condotte in Italia per il successivo collocamento in “nero”, in qualità di badanti, presso famiglie locali. Le donne erano assoggettate a questi leader criminali, che con violenze, minacce e una costante sorveglianza, le obbligavano a restituire mensilmente una quota della loro paga già esigua quale compenso per il procacciamento del lavoro. Si tratta di situazioni estreme, che le famiglie italiane ignorano, e di cui è bene conoscere l’esistenza”.

Un discorso a sé merita la questione della diffusione di agenzie private del lavoro e di piattaforme digitali in questo settore, che non rappresenta un fatto negativo, spiega De Luca, a patto che venga rispettato il CCNL. Solo in questo caso si può accedere infatti alle prestazioni offerte dalla bilateralità del settore domestico, dalla sanità integrativa (Cassacolf) ai servizi di formazione professionale e informazione sulla sicurezza (Ebincolf).

Per Silvia Dumitrache, presidente dell’Associazione Donne Romene in Italia (ADRI), le condizioni di lavoro nel settore domestico sono complessivamente molto critiche sotto il profilo dei diritti:“È molto diffuso il lavoro “grigio”: solo alcune ore sono contrattualizzate, le altre sono in nero. I turni sono spesso estenuanti e le donne lavorano con assistiti affetti da condizioni patologiche gravi, che possono anche avere comportamenti aggressivi. Nello spazio privato domestico, senza alcun controllo pubblico, si ritrovano anche a svolgere mansioni infermieristiche per le quali non sono né formate né pagate. Per non parlare della condizione delle donne che lavorano 24 ore su 24 con gli assistiti. In generale” ci spiega Dumitrache “non c’è una separazione nello spazio e nel tempo tra lavoro e non lavoro, con effetti drammatici e riconosciuti sulla salute fisica e mentale delle assistenti domestiche e delle loro famiglie”

È stato perfino coniato un termine per descrivere gli effetti di queste dure condizioni di lavoro e di vita: “Sindrome Italia”. A questo tema, il Corriere della Sera ha dedicato un reportage, spiegando come si tratti di ”uno stress diagnosticato e chiamato così per la prima volta da due psichiatri di Kiev: nel 2005, avevano osservato sintomi comuni a molte ucraine,  romene e moldave, ma pure filippine o sudamericane. Tutte emigrate per anni ad assistere anziani nell’Europa ricca, lontane da figli e mariti”. Ma la “Sindrome Italia” non si ferma alle donne: riguarda anche i loro figli lasciati indietro, che vivono una situazione di disagio psicologico, molto diffuso soprattutto in Romania, come raccontato dal documentario Figli sospesi.

Tra informazione, advocacy e assistenza

DOMINA, l’Associazione Nazionale Famiglie Datori di Lavoro Domestico si occupa di assistere e tutelare le famiglie nella gestione dei rapporti professionali con i collaboratori domestici e gli assistenti familiari offrendo consulenza specializzata. L’Associazione lavora quotidianamente per garantire la corretta applicazione del Contratto Collettivo Nazionale sulla disciplina del Lavoro Domestico di cui è firmataria e ne promuove la centralità quale strumento di tutela indispensabile per chi assume un lavoratore domestico.

Inoltre, dal 2016, l’Associazione realizza approfondimenti  tematici all’interno della collana “Il valore  del Lavoro  Domestico – Il ruolo economico e sociale delle famiglie datori di lavoro”, e dal 2019 pubblica, con il suo Osservatorio, il “Rapporto Annuale sul Lavoro Domestico”. Tra le tante iniziative che vedono coinvolta l’Associazione, Massimo De Luca ci tiene a citare le campagne “Fair recruitment” e “Figli, non orfani bianchi”.

“Si tratta di due campagne sostenute anche dall’Ufficio per l’Italia e San Marino dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: la prima mira a prevenire pratiche fraudolente durante il processo di reclutamento e collocamento dei lavoratori, a proteggere i loro diritti, ad aumentare l’interesse generale e la consapevolezza politica nazionale e internazionale sul tema del corretto ingaggio” ci spiega De Luca. “La seconda sostenuta da diverse ambasciate ed associazioni,  mira a sensibilizzare società civile e datori di lavoro rispetto al fenomeno dei figli lasciati nel paese di origine con i nonni o negli orfanotrofi, che spesso sviluppano stati di ansia e depressione, fino ad istinti suicidi”.

Silvia Dumitrache, con la sua Associazione Donne Romene in Italia, che ha sede a Milano, si occupa prevalentemente di advocacy, il suo motto è “make noise”, fare rumore . Tra le tante battaglie alla quale ha partecipato, Dumitrache ricorda quella che ha portato alla Raccomandazione del 19 marzo del 2021 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, la quale “afferma che i Paesi di origine dei flussi migratori dovrebbero impegnarsi a offrire lavoro e possibilità ai propri cittadini così da non obbligarli a un esodo e ad abbandonare i figli a casa, perché questo viola i diritti umani. Allo stesso modo, anche i Paesi di arrivo dovrebbero offrire la possibilità ai lavoratori migranti di avere buone condizioni di vita, il che implica portare con sé i propri figli

L’associazione Nadiya, in russo Speranza, nasce a Ferrara per dare un luogo protetto dove riunirsi e incontrarsi alle badanti che, prima, non avevano altro posto dove incontrarsi oltre alle panchine di un parco in centro città. Nell’arco del tempo, l’Associazione, ha sviluppato servizi di accoglienza abitativa, assistenza e formazione rivolte alle badanti della città. Un obiettivo molto importante, secondo il suo fondatore Roberto Marchetti, è quello di accrescere la conoscenza, da parte delle lavoratrici straniere, dei propri diritti e dei servizi presenti sul territorio. “I ritmi del lavoro domestico rendono particolarmente complesso per queste donne seguire con continuità lunghi percorsi formativi, per questa ragione l’associazione ha progettato un’offerta formativa articolata in brevi moduli e seminari”, spiega.

Un ulteriore intento di Nadiya, che lavora in sinergia con i servizi sociali del Comune di Ferrara, è favorire aggregazione, solidarietà e mutualismo tra le lavoratrici straniere, nonostante le dure condizioni di vita, le necessità impellenti, il diffuso individualismo, rendono molto complesso questo lavoro di tessitura relazionale. La guerra in Ucraina, da questo punto di vista, non ha aiutato poiché ha raffreddato le relazioni tra le donne appartenenti a diverse nazionalità, in particolare tra quelle russe e ucraine.

Stela Chelaru, Referente Servizio Colf e Badanti della Cisl di Ferrara, presenta proprio il caso della sua città come un esempio, tra gli altri, di lavoro di squadra tra gli attori coinvolti nell’offrire assistenza alle assistenti familiari e le famiglie: sindacati, servizi sociali territoriali, associazionismo.

I sindacati hanno generalmente su tutto il territorio nazionale un ruolo rilevante non solo in termini di advocacy ma anche sul piano dell’offerta di servizi, dall’assistenza sulla normativa alla proposta di corsi di formazione. Vediamo meglio come.

Un futuro migliore per il settore domestico (e per il Paese)

Tutte le parti sociali firmatarie del CCNL – da un lato le associazioni datoriali, ovvero DOMINA e FIDALDO, e dall’altro le organizzazioni sindacali dei lavoratori, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil e Federcolf – hanno sottoscritto una piattaforma programmatica per il settore domestico. Cinque i punti principali:

  • il riconoscimento dell’indennità della malattia a carico dell’INPS,
  • un maggiore riconoscimento della maternità e genitorialità (con l’adozione di criteri meno stringenti al pari degli altri settori),
  • la deducibilità, da parte delle famiglie, dal reddito dei costi per il lavoro domestico,
  • una riforma dell’immigrazione che favorisca l’immigrazione regolare, riprendendo le proposte della Campagna Ero Straniero (noi di Secondo Welfare ne abbiamo parlato qui)
  • un assegno universale per la non autosufficienza.

Le prime due proposte riguardano dunque il diritto del lavoro, e mirano ad estendere le tutele presenti in altri settori anche a quello domestico.

Il terzo e il quinto punto riguardano le politiche sociali. Si tratta di politiche di sostegno alla famiglia (deducibilità dal reddito dei costi e assegno universale per la non autosufficiente) necessarie per riequilibrare il welfare, che sono legate a doppio filo, secondo questa logica, all’emersione e alla regolarizzazione del lavoro domestico. Ma lavoro domestico significa anche politiche migratorie e, quindi, la necessità di ampliare canali di ingresso regolari in Italia (decreto flussi, istituto dello Sponsor), e la possibilità per i migranti di regolarizzare la propria posizione in ragione del percorso d’integrazione compiuto, rappresentano indicazioni utili per disegnare politiche efficaci di contrasto all’irregolarità.

Si tratta di proposte che meriterebbero di essere prese seriamente in considerazione dal mondo politico. Anche perché ognuna di esse è stata analizzata nei suoi effetti e costi. Inoltre queste proposte, dalle politiche migratorie a quelle di sostegno alle famiglie, possono essere condivise da ampi settori della società perché non riguardano esclusivamente il lavoro domestico, ma l’intera popolazione.

In mancanza di una visione strategica capace di vedere i nessi tra buone politiche migratorie e politiche sociali di sostegno alla famiglia, assistiamo invece ad una sorta di  welfare “fai da te”, nel quale le famiglie, non sufficientemente supportate dai servizi pubblici, sono spinte ad arrangiarsi come possono. Ma i costi di questo modello non possono continuare ad essere scaricati sulle condizioni di lavoro e di vita delle lavoratrici domestiche.

“Il pane e le rose”, in inglese “Bread and Roses”, fu lo slogan di un famoso sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori dell’industria tessile svoltosi nel 1912 negli Stati Uniti a Lawrence, Massachusetts. Nell’industria erano impiegati soprattutto immigrati, donne e bambini. Divenuto anche titolo di una poesia di James Oppenheim, lo slogan è stato adottato dal movimento operaio e dal movimento delle donne in tutto il mondo. Significa che lavoratrici e lavoratori non hanno solo diritto alla mera sussistenza, ma il diritto di vivere pienamente la loro vita.

 

Foto di copertina: Félix Prado